«Olandese» di Wagner tra vecchio e nuovo di Massimo Mila

«Olandese» di Wagner tra vecchio e nuovo "Il vascello fantasma,, al Regio «Olandese» di Wagner tra vecchio e nuovo Tipica opera di transizione e di crisi, // vascello fantasma non trova facilmente giustizia. Paragonandolo al Rienzi, i contemporanei ci rimasero male. Noi lo paragoniamo alla Walkiria o al Tristano e rischiamo di non scorgervi altro che buone intenzioni non concretate. Pure in un'epoca come la nostra, in cui la musica, tra la deplorazione generale, volge le spalle a un passato glorioso ma irrevocabile, non si può rimanere insensibili al fascino di quest'opera acerba in cui Wagner per la prima volta si allontanò deliberatamente dalle consuetudini operistiche convenzionali, e tra la costernazione di sua moglie e dei suoi primi estimatori si avviò per una strada lunga, aspra e irta d'incognite. Il nuovo e il vecchio si affiancano, nel Vascello fantasma, e spesso il vecchio rischia di fare la figura migliore per le orecchie pigre, sia quando interviene involontariamente, perché Ja coscienza artistica del compositore non è ancora pienamente matura, sia quando il compositore invece ricorre apposta ad uno stile convenzionale, com'è il caso di tutta la parte del prosaico e bonario personaggio di Datando, tagliata nello stesso legno del solido realismo di Kurvenald, con la differenza che nel Tristano la banalità del quotidiano servirà a far tanto più risaltare la verità assoluta dell'altro mondo in cui vive la passione dei due protagonisti; invece qui essa stinge talvolta sulla parte dell'Olandese, nei duetti e colloqui dei due personaggi. La grandezza di Wagner maturo saprà recuperare e conservare, nella dimensione del mito, la pienezza della realtà (basta pensare a Wotan!). Invece questo Olandese resta ancora imprigionato nella scocciantissima funzione di « simbolo ». Lui è il simbolo dell'Uomo-che-ha-tantovissuto e che incanta le ragazzine col fascino delle tempie grigie e con l'alone delle sue misteriose sventure; sventure che per altro non si vedono nell'opera e bisogna apprenderle dalla ballata di Senta, un personaggio, questo, che è invece già tutto vivo e quasi pienamente realizzato. Come negare che i passi ancora convenzionali (per esempio il coretto delle filatrici nel second'atto) sono spesso più felicemente riusciti, da un punto di vista edonisticamente formale, meglio torniti che molti monologhi dell'Olandese (la sua presentazione nella seconda scena del primo atto, il suo lungo duetto con Senta nel secondo), dove Wagner è alla ricerca di quella prosa musicale lungamente distesa, fuori delle simmetrie formali, che ben presto gli permetterà di stendere i « racconti » di Tannhauser e di Lohengrin, e poi di dare un linguaggio universale e inesauribile al mondo della Tetralogia e degli altri capolavori? Ma non mancano, già in quest'opera di giovinezza, i momenti di vera grandezza, come il magico arrivo del vascello e la prima sortita dell'Olandese, e soprattutto il suo ingresso in casa di Datando, quando in un crescendo allucinante d'identificazione tra sogno e realtà appare agli occhi di Senta l'oggetto della sua pietà, lo sconosciuto uomo del ritratto, il navigatore solitario e maledetto, e il suo sguardo incatena quello della fanciulla in una presa magnetica ch'è già quella che avvincerà Tristano e Isotta fino alla morte. Certo, la convivenza fra comodità antiche e audacie moderne non è facile nella musica di quest'opera, ma se si è abbastanza eclettici da saperne fare la somma, invece che sot¬ trarre le une alle altre, e se si riesce a godere di entrambe, il bilancio dell'opera risulta positivo. Tanto più quando l'esecuzione è buona, com'è complessivamente quella offerta dal Regio, sotto la direzione generosa, spesso fiammeggiante, oppure delicatissima di Nino Sanzogno, nei limiti — si capisce — consentiti dalle oggettive possibilità dei mezzi a sua disposizione. In orchestra l'intonazione dei fiati potrebbe essere migliore. Il coro, che pare avesse fatto tante storie per cantare in tedesco, se la cava in complesso assai bene, anche se in qualche momento di maggior tripudio nel terzo atto rischia di perdere il contatto con l'orchestra; ma meglio correre certi rischi occasionali, che restare impalati in un'esecuzione cautelosa e prudenziale. In scena c'è una buona compagnia, con un grande nome bayreuthiano nella parte del protagonista: specialmente nel gioco delle mezze voci il baritono Donald Me Intyre sfoggia tutti i sortilegi dello specialista wagneriano; quando la parte richiede spiegamento di energia, allora l'intonazione riesce talvolta compromessa, e la voce rivela tracce d'usura. Il gigantesco basso Bengt Rundgren ha facile gioco in quella parte di Datando che ha la prerogativa di riuscire simpatica perché riposa dalle complicazioni e dalle altezze mitiche degli altri personaggi. Buona l'interpretazione dei due tenori, Hermann Winkler e Franco Ricciardi, pur nei rispettivi limiti vocali, e del mezzosoprano Rosemarie De Rive. Ma la perla dello spettacolo è Senta. Il soprano Siv Wennberg ha una voce piena, forte e purissima. Un'intonazione assoluta che scocca gli inter¬ valli precisi, facendo sempre centro in mezzo al bersaglio della nota, senza fastidiosi strascicamenti alla ricerca dell'altezza voluta. Una possibilità sorprendente di variare la dinamica della nota, gonfiandola dal piano al fortissimo senz'ombra di incrinatura. E un'azione scenica intensa, gesti sempre appropriati e scattanti, decisi: il personaggio della ragazzina romantica e infatuata vien fuori completo. Che magnifica Brunilde o Siglinda sarebbe costei! E come tale ci auguriamo che ritorni nel nostro teatro. Le scene di Oldrich Simacek, del Grand Théàtre di Ginevra, permettono di realizzare efficacemente, tra nuvole e vapori del mare in tempesta, la magica apparizione del vascello fantasma nel primo atto, e la sua sparizione nel terzo; un po' meno perspicua l'assunzione in cielo dei protagonisti redenti alla fine dell'opera. E, per via dell'impianto fisso, il pavimento della casa di Datando è inclinato come la tolda della sua nave. La regìa di Jean-Claude Riber muove vivacemente le masse dei marinai, con zeffirellesche discese e salite alla fune. Unico arbitrio il colpo, veramente troppo facile e inaccettabile, di fare apparire l'Olandese solo in casa di Senta nel secondo atto, prima del padrone di casa, rendendone inopportune le prime parole. Successo, ma un po' tiepido, certamente inferiore ai meriti dello spettacolo. (Perché al Regio debbono passare tanti minuti prima che gli artisti vengano alla ribalta a ringraziare? Non sarebbe meglio, allora, riaprire subito il sipario sull'ultima scena?). Certamente crescerà nel corso delle numerose repliche. Massimo Mila

Persone citate: Franco Ricciardi, Hermann Winkler, Nino Sanzogno, Rienzi, Rosemarie De Rive, Tristano

Luoghi citati: Ginevra