Penosa visita alla "tomba,, di Cristina il pubblico piange; sconvolti i magistrati di Remo Lugli

Penosa visita alla "tomba,, di Cristina il pubblico piange; sconvolti i magistrati Lunga e angosciosa udienza al processo Mazzotti a Novara Penosa visita alla "tomba,, di Cristina il pubblico piange; sconvolti i magistrati Nella tragica cascina di Castelletto Ticino trovati documenti che saranno allegati agli atti del dibattito - Ascoltate (per 2 ore e mezzo) le agghiaccianti telefonate dei rapitori della ragazza: "Pagate, se no ve ne mandiamo un pezzetto al giorno" (Dal nostro inviato speciale) Novara, 4 marzo. La tragedia del sequestro e della morte di Cristina Mazzotti si è condensata oggi in una seduta che non ha concesso al suo contenuto drammatico un solo attimo di re¬ spiro: prima due ore e venti minuti di audizione delle telefonate intercorse tra i due «marsigliesi» e la famiglia Mazzotti; poi, a Castelletto Ticino, altre due ore nella cascina Padreterno a vedere i locali e la fossa, «una tomba» dice il presidente Caroselli I quando la vede, in cui Cristina visse ventotto giorni nel luglio '75. Ieri erano state ascoltate soltanto due telefonate, del giorno Ile del giorno 14, perché in quelle si era scoperto che il telefonista era Sebastiano Spadaro, calabrese, latitante. Oggi si sono sentite tutte le altre, in una angoscia straripante, nella rabbia impotente. Se Spadaro fosse stato anche lui nella gabbia quanti sguardi lo avrebbero fulminato di odio? C'era, tra il pubblico, gente che piangeva. Impassibili, come sempre, gli imputati. Mancavano Giuliano Angelini, la sua Pupetta Petroncini, Bruno Abramo, Gianni Geroldi e, dopo la prima ora, anche Luigi Gnemmi, che per la verità aveva sempre tenuto lo sguardo basso. Alla ripresa, dopo l'interruzione, ha chiesto al presidente: «Preferisco scendere nelle camere di dicurezza». Un mese di inferno per quella povera famiglia in balia di uno sciagurato che vuole a tutti i costi 5 miliardi e i Mazzotti che si disperano a dire giorno dopo giorno che i miliardi non ce li hanno, possono racimolare soltanto milioni. E ne danno via via il conto e dall'altra parte un essere ignobile, indegno dell'appellativo di uomo, che va avanti nella sua cocciutaggine. Il giorno 9 luglio, dopo la terza telefonata, Elios Mazzotti, il padre, è messo fuori combattimento, colpito da un infarto. Subentrano il figlio Vittorio, poi l'avvocato Salinari, infine un amico. Pasquale. Ecco un campionario di queste assurde, spietate risposte: «Io le ho chiesto quella cifra e deve pagare quella cifra se no altrimenti gliene mando un pezzettino al giorno». «Senta, allora le farò fare la fine di tutti gli altri». «Riceverà una lettera con un suo orecchio, ha capito?». I Mazzotti si disperano, pregano di assumere più precise informazioni sul loro conto, ma dall'altra parte si risponde: «Mi sta scocciando», «Le farò fare la fine di Paul Getty». Le minacce di morte non sono soltanto rivolte a Cristina, anche ai familiari: «Noi siamo abituati agli omicidi», «Sai quanta gente non è tornata a casa per fare i furbi?». Vittorio dice con voce rotta dal pianto: «Quella cifra non la troveremmo mai, dovessimo campare mille anni e lavorare mille anni». Risponde il «marsigliese»: «Non me ne frega niente, vada a rubare», oppure «Si metta a fare dei sequestri anche lei». L'offerta, a metà mese, è di 300 milioni. Rispondono i banditi: «Trecento milioni li mettiamo in un cerino e li bruciamo». Il 24, con l'intervento di un amico di famiglia. Pasquale, che dice di apportare suoi 400 milioni, dopo sette telefonate si raggiunge l'accordo su un miliardo e 50 milioni. E' ancora lo Spadaro che parla. Segue un silenzio di quattro giorni, il 29 una voce nuova (secondo la sentenza di rinvio a giudizio forse Francesco Gattini) fornisce le risposte che provano che Cristina è ancora in vita. Poi, il primo agosto, le ultime modalità per il versamento, ma Cristina è morta nella notte. C'è una ulteriore telefonata, il primo settembre, qualche ora prima che vengano trovati i resti della povera ragazza nella discarica di Galliate. Una voce nuova, sempre però con pronuncia calabrese, dice che Cristina sta per essere rilasciata, c'è stato un contrattempo: «E' stata investita ed è ingessata, l'abbiamo trattata meglio di una sorella». Alla cascina Padreterno dove la Corte si trasferisce nel pomeriggio, viene condotto anche Angelini perché dia spiegazioni di carattere tecnico. Tutti inorridiamo (della Corte fanno parte tre donne giudici popolari, altre due sono di riserva) davanti alla buca, profonda metri 1,45, lunga 2,65 e larga 1,68, che ora non sembra nemmeno tanto angusta, mancano la soletta di cemento che la copriva e la botola attraverso la quale passavano i carcerieri per alimentare la ragazza. - La cascina è sotto sequestro, porte sprangate che vengono aperte per l'occasione; all'interno un grande disordine, dopo che gli inquirenti nell'estate '75 hanno cercato i denari del riscatto. Li hanno trovati, una parte, ma hanno tralasciato molti documenti che sono a terra in mezzo al caos generale e che, alla luce di tutto il dibattimento sin qui svolto, paiono importanti (si leggono nomi di persone che sono venute a testimoniare su Angelini). Perché non furono raccolti? Il p.m. chiede che vengano acquisiti ora e la Corte accetta la richiesta. Angelini non ha battuto ciglio ieri mattina quando era presente in aula alla lettura delle due telefonate. Lo batte oggi, in quella che era la sua casa dove fu arrestato il 26 agosto '75. Si commuove fin quasi al pianto di fronte a un ingrandimento fotografico a colori che raffigura lui e « Pupetta » mentre si baciano (sembra una foto pubblicitaria di un film). Chiede al presidente se glielo lascia prendere e Caroselli sente il p.m. e. la parte civile. Il dott. Canfora acconsente, l'aw. Enrica Domeneghetti Smuraglia e l'aw. Graziano Masselli allargano le braccia, si vede che il loro è un consenso dato con grande fatica. E la foto viene portata nel bagagliaio dell'auto che trasporterà Angelini in carcere. Poi l'imputato chiede, ancora con successo grazie alla generosità del presidente Caroselli, di poter prendere da casa un vestito, un paio di scarpe, una fotografia di alcuni amici. Fuori dal cancello c'è, ammassata, la gente di Castelletto, specie i vicini. Angelini prega il capitano dei carabinieri Giannoccaro: « Per favore, quando partiamo, faccia venire la macchina qui davanti». Gli dispiace, poverino, farsi vedere ammanettato da coloro che lo credevano una brava persona. Remo Lugli Novara. Giuliano Angelini (a sinistra) durante il sopralluogo nella prigione di Cristina Mazzotti (Foto Giovetti)

Luoghi citati: Castelletto Ticino, Galliate, Novara