Bologna: stupore, poi paura di Francesco Santini

Bologna: stupore, poi paura D'improvviso si vive l'incertezza delle ore difficili Bologna: stupore, poi paura Il proiettile che ha sione che sembrava ucciso lo studente di Medicina ha riportato in alto una tenaffievolirsi dopo un inizio di dialogo tra Rettore e studenti (Dal nostro inviato speciale) Bologna, 11 marzo. D'improvviso Bologna vive l'incertezza delle ore difficili. Sotto i portici del quartiere Irnerio si respira un'aria diversa, carica di paura. Nel cuore universitario della città più rossa è caduto uno studente di Bari. Tutto è successo all'improvviso, quando il vento dell'autonomia, che qui soffiava con espressioni singolari, sembrava spegnersi in un riflusso deciso. Bologna è stupita e stasera s'interroga sul suo ateneo: 54 mila iscritti e 20 mila fuori sede, respinti, spesso, in sacche d'emarginazione che qui appaiono gravi, più nette, nel confronto con quel mezzo milione di abitanti che ricevono in assoluto, nel Paese, la quantità maggiore di servizi sociali. Ma per gli studenti è diverso: l'integrazione sì mostra complessa, il contatto con la città, faticoso. Il proiettile che ha ucciso Pier Francesco Lorusso arriva in un momento in cui la tensione sembrava smorzarsi. Due iniziative erano apparse risolutive: l'incontro tra sindacati ed autonomi nell'ex sala Borsa di Palazzo D'Accursio e il confronto, pur burrascoso, tentato due settimane fa dal Rettore, con il Movimento degli studenti in un'assemblea che aveva acceso il Palazzo dello Sport. Nell'ex sala Borsa non c'erano gli «indiani metropolitani» ma per la prima volta, in Italia, gli ultras avevano accettato il confronto con i quadri sindacali e con ì giovani della Federazione giovanile comunista. L'avvenimento era stato seguito con trepidazione dai militanti del pei schierati agli ingressi, confusi in platea. Bologna si batteva per riassorbire le sue sacche d'emarginazione, per superare lo choc dei raid notturni degli autonomi, delle vetrine infrante del caffè Zanarini, degli slogans contro il pei disseminati sulle pareti restaurate degli edifici del centro storico. Una settimana più tardi, era il 25 febbraio, l'assemblea al Palasport con 5 mila studenti ad ascoltare il Rettore per un confronto che a tratti si era fatto incandescente. Il momento di maggior tensione s'era registrato quando, al microfono, si era presentato un giovane di «Comunione e Liberazione ». « Seveso, Seveso», aveva gridato l'assemblea in un boato assordante, «Via gli agenti della Cia», aveva urlato dagli spalti più alti, mentre un manipolo di autonomi strappava il microfono all'esponente di C.L. protetto dai militanti del pei che gli facevano scudo con i corpi. Infine, calmissimo, il rettore Rizzoli. Sotto una pioggia di «Scemo, scemo», era riuscito a tirare le fila di una giornata che appariva interminabile. Era toccato a lui, considerato il rappresentante della componente più moderata del Corpo accademico bolognese, dialogare con gli ultras dell'autonomia. Dossettiano, biologo di professione, Rizzoli era stato contrapposto nelle ultime elezioni all'ex rettore Carnacini, ritenuto il candidato delle sinistre. Lo aveva battuto al primo scrutinio e il suo insediamento era passato, in città, quasi inosservato. Al Palazzo dello Sport, Rizzoli aveva condotto un intervento misurato che le sinistre avevano mostrato di gradire. Aveva chiesto la collaborazione di tutte le forze politiche, sino a strappare l'applauso dei militanti comunisti presenti in sala. Pronto a riassorbire quell'opposizione che in autunno aveva contrastato la sua elezione, calmissimo Rizzoli aveva rilanciato il tema dei rapporti tra università e città, vero nodo di Bologna. L'Università è di fatto la più grossa industria di Bologna, l'unica che attragga un'immigrazione impropria nella città che dal dopoguerra non registra, di fatto, un incremento demografico degno di rilievo. Contro i « revisionisti » del pei s'erano scagliati in questi giorni gli appelli di Radio Alice, un'emittente privata che si ispira alle posizioni dell'Autonomia. C'erano stati e . a a a n l o a i i episodi di autoriduzione, compresi con qualche ritardo. A Bologna gli ultras erano stati scambiati, appena in gennaio, per « figli di papà ». La città aveva stentato a capire il fenomeno che si nascondeva nel suo ateneo. Poi, dopo U « giovedì nero » di Roma, era stata fatta l'autocritica. In strada, era sceso il segretario della Federazione comunista, Imbeni, per una manifestazione in piazza Scaravilli che il Movimento degli studenti aveva disertato. Imbeni incarnava la volontà del partito di saldare la città all'Università, in tutte le sue contraddizioni non taciute: dalle mense affollate, agli alloggi inesistenti, agli spazi per il tempo libero, insufficienti, come le biblioteche e le case per studenti. cvclcngpdptsdcvmvavi Ma Imbeni appariva preoccupato: « A Bologna — diceva — pur nelle perplessità, il clima è ancora diverso e allora — si domandava — perché innescare la provocazione? ». Eravamo ancora ai giorni caldi e adesso le forze politiche ripetono che questo di oggi è il risultato di una provocazione sottile, di una tensione che, infine, è esplosa. A cadere è uno studente di Medicina: l'unica facoltà che non aveva conosciuto il vento della rivolta, e che «Comunione e Liberazione» aveva scelto stamane per la sua assemblea, convinta di trovare un terreno più facile per inserirsi nel movimento che sino ad ora l'ha sempre respinta. Francesco Santini Bologna. Barricate nella zona dove sono avvenuti gli scontri tra polizia e studenti

Persone citate: Imbeni, Pier Francesco Lorusso, Radio Alice, Rettore, Zanarini