Vallanzasca condannato a tre anni per evasione di Marzio Fabbri

Vallanzasca condannato a tre anni per evasione Vallanzasca condannato a tre anni per evasione Sette gli sono stati inflitti sabato a Roma - Era pallido e nervoso - La madre lo ha abbracciato ed è scoppiata a piangere - Grande folla per vedere il "divo" del crimine (Nostro servizio particolare) Milano, 7 marzo. Renato Vallanzasca è tornato a Milano, ma non come sperava. C'è arrivato in barella, a bordo di un'ambulanza, e poche ore dopo è comparso davanti ai giudici del tribunale per rispondere dell'evasione dall'ospedale «Bassi» avvenuta il 27 luglio dell'anno scorso. E' stato condannato a 3 anni di reclusione e 200 mila lire di ammenda; più lievi le pene per i suoi complici. Due anni di carcere e l'interdizione dai pubblici uffici per cinque sono stati inflitti a Nicola Sanese, 20 anni, l'agente di polizia che aveva accettato dal bandito una promessa di ti e milioni per lasciare aperta la porta della stanza. Jonnhy Ylic e Giovanni Garghentini, che aiutarono il bandito a fuggire, uno dall'interno dell'ospedale e l'altro da fuori, dovranno scontare 2 anni. Garghentini ha fruito dei benefici di legge ed è stato scar¬ cerato. Sabato scorso, Vallanzasca era stato condannato a sette anni e 800 mila lire di multa per il possesso di due pistole, trovate nel suo nascondiglio al momento dell'arresto. Gran folla al Palazzo di Giustizia e imponente schieramento di carabinieri. Pare improbabile che Vallanzasca possa tentare una nuova evasione nei corridoi pieni di gente, ma le forze dell'ordine non intendono correre rischi. Vallanzasca arriva in barella, convalescente per la ferita ad un gluteo riportata a Dalmine, quando furono uccisi due agenti della Stradale. E' pallido, le manette ai polsi. Gliele tolgono, ma i carabinieri gli tengono i mitra puntati addosso fino a che uno degli avvocati della difesa non interviene e chiede che le canne vengano abbassate, «perché gli fanno impressione». Vallanzasca è molto nervo¬ so. Lo si nota chiaramente: disteso sulla barella gioca con un pacchetto di sigarette ed uno di cerini. Si morde le unghie o le labbra. Di tanto in tanto sorride, probabilmente per dimostrare che è sempre lui «il Dillinger italiano», ma appare quasi patetico. Quando la madre, piccola, i capelli bianchi, e il patrigno Osvaldo Pistoia gli si fanno incontro per abbracciarlo, le lacrime agli occhi, ha come un momento di imbarazzo. I genitori vengono messi in fuga dai flashes dei fotografi cui Renato invece si sottopone di buon grado. Dopo qual che istante si secca e prega di smettere: «Non ci vedo più». spiega. La madre, seduta in un angolo, un giornale aperto davanti al viso per non farsi fotografare, se lo mangia con gli occhi, ma per il resto dell'udienza Vallanzasca non si gira più verso di lei. Il Pistoia continua a guardarsi intorno con aria spaurita, come se dovesse accadere qualcosa da un momento all'altro. Interrogato dal presidente, Vallanzasca si mostra spigliato. Esclude che Giovanni Garghentini fosse fuori dall'ospedale ad attenderlo sulla sua «124». «Con tutti gli amici che hanno la Porsche — dice il bandito — perché avrei dovuto fuggire con una macchina così lenta?». Gli chiedono se Jonnhy Ylic, lo slavo che avrebbe finto un malore pei attirare l'attenzione degli agenti di guardia, fosse d'accordo con lui. «No — replica deciso — non mi fido degli slavi». Poi ha parlato dell'agente di P.S. al quale ha offerto tre milioni perché lo lasciasse fuggire. «I soldi non ho fatto in tempo a farglieli avere — spiega — perché si è fatto prendere prima». Aggiunge: «Ho scelto il Sanese dopo avere sondato anche tre o quattro suoi colleghi. Ho preferito lui perché mi è sembrato più ingenuo». Il presidente chiede: «Allora anche altri sarebbero stati disponibili?». Un sorriso e Vallanzasca mormora: «Signor presidente, i noldi fanno comodo a tutti». Anche quando ha finito di parlare, Vallanzasca ci tiene a rimanere al centro dell'attenzione. Si sprecano sorrisi e battute scambiate con gli avvocati che, per la verità, lo assecondano molto. Il presidente interviene solo quando Vallanzasca si mette a chiosare, a gesti e boccacce, la requisitoria del pubblico ministero. Tutt'intorno, il pubblico gradisce tutto sommato questo show. E' venuto per questo. Rumoreggia quando l'affollarsi nell'emiciclo di avvocati, carabinieri e giornalisti impedisce di vedere bene il bandito. «Siamo qui da ore, vogliamo vederlo», si sente brontolare. Il presidente appare seccato, ma non. dice nulla. Fa sgomberare due o tre dei cento curiosi che sono riusciti ad infiltrarsi nel recinto riservato e va avanti. Per tutta la durata del processo entrano ed escono dall'aula ragazze, probabilmente segretarie di avvocati, che vogliono vederlo bene. Non fa più paura, e di tanto in tanto l'ex pericolo pubblico si succhia persino un indice. Marzio Fabbri Milano. Renato Vallanzasca, in tribunale, abbraccia la madre Elena (Telefoto Ap)

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