Sacco e Vanzetti, dopo 13 anni di Giuseppe Mayda
Sacco e Vanzetti, dopo 13 anni In tv il famoso processo ai due anarchici Sacco e Vanzetti, dopo 13 anni Lo sceneggiato con la regia di Giacomo Colli fu realizzato nel 1964 Il 1921 fu un anno eccezionale per gli Stati Uniti: il Congresso ratificò il trattato di pace con la Germania, la produzione salì dell'I 1,6 per cento, il presidente Harding festeggiò il terzo centenario dello sbarco dei Padri Pellegrini, O'Neill vinse il Pulitzer con Anna Christie, Rodolfo Valentino entusiasmò nei Quattro cavalieri dell'Apocalisse, l'America impazzì per la canzone Lo sceicco d'Arabia e Dempsey mise k.o. Carpentier alla quarta ripresa. Il 31 maggio di quell'anno il tribunale di Dedham, Massachusetts, presieduto dal giudice Webster Thayer, processò due emigranti italiani, il calzolaio meridionale Nicola Sacco, 28 anni, e il pescivendolo piemontese Bartolomeo Vanzetti, di 34: secondo l'accusa, nel pomeriggio del 15 aprile 1920, a South Braintree, avevano rapinato le paghe del calzaturifìcio « Slater e Morrill » — 16.000 dollari in contanti — uccidendo a rivoltellate l'amministratore della ditta e una guardia giurata. Non vi erano prove contro Sacco e Vanzetti ma, entrambi, erano conosciuti come anarchici e attivisti sindacali. Tanto bastò perché i due « whop » — come venivano chiamati con sprezzo gli stranieri — fossero riconosciuti colpevoli anche se gran parte delle 59 testimonianze di accusa erano mendaci o inconsistenti e anche se gli imputati avevano un alibi: il giorno della sanguinosa rapina Sacco era a Boston, al consolato italiano, per le pratiche relative al suo passaporto e Vanzetti era stato visto, lontano dal luogo del delitto, col carretto del pesce. La sentenza si fece attendere a lungo perché l'indegno comportamento del giudice Thayer — che in aula aveva definito gli accusati « due anarchici bastardi » — scosse prima l'America e poi la coscienza civile del mondo. In loro difesa si batterono Shaw, Rollane!, Barbusse, Gide, Einstein. Non servì. Celestino Madeiros, il gangster che aveva davvero partecipato alla rapina, confessò negando di conoscere Sacco e Vanzetti. Non fu sufficiente. Sopraffatto dalle petizioni per i due italiani, il governatore del Massachusetts promosse una revisione del caso. Neanche questo bastò. Dopo sette anni di sfibrante lotta Sacco e Vanzetti vennero condannati a morte e giustiziati. Le proteste dilagarono con disordini a Londra, a Parigi e nella tranquilla Ginevra, la bandiera americana bruciata davanti al consolato degli Stati Uniti a Casablanca e comizi pubblici a Berlino, Varsavia, Buenos Aires, Marsiglia, L'Avana e Tokio. Ora il « caso » di Sacco e Vanzetti compare anche alla nostra televisione con uno sceneggiato di due puntate che va in onda giovedì 10 e venerdì 11 marzo, alle 20,40 sulla rete due: tratto dal romanzo di Reginald Rose e diretto dal regista Giacomo Colli, era stato girato a Napoli nel 1964; poi la tv ne rinviò per 13 anni la programmazione (e nel frattempo sono morti alcuni interpreti come Mario Ferrari, Andrea Checchi, Enrico Glori) « per ragioni di opportunità politica ad alto livello — dice oggi Colli — e, credo, per certe pressioni dell'ambasciata americana ». Ma, pur a mezzo secolo di distanza, questo sceneggiato consentirà allo spettatore l'esame storico di un'epoca che segnò duramente gli Stati Uniti sconvolti dagli scioperi dell'acciaio e del carbone, dai prezzi che salivano vertiginosamente, dal movimento operaio che chiedeva aumenti di salario e nuove condizioni di lavoro. L'America conservatrice, terrorizzata dalla rivoluzione sovietica, dalla catena di attentati e dalla di¬ lagante delinquenza, rispose con l'intolleranza politica: la caccia agli anarchici e ai sovversivi (simile a quella che trent'anni più tardi avrebbe condotto al maccartismo e alla tragica fine dei Rosenberg) fu più acuta proprio nel Massachusetts, uno Stato sensibilissimo a queste psicosi, che annoverava nella sua storia i giusti di Salem che mandavano al rogo le ragazze sospette di commercio col demonio, che aveva proibito la vendita delle opere di Walt Whitman e la cui colonia irlandese nutriva un vero odio razziale per le minoranze, guidata da una schiera di aristocratici — discendenti dei Padri Pellegrini — che imponeva leggi e abitudini di secoli. Sacco e Vanzetti erano anarchici, sì, ma nel modo affettuoso dei grandi utopisti, sognando una comunità umana stretta da vincoli di fratellanza; la loro innocenza è nelle parole di Vanzetti: « Cos'eravamo noi prima di entrare in carcere? Non rappresentavamo nulla, la nostra vita scorreva inutilmente. Adesso, grazie alla nostra morte, gli uomini sopranno fino a che punto possono giungere l'ingiustizia e la stupidaggine ». Quando Sacco, per primo, salì sulla sedia elettrica del carcere di Charlestown si rivolse ai presenti con parole ferme e chiare: « Buona sera, signori. Addio mamma, addio compagna, addio figli miei. Viva l'Anarchia! »; e Vanzetti (che Dos Passos aveva definito « l'anarchico dai meditabondi occhi sgombri di terrore») disse: « Vi perdono per tutto il male che mi avete fatto. Non ho ammazzato nessuno. Addio, signori ». Erano le 2,19 del 23 agosto 1927 e a quell'ora tutto il mondo guardava gli orologi nella speranza di una grazia che non venne e che ancora oggi attende. Giuseppe Mayda * - ,a»#a«Attenti LA STAMEi Sacco e Vfioretti giiistiasiati Sacco e Vanzetti, con la pagina del nostro giornale che dava notizia dell'esecuzione
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