Il "divo,, sorride ma in fondo ha paura di Luciano Curino

Il "divo,, sorride ma in fondo ha paura Il "divo,, sorride ma in fondo ha paura (Dal nostro inviato speciale) Milano, 11 marzo. L'aula grande della corte d'assise è trasformata in una sorta di fortilizio. Transenne, posti di controllo, documenti alla mano. Una cinquantina di carabinieri, e alcuni hanno la radio ricetrasmittente. Altri carabinieri precedono e seguono i barellieri tutti in bianco che trasportano Vallanzasca, e c'è anche un cane poliziotto ben nutrito e fremente. La folla da non credere, ma delusa perchè non riesce a vedere il bandito, che è steso sulla brandina e attorniato dai carabinieri. E quando, finita la breve udienza, lo porteranno via dall'aula, tre o quattro ragazze si faranno sentire: «Ciao, ciao. Renato». Così, Vallanzasca deve sentirsi una specie di divo delle assise. Il suo carnet è fitto di impegni giudiziari. Dopo il processo romano per detenzione di armi (sette anni), lunedì scorso è stato condannato qui a Milano per evasione (tre anni). Ora siamo al processo per i rapimenti di Emanuela Trapani e dell'architetto Balconi. Nei prossimi giorni altri giudici lo aspettano. «Vallanzasca, se potesse tornare indietro, che strada sceglierebbe? Ancora quella del fuorilegge?». Pare contento delle domande e sorride: «Già una volta sono tornato indietro e avete visto, no?». Probabilmente ricorda il primo processo, la paternale del giudice e il perdono del tribunale minorile. L'occasione di scegliere la strada buona l'ha avuta, ma l'ha rifiutata. «E' pentito di qualcosa?». «Di alcune cose si, di altre no». E' soddisfatto delle sue risposte, ritiene che mantengano vivo il mito Vallanzasca. Ma la sua recita è forzata, suona falsa. Non è più tanto spavaldo come è apparso alla televisione dopo l'arresto, il 15 dello scorso mese. Smagrito, sciupato, ha l'aria di chi non dorme abbastanza. Ha la barba di due o tre giorni, e questo è segno che si lascia andare. «Lei ha un bimbo, Massimiliano. Ci pensa qualche volta?». «Sì, e allora sento il rimorso». Risponde svelto alle domande e ne aspetta altre. E' contento che gli si parli, gli piace avere gente attorno, sentirsi al centro dell'attenzione. I fotografi lo abbagliano con i flashes e protesta: «Ma mi state accecando», e intanto sì mette in posa. «Vallanzasca, dicono che lei abbia ucciso dodici persone». «No, mi hanno attribuito un sacco di cose che non ho commesso». «Però lei ha detto che almeno la metà delle accuse possono essere vere». «Forse in qualche delitto io c'entro. Ma non in tutti quelli che mi gettano addosso». «Si sente un personaggio?». «Mi avete creato voi. Ma il personaggio Vallanzasca costruito dai giornali non mi fa comodo. Con mt avete giocato di brutto». «Furti, rapine, tutti gli altri delitti e quella frenesia di sparare è stato per sentirsi qualcuno, primeggiare, essere un capo?». «E' molto difficile rispondere a questa domanda. Forse a livello di inconscio sì». «L'altro ieri banditi hanno sparato e ucciso a Milano. Si dice che sono della banda Vallanzasca. E' vero?». « Ormai chiunque spara è della banda Vallanzasca ». Gli domandano quanti milioni del riscatto Trapani ha bruciato il suo luogotenente Colia nella vasca da bagno quando la polizia stava per irrompere nel covo della banda. Dalla lettiga si volta verso il banco dove sono gli altri imputati e chiede scherzoso a Colia: « Antonio, quanti milioni hai bruciato? ». Colia allarga le braccia, un gesto che significa che non lo sa. E scoppia a ridere. Anche gli altri imputati, le ragazze soprattutto, ridono e premono verso l'estremità del banco per essere più vicini a Vallanzasca, scambiare frasi e battute e anche Vallanzasca pare molto allegro, ma nei suoi occhi ci sono lampi d'inquietudine o di paura. Luciano Curino

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