I russi a Venezia

I russi a Venezia LA POLEMICA SULLA BIENNALE I russi a Venezia Quasi cinque anni fa, nell'autunno del 1972, la Commissione pubblica istruzione del Senato, che comprende anche, con linguaggio crociano e giolittiano, le « belle arti » nel suo ambito, si dedicò a un'indagine conoscitiva — uno strumento fino a quel momento pochissimo adoprato dal Parlamento — sulla Biennale di Venezia prima di vararne il nuovo e definitivo statuto. Fu un avvenimento che fece sensazione nel mondo della cultura. Per una settimana, a ritmo stringatissimo, si susseguirono, nella severa aula di palazzo Carpegna collegata a Palazzo Madama, artisti come Cagli e Corpora e Guidi, registi come Petri, Antonioni e Rossellini, critici come Argan, Mila e Russoli, sindacalisti, musicisti, direttori di enti teatrali, specialisti di beni culturali nei senso più vasto. Tutti portatori di proteste, lamentatori di inadempienze, sollecitatori di rimedi, spesso contraddittori, talvolta utopistici. Gran dibattito fra « venezianità » e « internazionalità »: rischio di una dimensione troppo regionale, necessità di una diversa apertura al mondo, alle correnti della cultura e dell'arte di tutti i Paesi e di tutti i modelli, senza dogmatismi, senza schematismi, senza pregiudiziali di nessun genere. In omaggio a un principio di libertà della cultura e di circolazione delle esperienze e delle manifestazioni artistiche, che in qualche misura anticipava i lineamenti della carta di Helsinki. Sono frammenti di un'esperienza personale, che mi sono riaffiorati alla memoria in que ! s'i giorni, con la polemica tut t'altro che placata sul dissenso e la Biennale, con le dimissioni del presidente Ripa di Meana, con le spiegazioni zoppicanti del ministero degli Esteri, col diluvio di interrogazioni parlamentari che in questa settimana andranno all'esame di Montecitorio (conferma di un diverso vincolo, ormai, fra la classe politica e la cultura, meno impacciato, meno reticente di una volta). Con qualche singolare riferimento diretto alla vicenda, malinconica ed emblematica, che viviamo In questi giorni. Ci fu, per esempio, il presidente dell'Accademia di belle arti di Venezia che propose una « internazionalizzazione » della Biennale. E come? Con un collegio internazionale a maggioranza italiana, ma, a turno, rappresentanti della Francia, dell'Inghilterra, della Russia (ho riguardato i verbali: disse proprio Russia e non Unione Sovietica), tale da delineare l'indirizzo della Biennale per il progresso delle arti, in un confronto libero e pluralistico (la parola non era ancora di moda). E un uomo dell'autorità e del prestigio di Argan, ingiustamente coinvolto nella polemica \ di questi giorni per aver e- spresso, pre-veto sovietico, un giudizio limitativo sull'arte orientale del dissenso, in omaggio al principio crociano del « bello e non bello », non meno sacro di quello della libertà della cultura, un uomo, dicevo, come Argan, rincarava la dose suggerendo « una direzione tecnico-culturale della Biennale formata da membri in pari numero italiani e stranieri ». Erano proposte tutt'altro che infondate, data una certa tendenziale accentuazione, che poi la legge definitiva, molto mutata (e non in meglio) dalla Camera consacrò, delle rappresentanze regionali e locali, con un sottinteso, quasi, di lottizzazione indigena. E quanto sarebbe stato utile seguirle! L'ambasciatore sovietico avrebbe dovuto rivolgersi, in quel caso, ai rappresentanti della « Russia » nel collegio internazionale preposto alle sorti, e alla stessa indipendenza, dell'ente culturale veneziano. E l'Italia i si sarebbe risparmiata, se non altro, lo spettacolo di un ministero degli Esteri che raccomanda, sia pure con tutte le sottigliezze della diplomazia pontificia, prudenza e circospezione ai responsabili della Biennale in vista di non turbare le « eccellenti relazioni culturali » fra Italia e Unione Sovietica. A proposito delle quali mi tornano in mente talune mie esperienze di ministro per i Beni culturali. Un incontro con Gromiko, per esempio, all'ambasciata sovietica nel giugno o luglio del 75. « Mandateci più pitture e più statue, mi raccomando; ve le restituiremo intatte, dopo averle fatte apprezzare a milioni di sovietici » (avevo inviato a Leningrado il « Bruto » di Michelangelo, contro il parere dei tecnici). « E poi non dimenticate le canzoni napoletane, e Caruso, molto Caruso ». Giovanni Spadolini