Scopritore di Rubens

Scopritore di Rubens Le "Vite„ del secentista Bellori Scopritore di Rubens Giovan Pietro Bellori: «Le vite de' pittori, scultori e architetti moderni », a cura di Evelina Borea, introd. di Giovanni Previtali, Ed. Einaudi, L. 35.000. Julius Schlosser Magnino: « La letteratura artistica », trad. di Filippo Rossi, ristampa anastatica. Ed. La Nuova Italia, L. 4500. Tutto il mondo della cultura celebra quest'anno il quarto centenario della nascita di Rubens con mostre, pubblicazioni, convegni di studiosi. E' quindi di stretta attualità la riedizione cinaudiana di un'opera famosa nella quale si legge la più antica (ove non si considerino i precedenti più sommari scritti del Mancini e del Baglione) biografia del sommo pittore; stesa non da un connazionale del maestro fiammingo, ma da un erudito italiano, il romano Giovan Pietro Bellori, autorevolmente giudicato dal Panofsky « il più grande studioso dell'arte e archeologo del suo tempo », cioè del secolo XVII. Giudizio non dissimile da quello dello Schlosser Magnino nel suo celebre libro sulle fonti della storia dell'arte che qui segnaliamo unitamente a quello del Bellori soprattutto per i suoi riferimenti alla teoria artistica italiana del Seicento, il cui programma è in gran parte espresso da L'Idea del Pittore, dello Scultore e dell'Architetto, il discorso che serve d'introduzione alle Vite belloriane: « Il più importante storiografo dell'arte non solo di Roma ma di tutta l'Italia, anzi dell'Europa, nel Seicento è l'erudito Giovan Pietro Bellori ». Nato nel 1613, cresciuto in un ambiente di letterati, di artisti, di dotti prelati, di esperti collezionisti, visse tra gli studi e le scritture una vita senza traumi facilitata da proficue amicizie fino al 1696. La sua esistenza coincide dunque con l'arco del secolo, col suo costume, con le sue ideologie. Lungamente elaborate, frutto di ricerche pazienti e di diretta conoscenza degli autori e delle opere, o di notizie da altri acquisite, Le Vite videro la luce in Roma nel 1672 in numero di dodici: di Annibale e Agostino Carracci, di Domenico Fontana, del Barocci, del Cara vaggio, del Rubens, del van Dyck, del Du Quesnoy, del Domenichino, del Lanfranco, dell'Algardi, del Poussin. Tre rimasero inedite e riscoperte furono pubblicate soltanto in epoca recente: di Guido Reni, di Andrea Sacchi, di Carlo Maratti; per la prima volta tutte e quindici sono riunite nel volume sopra indicato. Se per il Vasari il parametro della grandezza artistica fu Michelangelo, per il Bellori è Annibale Carracci: « principe dei pittori », come lo chiama scrivendo all'abate Nicaise due anni prima dell'uscita delle Vite; e descritta poi minutissimamente, con lodi continue, la Galleria Farnese cosi conclude: « Ben puoi Roma gloriarti dell'ingegno e della mano di Annibale, quando in sua virtù rinnovossi in te il secolo d'oro della pittura ». Nel bolognese egli vedeva risorgere l'ideale classico della Bellezza. Era, con lui, un accostarsi per quanto possibile a quella Idea del Pittore che aveva enunciato nel discorso tenuto nel 1664 all'Accademia di San Luca: « Questa idea... originata dalla natura supera l'origine e fassi originale dell'arte, misurata dal compasso dell'intelletto, diviene misura della mano, ed animata dall' immaginativa dà vita all'immagine ». Convinzione estetica certamente confortata nel Bellori dalla frequentazione assidua a Roma con Nicolas Poussin che gli permise — ricorda la Borea in una delle sue fittissime erudite note — di scrivere la prima per importanza, e in ordine di tempo, biografia del pittore francese; ed il disprezzo di questo per la pittura del Caravaggio non fu forse senza qualche effetto sui giudizi agrodolci del Bellori sul gran « lombardo »; il riconoscimento che « costui, togliendo ogni belletto e vanità al colore, rinvigorì le tinte e restituì ad esse il sangue e l'incarnazione, ricordando a' pittori l'imitazione », ma la deplorazione che non fossero « in lui né invenzione né decoro né disegno né scienza alcuna della pittura mentre tolto da gli occhi suoi il modello restavano vacui la mano e l'ingegno». Oggi queste dure limitazioni d'uno dei maggiori geni pittorici mai apparsi al mondo ci possono disturbare; ma è chiaro che la belloriana idealistica « Idea della Pittura » non poteva collimare con quella dei « naturalisti », secondo il termine felicemente coniato dallo Scannelli. Un'inconciliabilità che non sminuisce l'importanza storica e critica delle Vite, ammirevoli inoltre come opera letteraria. La descrizione della Comunione di S. Gerolamo del Guercino è un capolavoro che nessuna pagina del Vasari uguaglia. Per un confronto di critica descrittiva bisogna giungere al meglio lasciatoci da Adolfo Venturi. Marziano Bernardi Rubens: autoritratto

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