Nomi e Cognomi di Andrea Barbato di Andrea Barbato

Nomi e Cognomi di Andrea Barbato Nomi e Cognomi di Andrea Barbato Un pianeta senza orbita Ricavo da una testimonianza non sospetta, quella del Manifesto, la cronaca dell'assemblea nazionale degli studenti, quel raduno romano della disperazione e della protesta giovanile che è passato alle nostre storie giornalistiche come «la lunga domenica alla facoltà di Economia». Una domenica tesa, nella quale ha prevalso, come si racconta nel quotidiano, l'intolleranza, la violenza, la confusione. Mentre Milano si preoccupava di scansare le profezie della vecchina jettatrice, mentre nell'aula di Montecitorio si aggiungevano le sedie per la seduta sugli Hercules, mentre Carter si preparava a ricevere Bukowskl. (Un mondo maledettamente caotico, intrecciato: penso per un istante cosa avrebbe detto l'opinione pubblica mondiale se qualche anno fa — fatte salve le differenze — al Cremlino fossero stati ricevuti, con cordialità ed onori, Eldridge Cleaver o Jerry Rubin). Torniamo agli studenti. Possediamo già volumi di studi sociologici, inchieste sulla nuova rabbia, paragoni con il Sessantotto, analisi sulla riscoperta delle emozioni private e delle fantasie murali, viaggi nelle tribù confinate in riserva, testi sulla nuova poesia degli emarginati. Per una volta, leggiamo in controluce ciò che è accaduto, domenica scorsa, nella facoltà ospitata in un palazzo della Roma rinascimentale, a poche decine dì metri dal Parlamento. Non per scandalizzarci, ma per capire la disgregazione di un movimento, esploso in mille frammenti colorati. Parla una studentessa, nell'emiciclo dell'aula prima di Economia, e denuncia che in assemblee del genere ha ragione chi grida di più; ma la sua voce, naturalmente, si perde. Un operaio propone all'improvviso l'insurrezione armata. Parla una delegata di Venezia, e la interrompono con la violenza, e con il coro ormai classico di «scema, scema». Riesce a farsi ascoltare Oreste Scalzone, che dalle glorie raccolte sulle barricate di Reggio Calabria (naturalmente, dalla stessa parte di «Boia chi molla») è venuto qui ad attaccare i sindacati. Approfittando di una pausa, sono le femministe ad occupare la presidenza dell'assemblea, orgogliose della loro unità. L'«autonomia» è un fenomeno maschile? Si direbbe di sì, a leggere gli irriferibili insulti che gli autonomi sparano addosso alle donne, accompagnandoli con simboliche rivoltellate mimate con le dita delle mani. Le femministe devono ritirarsi in un'altra aula, denunciano in un documento che l'assemblea è «violenta». Lo stesso, accompagnato da motivazioni di «rabbia» e di «tristezza», fanno i fantasioni «indiani metropolitani». Non vogliono gli altoparlanti che soffocano la creatività, non accettano d'essere ridotti a folklore, denunciano lo stile «rozzo e maschio» del nuovo movimento, l'uso delle armi «a corna o a pistola», dizione di un'oscura delicatezza. Ma anche gli indiani devono alla fine riunirsi in un campo separato. Fra gli emarginati, ci sono gli emarginati due volte. Nascono due assemblee, in una delle quali sono proibiti i microfoni, gli applausi, i fischi, nell'altra si gridano slogans contro i metalmeccanici. Molti, incerti sulla propria identità, stazionano nei corridoi o nell'atrio, partecipando a entrambe le frazioni di quello che fu il movimento. Dopo qualche ora, una sortita. Sono gli indiani ad attaccare pacificamente il forte degli autonomi. Vogliono tentare di imporre un discorso senza urla, senza la burocrazia delle «giacche grigie». Poi compongono un lungo serpente, battono i piedi ritmicamente come nella danza per la pioggia (un ricordo di antichi western), s'accerchiano in girotondo, cercano d'entrare nell'assemblea degli autonomi. Volano schiaffi, insulti, una «corrida», la definisce qualcuno. Infine, prevale la stanchezza, voci roche rileggono le molte mozioni presentate, si riaffaccia un barlume di procedura «borghese», di organizzazione assembleare. Si quietaiio i discorsi folli sugli espropri proletari, gli insulti a Trentin e Benvenuto, i processi ai giornali. E con pochi voti superstiti viene approvata una mozione generica, ma non esente da insulti ai partiti di sinistra e ai sindacati. Così si chiude la lunga domenica alla facoltà di Economia. E' una pagina da ritagliare, un documento da ricordare. L'universo giovanile, perfino quello composto dai delegati a un'assemblea, è un universo disintegrato, un pianeta senza orbita. Tutto questo, s'intende, non deve rallegrarci, ma allarmarci ancor più. Un'accanita, ostile alternativa sarebbe ancora un fatto quasi positivo; la sopraffazione e il caos non lo sono più. Un giornale come il Manifesto non esita a definirla «brutalità». Non servono le analisi politico-sociologiche per constatare, con preoccupazione, l'esistenza di questa violenza disperata.

Persone citate: Eldridge Cleaver, Jerry Rubin, Oreste Scalzone, Trentin

Luoghi citati: Milano, Nomi, Reggio Calabria, Venezia