Arte dei monti di Marziano Bernardi

Arte dei monti LA MOSTRA SULLA VAL DI SUSA Arte dei monti La splendida esposizione, affascinante anche per il suo aspetto spettacolare che si visita nella Galleria civica d'arte moderna di Torino (via Magenta 31), è l'ampliamento ed il perfezionamento, portato alla massima completezza dell'indagine storica e artistica, della « Mostra diocesana di arte sacra », pur essa bellissima, che nel 1972 si tenne a Susa, guidata dal monsignore Severino Savi e dai tecnici della soprintendenza per i Beni artistici e storici del Piemonte (ricordiamo anche la collaborazione di Noemi Gabrielli), in occasione delle celebrazioni del secondo centenario della diocesi segusina. L'augurio espresso allora da questo giornale che quella mostra fosse trasferita a Torino per offrirne il godimento e lo studio a un pubblico più vasto non poteva realizzarsi in modo migliore. Ma una precisazione è subito doverosa. Questa imponente rassegna, generata da quella di Susa, è ovviamente, dato il suo nucleo originario, una mostra di arte sacra benché non le manchino alcune testimonianze profane; però è anche, e forse essenzialmente, il riflesso di una cultura, d'una vita materiale e morale soggetta alle più varie contingenze storiche, vita e cultura intimamente connesse con un territorio dai tipici caratteri alpestri, Nel suo ampio discorso rivolto a un pubblico foltissimo prima dell'inaugurazione, il professor Enrico Castelnuovo, dell'Università di Losanna, il quale altre volte ha acutamente indagato il tema delle Alpi crocevia di tendenze artistiche, ha chiarito questa situazione di cultura legata più di quanto non sembri con l'organizzazione e le trasformazioni del territorio e degli insediamenti umani nella valle di Susa, di cui parla Liliana Pittarello nel catalogo. * * Il panorama di questa (da considerare unitariamente nelle sue diverse proposte) si amplia dunque oltre la contemplazione delle opere d'arte esposte, e non è quindi motivo di sorpresa la vista delle grandi carte topografiche che tappezzano una parte delle pareti, capolavori di cartografia che Mario Carassi, dell'Archivio di Stato di Torino, commenta sul catalogo. Proprio perché una di esse con le valli di Susa comprende parti del Delfinato e della Moriana, abbiamo una indicazione degli scambi culturali che avvennero naturalmente sui due versanti del Monginevro e del Moncenisio, e di qui tra regioni più lontane che la barriera montuosa più che dividere univa. Quest'indicazione è sufficiente a definire una mostra che contiene capolavori (citiamo i dipinti del Maestro della Trinità di Torino, del Maestro della Sant'Anna di Torino, degli ultimi decenni del Quattrocento, pittori ancora senza nome malgrado lo splendore delle loro opere; citiamo il cosiddetto Trittico del Rocciamelone, titolo riferito a una leggendaria impresa alpinistica, bronzo inciso e dorato verso il 1358 da un ignoto orafo di Parigi; oppure il raffinatissimo altorilievo in alabastro, Incoronazione della Vergine, già — almeno sembra — alla Novalesa, forse di scultore inglese della prima metà del Quattrocento); ma che li vuole inseriti in un vasto contesto di opere più modeste (le tante sculture lignee devozionali, spesso di livello quasi artigianale, ma con superbe eccezioni come i Crocifissi di Bussoleno, di Venaus, della Novalesa, o il Compianto sul Cristo morto, inizi del Cinquecento, che pervenne al Museo civico di Torino dalla valle di Susa ), le quali nel loro insieme definiscano una situazione culturale di « arte delle Alpi ». E' questa l'impresa, benemerita anche dal punto di vista del reperimento, della catalogazione, dell'eventuale restauro, speriamo della tutela e della difesa dai furti, dei Beni artistici e storici d'uno specifico territorio (e proprio alle iniziative sorte nei «territori», più che nei grandi musei o nei centri storici famosi, si affida — secondo il soprintendente Franco Mazzini — la conservazione dei nostri Beni culturali), cui si è accinta, organizzando la mostra, l'equipe capeggiata dal professor Giovanni Romano, direttore della Galleria Sabauda e docente nell'Università di Torino: una schiera di valentissimi studiosi animati da uno spirito di reciproca collaborazione, tecnicamente coordinati, per l'allestimento dell'esposizione, da Silvana Pettenati, del Museo civico di Torino. Non possiamo ricordarli tutti. I loro nomi, del resto, almeno in parte, firmano i testi che compongono il magnifico volume illustrato « Valle di Susa. Arte e storia dall'XI al XVIII secolo » a cura di Giovanni Romano, ch'è presentato come il catalogo della mostra, ma che in realtà da oggi è un contributo esaustivo e insostituibile alla conoscenza dell'arte antica piemontese. * * Basta infatti, a confermarlo, l'indice dei capitoli, dopo la presentazione dell'assessore alla cultura del Comune di Torino, Balmas, e la premessa del soprintendente Mazzini: Giovanni Romano, « Per la Valle di Susa: un dossier di problemi »; Severino Savi, « La mostra diocesana di arte sacra a Susa »; Liliana Pitiarello, « Antica organizzazione ed attuali trasformazioni d'uso del territorio e degli insediamenti umani nella Valle di Susa »; Marco Carassi, « Schede per le carte topografiche»; Tullio Telmon, « Alcune considerazioni sulla situazione linguistica della Valle di Susa »; Guido Gentile, « Documenti per la storia della cultura figurativa in Valle di Susa »; Elena Rossetti Brezzi, « La pittura in Valle di Susa tra la fine del Quattrocento e i primi anni del Cinquecento »; Costanza Segre Montel, « Antiche biblioteche e codici miniati in Valle di Susa ». Si aggiungano le schede per le sculture, le oreficerie ed i lavori in metalli diversi, i dipinti, di Giuliano Gasca Queirazza, Guido Gentile, Giovanni Romano, Michela di Macco (per i tessuti, i ricami e i cuoi impressi); e di M. Carassi, L. Pittarello, E. Rossetti Brezzi, S. Savi, C. Segre Montel, T. Telmon: lavori che talora sono veri e propri « mostri » di erudizione, come il capitolo del Gentile. Ora il lettore vorrà sapere come si presenta questa mostra d'arte montana o giunta per tortuose vie in mezzo ai monti. Glielo diciamo in poche parole, pur esortandolo ad un accertamento personale. La scultura ha la parte del leone, Cristi, Madonne, Santi, in figure isolate od in composizioni, più o meno narrative (per esempio la Messa di San Gregorio di Chateau Beaulard che, prima del furto dell'anno scorso delle figure in legno policromo, costituiva, dice il Gentile, « un episodio di capitale importanza nella storia della scultura della regione alpina occidentale fra Quattro e Cinquecento »; ed è esposta soltanto la cassa dell'ancona come documento significativo d'una tipologia): una scultura, tolti pochi esempi, di carattere stra¬ ordinariamente genuino, quasi popolaresco, con policromia accentuata, quando è originale. Segue, per vistosità e preziosità, l'oreficeria sacra (ma si guardino anche i due ammirevoli picchiotti dell'antico portale del Duomo di Susa, forse di un bronzista mosano della prima metà del XII secolo): chasses, croci professionali, calici, busti e bracci reliquiari, piatti per offerte, patene, ampolle; e di parecchi di questi pezzi si conoscono gli autori: Johannes Bos (un lombardo? uno svizzero?), Jean Lestelley di Grenoble, André Leveneur di Grenoble, Jean Sibut di Lione, Louis Catinet di Lione, Pietro Novalese di Torino. Vengono poi, numerosi, i messali, le bibbie, i codici miniati (si pensi ai tesori, già nel IX secolo, della biblioteca della Novalesa, di cui qui vediamo l'impressionante Biblia Magna); quindi i paliotti e i paramenti sacri; infine i relativamente pochi dipinti, tra i quali i capolavori già citati; pochi, si, ma di eccezionale interesse, come l'affresco dei Mesi, salvato in extremis dalla rovina del luogo ove si trovava a Susa, le tavole del Maestro di Cercenasco, del Maestro del Coignat, del Maestro del trittico di Susa (San Giusto). Ancora anonimi questi maestri, ed anche ciò è un indice della situazione culturale che s'è detto. Opere che provenivano per doni a prelati o signori da finitime o lontanissime contrade (l'alabastro forse inglese, il trittico parigino); artisti ambulanti, magari con qualche aiuto formante un atelier, giunti d'oltre confine, dalla Lombardia, dalla Germania meridionale, dalla Svizzera, dalle terre orientali di Francia, Provenza, Borgogna; uno scambio continuo di gusti, di esempi figurativi, un incrocio di correnti artistiche accolte come « novità », S'avvicendavano guerre, carestie, pestilenze; la valle di Susa immiseriva, si spopolava, piombava in un letargo, poi, con un barlume di benessere e di pace, rifioriva, e il lavoro degli artisti indigeni riprendeva, si richiedeva l'opera di artisti di fuori: c'era sempre un parroco che desiderava un'ancona scolpita per la sua chiesa, un pievano che voleva una statuetta sacra per la sua cappella. L'arte della provincia alpina riflette queste alternative storiche, ne è il commento religioso ed umano. Di qui il fascino di questa mostra esemplare. Marziano Bernardi