La Jugoslavia chiede a Mosca controllo sui "cominformisti"

La Jugoslavia chiede a Mosca controllo sui "cominformisti" Il ministro degli Interni ricevuto al Cremlino La Jugoslavia chiede a Mosca controllo sui "cominformisti" (Dal nostro corrispondente) Mosca, 9 marzo. In forma ufficiale, ma senza alcuna pubblicità, il ministro degli Interni di Belgrado, Franjo Herljevich, è venuto a porre ai dirigenti sovietici la questione dei gruppi stalinisti jugoslavi che, rifugiatisi in Urss nel 1948, di qui alimentano la propaganda contro il regime di Tito. Non rilevanti oggi, gli effetti della loro continua azione potrebbero arrivare ad incidere sulla Jugoslavia all'indomani della scomparsa del vecchio maresciallo, introducendovi un ulteriore elemento di possibile divisione. Lo stesso Tito, preoccupato, affrontò l'argomento con Breznev nel novembre scorso, a Belgrado, ricevendone però risposte elusive. Ciò che non può sorprendere: sebbene a volte imbarazzanti, i «comin¬ formisti» del «partito comunista jugoslavo», molte centinaia di attivisti concentrati tra Kiev e Odessa, in Ukraina, e Leningrado, rappresentano pur sempre per il Cremlino una carta nel cassetto. Nel corso di un'intera settimana, l'ultima di febbraio, Herljevich ha incontrato varie volte e a lungo il collega sovietico Sergeij Sholokov e Juri Andropov, responsabile del comitato per la sicurezza dello Stato, il Kgb, e membro dell'ufficio politico. Entrambi uomini assai vicini a Breznev, da lui posti alla testa della polizia e dei servizi segreti rispettivamente e promossi l'estate scorsa generali di corpo d'armata, hanno manifestato al ministro jugoslavo una notevole disponibilità al dialogo. Una flessibilità sul tema specifico in questione spiega- bile, almeno in parte, con il fatto che da qualche tempo il grosso del «partito comunista jugoslavo» ha seguito il proprio segretario generale, Stevan Perovich, in Bulgaria. Una migrazione che vuol essere una marcia di avvicinamento, tanto più minacciosa se si tiene conto dell'irrisolta vertenza macedone tra Sofia e Belgrado. Le frizioni tra le due capitali per definire nella zona una frontiera reciprocamente soddisfacente sono periodiche e destinate a divenire più frequenti nel caso in cui la morte di Tito produca effetti centrifughi nel sistema federativo jugoslavo. L'attività degli antititoisti sul territorio sovietico potrebbe quindi essere frenata senza sostanziale pregiudizio per i piani futuri dei «falchi» del Cremlino. I jugoslavi non lo ignorano. Ritengono tuttavia che, in ogni caso, Perovich ne vedrebbe ridotta la propria capacità di movimento e potrebbe allora trovare minor ascolto anche presso Zhivkov. Della stessa opinione, senza però far mostra di apprezzarla, è apparso Grigorij Romanov, capo del partito a Leningrado e ritenuto uno dei maggiori esponenti dell'ala dura del Politbjiuro. Ricevuto Franjo Herljevich, ha trattato a fondo con lui i problemi dell'ordine pubblico in una grande città, ha ascoltato con interesse quanto l'interlocutore aveva da dirgli della lotta condotta dal governo e in particolare dai servizi di sicurezza di Belgrado contro gli ustascio. Ma non ha assunto alcun impegno circa l'atteggiamento che assumerà verso i «cominformisti» jugoslavi che agiscono nella provincia baltica. Limitando di fatto, in tal modo, anche quelli già presi da Andropov. E malgrado questi si fosse già consultato con Breznev, c'è chi ritiene che la questione verrà portata all'ufficio politico. Almeno su certi temi, non ci sarebbe dunque una perfetta coincidenza di vedute all'interno del gruppo dirigente sovietico. | z