Simenon incontra Fellini

Simenon incontra Fellini Simenon incontra Fellini S'incontrarono la prima volta nel '60 al Festival di Cannes, Simenon era presidente della giuria, Fellini partecipava al concorso con La dolce vita; tra gli altri concorrenti Bergman, Bunuel, Antonioni. Contro tutti gli altri giudici e con l'unica complicità di Henry Miller, Simenon sostiene il fdm di Fellini. Viene proposto un compromesso: palma d'oro ex aequo a Bergman, Bunuel e Fellini. Simenon non cede, sale sul podio e d'autorità proclama vincitrice La dolce vita. 11 loro secondo incontro è avvenuto qualche settimana fa a Losanna nella casa dello scrittore belga. In questi diciassette anni la loro amicizia è cresciuta per lettera. Simenon accetta la proposta di un settimanale francese e per qualche ora indossa i panni di giornalista per intervistare l'amico Fellini. L'argomento è Casanova giunto in questi giorni sugli schermi francesi. Fellini regista di fronte a Simenon scrittore, due modi di uno stesso sentire. Il dialogo diventa aperta confessione: Fellini rivela all'amico emozioni, angosce, dubbi dell'uomo e dell'artista. Lo scrittore correttamente, per tener fede all'impegno preso, si tiene in disparte: il protagonista è Fellini e il suo Casanova. Il peso di Simenon si avverte nelle risposte del regista italiano, risposte che Fellini ha dato solo a lui, testimonianza di un dialogo che continua da quel tempestoso festival del '60. Simenon mette a confronto le sue emozioni. Che cosa prova Fellini dopo un lavoro di tale mole? « Dal momento in cui inizio un fdm non vedo l'ora che finisca perché è troppo pesante, troppo angosciante — dichiara il regista — ma appena è terminato devo cominciare un'altra cosa, il vuoto mi dà la sensazione di totale inutilità ». Lo scrittore belga riconosce nelle parole dell'amico le stesse sensazioni, lo stesso vuoto che egli prova dopo la fine di un libro. « Quando lavori — continua Fellini — ti sono risparmiate tutte le responsabilità della vita collettiva. Tutti ti rispettano, non sei obbligato a dare amicizia, amore o soldi allo Stato, ad andare dal parrucchiere o a comprare le scarpe ». Il monologo-confessione del regista prosegue, e Simenon fedelmente registra. « Che cosa potevo avere in comune io con Casanova? — dice Fellini —. Non è un artista, non parla mai della natura, dei bambini, dei cani. Ha scritto una specie di guida telefonica. E' un contabile, uno statistico, un play-boy di provincia che crede di aver vinto, ma che non è mai nato, che ha girovagato nel mondo senza mai esistere ». « Casanova — prosegue — che alla fine si fissa meccanicamente nella contemplazione del suo universo femminile è il simbolo dell'artista bloccato nella dimensione nevrotica dell'illusione creatrice ». Finalmente parla anche Simenon e giudica Casanova. « Il più bel affresco della storia del cinema, una verosimile psicanalisi dell'umanità ». « Lei Fellini — dice lo scrittore — è "un poète maudit" come Villon o Baudelaire, Van Gogh o Edgar Poe. lo chiamo "poeti maledetti" tutti gli artisti che lavorano più con il subcosciente che con l'intelligenza, quelli che anche se lo volessero non potrebbero fare cose diverse da quelle che fanno, quelli che qualche volta creano dei mostri, ma sono mostri universali ». a. vir.

Luoghi citati: Cannes, Losanna