Parlando della pena capitale

Parlando della pena capitale Religioni e società di Lamberto Fumo Parlando della pena capitale Che cosa pensano le tre grandi religioni della pena di morte? Ci è sembrato il tema più attuale, visto che alla escalation della criminalità molti vorrebbero rispondere ripristinando la pena capitale. Dico subito che io sono visceralmente contrario per le stesse ragioni, anche religiose, che in questa rubrica espongono il prof. Elio Toaff, rabbinocapo di Roma, il teologo moralista Dom Carlo Morandin e il pastore valdese prof. Aldo Comba (dal quale dissento in parte) ai quali lascio tutto lo spazio disponibile, senza altre introduzioni. In nome di Dio Nell'Ebraismo — risponde il prof. Toaff — la pena di morte è ammessa, come dimostra la Legge mosaica. Però Dio, giudice supremo, non punì con la morte Caino, uccisore del fratello: « e questo ci deve far riflettere, come pure tutti i casi di condanna a morte della Bibbia ». « La vita — sottolinea il prof. Toaff — è un bene irrinunciabile e insopprimibile che viene da Dio e spetta solo a Lui il darla e il toglierla. Agli uomini non è concesso di sentenziare la morte di un reo se non quando sono investiti della carica di giudici in nome di Dio ». Toaff spiega che il diritto ebraico, interpretando il testo biblico, riservava la possibilità di comminare la pena di morte solo a un tribunale composto di almeno ventitré membri di nomina popolare. «Due o tre testi dovevano affermare di essere stati testimoni oculari del delitto e di aver ammonito il reo, prima che compisse l'atto criminoso, dicendogli a quale pena sarebbe stato soggetto. In mancanza di questo, la pena di morte non poteva essere comminata. Era prevista per l'omicidio volontario, il rapimento e la vendita di una persona, i sacrifizii umani, l'incesto, l'adulterio». Queste rigorose condizioni giuridiche vengono ancor più accentuate nel diritto talmudico (da Talmud, i due libri che contengono le norme della legge). « In esso il diritto biblico è interpretato ed eseguito — dice il prof. Toaff — con quella cura della giustizia e dell'umanità che doveva temperarne l'apparente durezza ». E aggiunge: «Praticamente il Talmud abolisce la pena di morte interpretando lo spirito della legge biblica. Alla base di tutto sta il versetto del Genesi: "Il Signore non vuole la morte del reo, ma che si penta e viva". E* in questo spirito che lo Stato di Israele ha abolito la pena di morte anche per i colpevoli di stragi e di terrorismo ». E in Italia? « A mio avviso — conclude il rabbinocapo — se l'Italia, anche in un momento così difficile, reintroducesse la. pena di morte, compirebbe un passo indietro nel cammino della morale e della giustizia ». Dal Vecchio Testamento al Nuovo, interpellando il benedettino Carlo Morandin. « La pena di morte suscita sempre dei sentimenti contrastanti. Da un lato il nostro senso di umanità ci spinge a tutelare il più possibile la vita di ogni esse¬ re umano; dall'altro il timore di essere sopraffatti dalla violenza vorrebbe l'eliminazione fìsica di chi ne è responsabile ». Che cosa dice la morale cattolica? «Nella prospettiva della fede cristiana, cioè del messaggio del Vangelo, la soluzione è facile: la vita altrui va sempre rispettata e tutelata. Nel corso dei secoli, anche dei teologi eminenti hanno sostenuto la liceità della pena di morte almeno in certi delitti. La stessa Chiesa ne ha fatto uso, sia pure indirettamente attraverso il cosiddetto "braccio secolare", da quando è entrata nella logica del potere dopo l'editto costantiniano (313 d.C.) tanto da sembrare di aver dimenticato troppo spesso il sangue dei suoi martiri. Nonostante tali fatti storici, comprensibili — se si vuole — ma non giustificabili, il comandamento del Vecchio Testamento "Non uccidere", e soprattutto quello del Nuovo, "Amate i vostri nemici", hanno conservato la loro piena validità ». Anche dom Morandin considera che le ragioni addotte per sostenere la pena di morte (« valore esemplare, retributivo, difensivo ») sono del tutto insufficienti e non possono giustificarla sul piano morale. «Valga una volta per tutte — precisa il teologo — il comportamento di Cristo nei confronti dell'adultera colta in flagrante: per la legge di Mose doveva essere lapidata; invece Egli la perdonò. Certamente non ha voluto spegnere il lucignolo fumigante e tantomeno spezzare la canna incrinata ». Il valdese prof. Comba espone il pensiero dei cristiani riformati. Premette che il Vangelo non è un codice e non risponde a certi quesiti, ma rovescia la questione e rinvia l'uomo a riconsiderare i propri rapporti con Dio e il prossimo, gli indica una impostazione e una soluzione del tutto diversa del problema. Gesù e l'adultera « Tipico l'episodio biblico dell'adultera colta in flagrante. Avrebbe dovuto essere lapidata secondo la legge, cioè uccisa a sassate. Qualcuno chiede a Gesù se la condanna vada eseguita o no. Gesù risponde: « Chi è senza peccato tiri la prima pietra». E quelli che avrebbero dovuto condannare la donna si ritirano compunti perché erano peccatori quanto lei. Gesù aveva rovesciato la loro domanda: ciò su cui devono riflettere non è il peccato della donna, ma il loro ». Come applica questo episodio alle richieste di ripristinare la pena di morte in Italia? «Di solito tale richiesta avviene a proposito di delitti che coinvolgono la difesa della proprietà, ma non quando la vittima è un emarginato: chi mai invoca la pena di morte per l'assassino di una mondana? L'offesa alla vita umana rimane in tutta la sua gravità. Gesù però non ha alcun interesse per la difesa delle ricchezze. Dice piuttosto: "Va, vendi ciò che hai e dallo ai poveri!". Se uno si è preoccupato di accumulare e non di dare, non può certo pensare di trovare nel Vangelo qualche parola che lo autorizzi a difendere — con la pena di morte — ciò che non dovrebbe possedere affatto, perché avrebbe già dovuto darlo ai poveri ». E' una posizione radicale, prof. Comba: credo che anche i sostenitori della pena di morte si indignino per l'uccisione di vite e non per difendere le ricchezze... Comba: «Molti ribattono che la pena di morte dovrebbe proteggere soprattutto la vita dagli assalti del crimine, ma in fondo in fondo è alla difesa della proprietà che pensano. E se si lasciano interrogare dal Vangelo dovrebbero riconoscerlo ». E' una risposta, professor Comba, che provocherà polemiche. Conclude: «Alla domanda su come difendere le ricchezze, che è poi la domanda sul come difendere il nostro modello di società, il Vangelo non risponde affatto perché condanna questo modello e propone che i rapporti umani siano fondati su un criterio del tutto di"erso, che non è quello del profitto e della competitività, bensì quello del dono e della fraternità ugualitaria: un criterio che Gesù stesso annunzia e incarna ».

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