Taccuino di Vittorio Gorresio

Taccuino Taccuino di Vittorio Gorresio Complice di uno senza volto Io non invidio il giudice che dovrà stendere la motivazione della sentenza che venerdì scorso ha condannato a Roma il giovane architetto Fabrizio Panzìeri a nove anni di reclusione per «concorso morale» nell'assassìnio dello studente greco Mikis Mantakas, il 28 febbraio 1975 in via Ottaviano a Roma davanti ad una sede del msi. Non lo invidio perché mi sembra molto difficile motivare, cioè spiegare e giustificare, l'assurdo che sta alla base della condanna. Chi sia stato ad uccidere lo sventurato Mikis Mantakas non si sa. C'era un imputato, di nome Alvaro Lojacono, ma costui si è reso latitante, e il tribunale non è riuscito ad accertare la sua eventuale responsabilità, e pertanto lo ha assolto per insufficienza di prove. Ha però ritenuto di poter condannare Fabrizio Panzìeri essendo arrivato alla persuasione che costui avesse fornito «concorso morale» a un assassino che non si conosce. Come si faccia a dimostrare che uno ha moralmente contribuito ad un'azione criminale commessa da un ignoto senza volto, è un problema che supera, sorpassa, la mia più avventurosa fantasia. Dunque, di fronte ad un cadavere, un giudice si pone il problema di scoprire l'assassino, e non lo trova. Scopre però quegli che ha dato concorso morale al compimento dell'omicidio: come e in che modo ci sia stata una collaborazione con lo sconosciuto non ce lo dice, per la buona ragione che è impossibile accertarlo. Se due persone delinquono insieme, sarò pur necessario sentirle tutte e due; chiarire i modi dell'intesa criminosa, e per lo meno mettere a confronto ambi i partecipanti al delittuoso concorso. Il confronto è un espediente che nelle istruttorie è assai pregiato, usualmente: basti pensare a quello famosissimo tra Valpreda e l'autista milane- se che in un felice raptus di ispirazione lo aveva con sicurezza riconosciuto. Nel caso di Fabrizio Panzìeri non c'è stato bisogno di procedere a confronti. Questo architetto professa convincimenti politici di extra sinistra, perciò è nemico dei fascisti, perciò se capita che cada ucciso un fascista niente ci vieta di immaginare che lui, non dico ne sia contento, ma che una volta o l'altra ne avesse auspicato la morte, ed anzi forse fatto o detto qualche cosa che la morte ha potuto favorire. E' facilissimo immaginarsi i quesiti che un giudice si formula in coscienza: «E chi mi dice che il Panzìeri non abbia mai gridato morte ai fascisti? Può anche averlo scritto sui muri della città, con bombolette spray, ed ecco il risultato; c'è un fascista morto in via Ottaviano». L'anno scorso, in un libro intitolato «L'adunata sediziosa» il nostro collega Gianfranco Piazzesi aveva raccontato la spiacevole avventura di suo figlio — chiamato «il Piazzetta» — che si era trovato per caso in un quartiere del centro di Roma dove era avvenuto qualche disordine. Vestito come si vestono tutti i giovani di oggi, eskimo e jeans per esempio, capelluto o barbuto come tanti suoi coetanei, era stato acciuffato di lì a poco, nelle prossimità del luogo dei disordini, ed imputato di concorso in fatti delittuosi. Quello che gli ci volle per sottrarsi all'accusa infondata è raccontato molto bene nel libro di suo padre. Un giudice che lo avesse letto — ma forse i magistrati non tutti leggono libri sulla vita e le avventure degli italiani nell'Italia contemporanea — probabilmente avrebbe esitato prima di considerare evidente il concorso morale di Panzìeri arrestato in prossimità del luogo dell'assassinio di Mantakas. E in ogni modo, come è stato detto in questi giorni dagli esperti di diritto, la concezione di un concorso morale al compimento di un atto criminoso è giuridicamente labile. Essa confina con le intenzioni, cui non è giusto fare un processo. Ci fu un tempo, in Italia, che le intenzioni erano reato, ma era il tempo del fascismo. Un anarchico di nome Michele Schirru fu condannato a morte dal tribunale speciale e puntualmente fucilato, avendo egli appunto ammesso che si era proposto di uccidere l'allora duce Mussolini. Ricordo che tra i giornali in lingua italiana soltanto V«Osservatore Romano» dette la notizia in questi termini, più o meno: «All'alba di ieri è stata eseguita la fucilazione di Michele Schirru, reo di avere avuto l'intenzione di attentare alla vita del capo del governo italiano». Il conte Giuseppe Dalla Torre, direttore del giornale della Santa Sede, passò allora i suoi guai, costretto a rintanarsi in Vaticano per non farsi bastonare da teppisti del fascio di Roma. Erano tempi duri. Oggi che tutto è cambiato ed in un certo senso tutto si è rovesciato, vorrei almeno che non restasse in piedi la nefandezza giuridica del reato d'opinione.

Persone citate: Alvaro Lojacono, Gianfranco Piazzesi, Giuseppe Dalla Torre, Mantakas, Michele Schirru, Mikis Mantakas, Mussolini, Valpreda

Luoghi citati: Italia, Roma