Questi tupamaros di papà di Vittorio Gorresio

Questi tupamaros di papà REAZIONI DELLA CITTÀ DOPO LA MARCIA SU ROMA Questi tupamaros di papà Un continuo e rabbioso scavalcamento a sinistra, una costituzionale sfiducia negli stessi uomini che li rappresentano -1 genitori benpensanti hanno l'aria di giustificare gli "autonomi"; sembrano avere rotto con la politica, sono persino anticomunisti Roma, 14 marzo. «Finalmente il cielo è caduto sulla terra: la rivoluzione ». E' la testata di un settimanale datato 12 marzo, che mi dicono fatto a Milano (dir. resp. P. Ricci) ma stampato a Bologna dal Grafie centro in 500 copie, come supplemento della radio Alice, quattro pagine in carta pesante, formato 30 per 42. Poche illustrazioni, nessuna ricerca di impaginazione vistosa: la sua importanza è tutta nel testo dottrinario che può essere preso come guida ideologica dei giovani partecipanti all'adunata di sabato scorso a Roma. « 12 marzo: un bel giorno per cominciare. Assemblea di Roma: sconfiggere il minoritarismo, preparare subito la rivoluzione », questi i titoli di prima pagina. Nell'editoriale è spiegato che il partito comunista è il nemico politico numero uno, essendo ormai « chiarissimo che il rigorismo e il partito bottegaio sono fuori da tutto, che la loro presenza è già una provocazione, che i berlìngueristi vanno dappertutto snidati, denunciati e dispersi perché occorre bastonare il cane che annega. Chiarissimo che il Pdup e Ao sono repellenti pidocchi incerti — ma neanche tanto — se succhiare il dorso della balena socialdemocratica o della balena movimento. Chiarissimo che schiacciare i pidocchi è un'elementare operazione di pulizia... ». L'articolo continua su questo tono, e mi sembra un contributo prezioso all'informazione: dunque, non solo il Pei, ma neppure il movimento di avanguardia operaia (Ao) né il partito di unità proletaria (Pdup) sono accettabili per i giovani che si qualificano autonomi, e che hanno guidato la marcia su Roma di sabato scorso. Comunque, questi autonomi che nel loro foglio hanno salutato la caduta del cielo sulla terra, mi pare abbiano qualche collegamento con quelli di Le (Lotta continua) che nel loro quotidiano di domenica 13 marzo hanno mostrato uguale diffidenza nei confronti del Pdup. Si sa che i deputati di questo piccolo gruppo parlamentare sabato scorso si sono adoperati in funzione di tramite fra il movimento dei giovani e le autorità di Ps per ottenere che il corteo studentesco potesse incamminarsi lungo un certo itinerario piuttosto che su un altro. Ne dà così notizia il quotidiano Lotta continua nella sua prima pagina di domenica: « La polizia fa sapere che per ordine diretto del ministro l'unico percorso ammesso è quello di via Cavour. Ci sono trattative: Magri, Corvisierì, Mimmo Pinto, controllati da delegazioni di compagni». Neppure Mimmo Pinto, campione designato al Parlamento dai « disoccupati organizzati» di Napoli, dà quindi fiducia ad Le. E' il deputato che la scorsa settimana ha minacciato alla De di farle un processo sulle piazze d'Italia (e il discorso di ritorsione di Moro era in buona misura diretto contro di lui) ma una siffatta prova di oltranzismo non basta più. Anche Pinto ha da essere « controllato » da delegazioni di compagni, per accertare se egli non sia un opportunista, un riformista, un traditore anche lui. Scrive difatti Lotta continua che era stata una grossa provocazione della polizia «vietare il percorso deciso autonomamente dagli studenti»: e invece Pinto si era piegato a trattare con gli scherani di Cossiga (anzi Kossiga) « ministro della guerra contro i proletari, il cui posto è la galera ». Se anche Pinto è scavalcato liberamente da sinistra, non meraviglia che siano state considerate provocatorie le precauzioni elementari adottate dai bottegai del centro storico di Roma, invitati dall'associazione commercianti a chiudere i negozi in occasione del corteo. Il Quotidiano dei lavoratori ne fa carico alla questura, scrivendo: « L'atteggiamento terroristico della polizia permane: tutti i negozi del centro di Roma sono stati fatti chiudere, anche le bancarelle dei mercati rionali, vicino ai possibili percorsi del corteo ». A questo punto, tuttavia, ci sono altre cose da osservare circa il comportamento, la reazione della città di fronte alla marcia su Roma. Ovvia la rabbia dei negozianti che si sono visti saccheggiate le botteghe e dei proprietari delle automobili incendiate lungo i marciapiedi. Ma sabato e domenica, dal momento degli scontri alle ore che avrebbero consentito un bilancio di pacate considerazioni, l'aria di Roma è stata delle più strane. Gli esercenti abbassavano le saracinesche, onestamente impauriti, ma in giro andavano cittadini onestissimi un po' meravigliati e un po' irritati che la normale loro vita fosse turbata. "Esagerazioni" Una signora mi ha raccontato di avere interpellato un poliziotto sulla scalinata del Palazzo delle esposizioni in via Nazionale: « A che ora passa il corteo?». «Non so, perché me lo domanda? », le rispose l'agente. « Lei ha il dovere di saperlo, ed io il diritto di essere informata », RVérendomni fatto""kTS- gnora commentava: «Che polizia è mai questa?». Altre due donne, avanzando per corso Rinascimento, furono ammonite da carabinieri che avevano innestati i candelotti fumogeni sulla bocca dei fucili: « Alt, non si passa ». « Che sarà mai, sempre con queste esagerazioni », risposero le donne dispettose che il giorno dopo mi raccontarono delle subite prevaricazioni poliziesche. Sta di fatto che a Roma non si capisce mai bene come vadano le cose. Tra sabato e domenica, e ancora fino ad oggi, nella giornata di lunedì, le conversazioni che si fanno per telefono o negli incontri occasionali con gli amici sono abbastanza sconcertanti, e in ogni modo molto indicative. Tutti, ad esempio, condannano i giovani, fatta eccezione dei loro genitori benpensanti. Fino a pochi anni fa, costoro avevano ragione a lamentarsi per le tristi condizioni della scuola italiana: i loro bravi figli avrebbero voluto studiare e soprattutto imparare cose utili e sensate che purtroppo la scuola nazionale non offriva. Ce- ra una disposizione tutta ita- liana, innocentistica, che vedeva nello studente il buon selvaggio: era negli anni attorno al '68, immediatamente precedenti o susseguenti. Allora gli studenti parevano seri ed onesti, perché contrari all'intervento americano nel Vietnam e alle violenze di ogni genere. Raccomandavano di far l'amore e non la guerra, amavano la classe operaia con la quale avrebbero anzi voluto stabilire un contatto per avviare un colloquio, e poi si dedicavano allo studio dei modelli di una nuova società. Poteva andare bene Che Guevara, chi sa, oppure Mao Tse-tung. In ogni modo, essi pensavano a qualcosa, e qualche cosa avevano in testa, e nel parlare non si limitavano, come adesso fanno, a dire cioè-cioè-cioè. Qualche cosa esprimevano. Ciononostante, fino da allora i giovani mettevano paura ai benpensanti, anzi riempivano di angoscia i loro buoni genitori dubitosi: e invece adesso che ci sarebbero ben più forti motivi per temerli, gli odierni genitori benpensanti stanno dalla parte loro, non li disapprovano più, li giustificano sempre. Oggi che i giovani di avanguardia non vanno più in cerca di nuovi modelli di società, né fanno la richiesta di studiare cose utili e sensate in luogo delle futili ed inutili imposte dalla scuola della vecchia maniera; oggi che essi rivendicano il diritto a non studiare niente, e ad essere promossi col voto minimo del 27, i genitori benpensanti non se ne lamentano più. Anche se lanciano le molotov, che sarà mai, non c'è da farne chi sa che caso. Le molotov non sono vere bombe, come noi erroneamente le chiamiamo. In realtà sono bottiglie, tutt'al più bombe improprie, e i giovani che le scagliano contro gli agenti lo fanno solo perché la vampata dello scoppio e dell'incendio breve che segue, bloccando l'agente dà loro giusto il tempo di scappare. Non tutti i giovani sono difatti tanto criminali da usare le molotov per dare fuoco alle automobili in sosta. Sono le testuali argomentazioni da me raccolte ieri ed oggi fra genitori benpensanti, per i quali sarebbe dunque più reato colpire la proprietà privata che la forza pubblica. Sempre secondo le stesse fonti, bisogna rallegrarsi che l'attuale gioventù, studiosa o non studiosa che sia, abbia per intanto « rotto » con la politica. Era ora: essa non si interessa più di nulla, per fortuna, né del Che né di Mao, morto anche questo finalmente, ma soprattutto si è schierata contro Berlinguer. I giovani di oggi sono molto divisi fra loro, in tante formazioni concorrenti e diverse: ma un'idea felicemente u accomuna, anti-pci quali son tutti. Contro Lama / genitori benpensanti hanno così cominciato a tirare il flato e ad essere tranquilli sul conto dei loro figli protestatari, ed a provarne anche un sentimento un po' orgoglioso, esattamente dal giorno della fine di febbraio che il Lama segretario generale della Cgil fu contestato dagli studenti sul piazzale della Minerva della città romana degli studi. Che dico, contestato? Costretto a chiudere il comizio, anzi a scappare dal cancello posteriore dell'università, dopo essere stato coperto di ingiurie. Che dico, ingiurie? Furono sputi in faccia, mi raccontano. Non si capisce quindi perché il ministro dell'Interno scagli i suoi poliziotti e i suoi carabinieri contro una gioventù che sta dando la prova di così baldo anticomunismo. Non hanno torto, allora, i giovani che scrivono sui muri «Kossiga boia», e invece ha torto il sindaco di Roma che manda gli spazzini a cancellare le scritte. Se ne è vista qualcuna che dice « Argan boia», e gli sta bene, comunista anche luì. E' stata questa l'occasione in cui l'opinione media di Roma ha commesso il suo errore più grosso nel valutare un avvenimento politico di così pesante importanza. Si è rallegrata del loro evidentissimo ed ostentato anticomunismo, come se al di là del Pei non ci fossero pericoli più gravi per una normale convivenza civile in Italia. Ma a Roma non da oggi abbiamo la sensazione che i problemi nazionali siano tenuti in scarsa considerazione. Questa mattina passeggiavo in Piazza del Popolo dove la furia dei giovinastri dell'altro ieri ha lasciato i suoi segni, e guardando ad un muro mi è capitato di leggere la scritta: « Roma merda », in altissime lettere disegnate dallo schizzo di una bombola spray. « Bada — mi ha detto l'amico che mi accompagnava — che non si riferisce alla città capitale, ma alla omonima società di calcio ». Tra le rovine, i danni, le devastazioni dell'incursione di teppisti estremisti sedicenti rivoluzionari, non è rimasto a Roma altro da guardare se non lo sfogo di un tifoso afflitto da una forse povera prestazione della squadra del suo cuore. Non c'è da ridere né da rallegrarsi: Roma è purtroppo aperta ad ogni assalto perché continua a pensare ad altro, o a non pensare. Vittorio Gorresio

Persone citate: Argan, Berlinguer, Cossiga, Guevara, Magri, Mao, Mimmo Pinto