Radicale della fantasia

Radicale della fantasia Chi è il presidente Ripa di Meana Radicale della fantasia Chi è Ripa di Meana? Un uomo generoso, un impulsivo; certo, non un politico. Una volta, conversando con noi, si definì un radicale della fan tasia: nemico delle istituzioni nel momento in cui ne presiedeva una, laboriosa, pesante, arrochita, gloriosa come la Biennale. Le dimissioni non giungono come una sorpresa (diceva: « Sono qui pronto ad andarmene, se qualcuno vuole il mio posto scomodo»), ma l'occasione che le ha provocate è abbastanza clamorosa, inevitabilmente imbarazzante, assolutamente politica. Inserito nel dibattito, sin troppo acceso, sul dissenso all'Est il caso della Biennale non si fermerà certo alle dimissioni del presidente e non potrà risolversi, come cautamente vorrebbe la Farnesina, in un compromesso diplomatico, perché il nodo del brusco intervento sovietico è realmente inconsueto nei rapporti internazionali. Ripa di Meana doveva aspettarsi che la Biennale si sarebbe incagliata sul dissenso? Se fosse un politico, l'avrebbe inteso fin dall'inizio; ma il suo radicalismo gli ha impedito, peraltro lodevolmente, di inchinarsi alla convenienza. Ha creduto che tutte le forze che avevano appoggiato il tema del Cile come motivo conduttore della prima Biennale rinnovata si sarebbero strette con lui in difesa dei dissenzienti; invece ha accresciuto con la sua scelta (e proprio mentre si attendevano i contributi indispensabili dello Stato) i malumori che da qualche mese lo circondavano anche tra le forze di sinistra (Ripa di Meana è socialista). Il Cile è uno stato, una condizione su cui è difficile non trovarsi d'accordo, almeno chi sia an¬ tifascista; il dissenso è una crepa che tocca spazi, reticenze, problemi, disegni assai più ampi. Il presidente americano Carter con la sua offen siva sui diritti civili non s'è comportato diversamente dal «radicale» Ripa di Meana, ma non si può dire che la forza contrattuale dei due presidenti sia uguale. E poi, Meana ha da fare con l'arte, che soffre di una dialettica più scaltra e meno verificabile della politica. Già nei giorni scorsi (senza tener conto degli attacchi sui giornali sovietici) la cultura di sinistra s'era mossa per fare dei distinguo, per avanzare dei dubbi. Un critico come Carlo Giulio Argan, parlando soprattutto da politico (è sindaco comunista di Roma), s'era chiesto che senso poteva avere una Solzenicyn-parade, avvertendo che i pittori sovietici «astrattisti semiclandestini non sono meno provinciali dei pompieri zdanovisti». Argan sembrava suggerire a Ripa di Meana una scappatoia metodologica: l'arte è politica, ma nel senso che riguarda il «problema della esteticità o non esteticità strutturale del problema dell'informazione». Adesso, tuttavia, l'intervento sovietico ha spezzato il gioco veneziano dei contrappesi. Forse ricordando con fierezza di aver già disubbidito alla Cina proiettando il famoso documentario di Antonioni, Ripa di Meana proclama che è il momento della verità per la Biennale Lui, con il primo gesto politico, ha tolto, dando le dimissioni, l'ostacolo della sua presenza del suo radicalismo. Aspetta di vedere se la nuova Biennale, cominciata col dissenso dei contestatori italiani, finirà sul dissenso dei pittori dell'Est. . r

Persone citate: Antonioni, Argan, Carlo Giulio Argan, Ripa, Ripa Di Meana

Luoghi citati: Cile, Cina, Meana, Roma