La lingua come passaporto di Tito Sansa

La lingua come passaporto LA GRANDE NAZIONE DEGLI ITALIANI ALL'ESTERO La lingua come passaporto Nella Repubblica Federale, per gl'interessi convergenti della grande industria, delle organizzazioni religiose e degli stessi insegnanti italiani, pochi dei nostri ragazzi imparano il tedesco - I rischi dell'emarginazione e di una protesta "violenta" <Dnl nostro corrispondente > Bonn, febbraio «Nei ghetti si sente il ticchettio della bomba a orologeria » è il titolo d'un articolo pubblicato il mese scorso dal bollettino dell'ufficio stampa del governo federale tedesco. I ghetti di cui si parla sono gli «slums» net quali vivono i lavoratori stranieri in Germania: la bomba a orologeria è la massa di giovani forestieri (quasi un milione) che la società tedesca si rifiuta d'integrare, negando loro l'istruzione scolastica e professionale necessaria per emanciparsi, e sottrarsi a quello che Armando Accordo, un giovane studioso italiano, chiama il « terribile itinerario dell'emarginazione »: insuccesso scolastico-evasione-lavoro nero ■ delinquenza minorile. Cifre inquietanti Inizio questo articolo sui giovani italiani nella Repubblica Federale citando una fonte tedesca insospettabile come l'ufficio stampa federale per mettere le mani avanti, per anticipare le critiche che sicuramente verranno, tanto da parte dei tedeschi quanto da parte degli italiani. L'argomento dell'istruzione dei giovani è infatti uno di quelli che scottano: da qualsiasi parte lo si prenda ci si brucia, si crea malcontento. Per non essere tacciato di allarmismo, aggiungerò ancora che il citato bollettino dei governo di Bonn fa l'autocritica, parlando di «cifre inquietanti nel bilancio della politica per gli stranieri» e prevede ' una « vita senza speranza per milioni di cittadini» e «conflitti inimmaginabili», definendo « immagine apocalittica, la quale non può che far rabbrividire », quella che si avrà se un giorno « i nostri stranieri dovessero trovarsi nel ruolo dei negri di America ». Suggerimenti sul da farsi non ne vengono dati, ci si limila alla denuncia, come nelle decine e decine di do- ! cumentari che da anni iltu- ì strano alla televisione la situazione dei «lavoratori ospitl» nella Germania Federale. Il ritornello dei tedeschi che si battono il petto è sempre lo stesso: abbiamo chiamato braccia, sono arrivati uomini, ora sono ar- j rivate anche le loro fami' glie, sono emarginati, discriminati, vengono sfruttali, c'è il pericolo che centinaia di migliaia di giovani diventino criminali perché sono disoccupati, non hanno trovato lavoro perché non sanno la lingua. Ma nessuno si domanda perché i ragazzi non apprendono il tedesco. I giornali, la radio e la televisione sono liberi, denuni ciano, criticano, parlano di « bomba a orologeria » e di « boomerang »: è un discorso che si sente ripetere fino alla noia. Ma sono voci nel deserto, nessuno fa uno sforzo per rompere il cerchio diabolico della disoccupazione minorile degli stranieri. In teoria, i figli dei lavoratori stranieri in Germania godono del medesimo diritto all'istruzione dei cittadini tedeschi. Insegnamento gratuito, obbligo scolastico fino al quindicesimo anno di età. quindi impegno di frequentare la scuola professionale parallelamente con l'apprendistato, oppure la « Realschule » (tecnico-scientifica) o il «Gymnasium» (classico) che apre le porte all'Università. In pratica, la situazione è del tutto diversa. che già all'età di 10 anni, dopo soli 1 anni di scuola elementare, lo scolaro deve scegliere il tipo di scuola e di conseguenza quella che sarà la sua formazione professionale. Una scelta vera e propria da parte dello scolaretto decenne o della sua famiglia non esiste, l'esperienza mostra che a decidere sono gli insegnanti e che le famiglie non possono opporre alcuna resistenza, ammenoché non curino con i maestri contatti di amicizia più 0 meno interessata. La conseguenza diretta di questa situazione è che i figli dei lavoratori stranieri (i quali nella maggioranza dei casi hanno una scarsa conoscenza della lingua tedesca e pertanto contatti vaghi con gli insegnanti) vengono automaticamente avviati alla scuola professionale, e cioè a un mestiere: 1 figli dei borghesi (commercianti, trattori, gelatai) hanno la possibilità di accedere alla scuola tecnico-scientifica, quelli dei ceti privilegiati (diplomatici, dirigenti dì azienda, insegnanti, giornalisti) possono frequentare il ginnasio e quindi l'università, che avvia alle libere professioni. 1 guai dei bambini stranieri in Germania cominciano i dalla più tenera età. La lo- ' ciali per loro (le cosiddette ro situazione è aggravata dal fatto che, se non hanno la fortuna di essere nati quassù, non conoscono la lingua. Le autorità tedesche hanno pertanto stabilito (in forma non impegnativa, che l'insegnamento è competenza delle Regioni) di offrire ai bim- « scuole d'inserimento ») e corsi speciali nella lingua materna, « per conservare la cultura d'origine». Si ipotizza che dopo un anno, al massimo due, i figli degl'immigrati abbiano appreso sufficienti nozioni linguistiche, tali da permettere loro di entrare nella scuola tedesca, pur conservando la cultura d'origine. Nella realtà il bellissimo ! piana non esiste. Per conca- ì miranti interessi di varie ca¬ tegorie (la grande industria tedesca, i governi regionali, le organizzazioni religiose italiane. gl'insegnanti italiani, le famiglie stesse) i nostri bambini e ragazzi vengono tenuti a bagnomaria j per anni, nella grande mag- bi stranieri la possibilità di | accedere alle scuole tede I sclie. istituendo scuole spe- j o i i o e o i r ■ i n o o e a i i l i e i gìoranza dei casi non vengono inseriti, vengono emarginati. Il padronato tedesco — ovviamente — desidera avere a disposizione una massa di manovra di lavoratori non qualificati come valvola di sicurezza nei momenti di crisi: i governi regionali si adeguano perché temono la « stranierizzazione » (e poi qualcuno deve pur fare i lavori più umili e abitare nelle case in rovina): le organizzazioni religiose temono di vedersi sfuggire le pecorelle italiane dall'ovile: i maestri italiani (che quasi mai conoscono la lingua tedesca che dovrebbero insegnare) hanno paura di perdere il posto: le famiglie non vedono più in là della punta del proprio naso e — sempre accarezzando il sogno quasi irrealizzabile del ritorno in patria — desiderano che t loro figlioli vengano istruiti nella lingua materna Le molte colpe A causa di questa cecità dei genitori, che coincide con l'egoistica lungimiranza dei tedeschi, gli scolaretti italiani frequentano le cosiddette «classi d'inserimento» per 4-5 anni, talora per 8 anni consecutivi, in barba alle leggi. E siccome gl'insegnanti non sanno il tedesco (non sono stati reclutati in Italia, ma tra gente venuta a lavorare In fabbrica in Germania) i bambini non imparano la lingua. In uno studio che si riferisce all'Assia, il ricercatore Giovanni Pozzobon rivela — per esempio — che in un anno soltanto il 14,8 degli scolari italiani della regione è siato «inserito», molti di essi dopo avere frequentato per 6-78 anni la scuola italiana. Cioè sema sapere il tedesco. Lo stesso studioso informa che — sempre n.'ll'Assia. considerata la regione più progressista della Germania Federale — il 77 per cento dei bambini stranieri (già precedentemente esclusi, come si è detto dianzi, dal ginnasio e dall'istituto tecnicoscientifico) non ottiene il diploma d^lla scuola d'obbligo, che è il livello più basso dell'istruzione, e pertanto non avrà « mai » la possibilità di frequentare una qualsiasi scuola di preparazione professionale. Le cause sono sempre le stesse: non sanno il tedesco, o perché hanno continuato a sostare sul binario morto della scuola di inserimento o perché addirittura non sono mai andati a scuola fi genitori hanno preferito affidargli la sorveglianza dei fratellini o avviarli al lavoro infantile). Le autorità tedesche, precise e zelanti quando si tratta di controllare, irreggimentare, vietare e incassare quattrini, chiudono un occhio o anche tutt'e due. non muovono un dito per cambiare la situazione. Scrive Maria Borris, in uno studio sui lavoratori stranieri in una grande città, che « se si potessero trovare tutti i bambini stranieri che non frequentano la scuola, la situazione in tutte le regioni sarebbe ancora più precaria: i ragazzi ritrovati non potrebbero venire ammessi nelle scuole, a causa della mancanza di aule e di insegnanti. Uno scandalo nascosto diventerebbe uno scandalo pubblico ». Ho assistito a un paio di riunioni — ad alto livello — nelle quali è stato affrontalo il tema della situazione scolastica dei ragazzi italiani in Germania. Vi prendevano parte rappresentanti del governo di Romn, dei partiti politici, delle associazioni assistenziali, delle famiglie, della Chiesa, degli insegnanti, tutti animati da 'molta buona volontà e con le idee chiare. Tali idee — purtroppo — sono assai divergenti, benché per ammissione generale tutti constatino che il solo passaporto valido per l'inserimento dei ragazzi nella società tedesca è la conoscenza della lingua. Gli è che taluni non tntendono dare ai ragazzi questo passaporto, temono di « germanizzare » i giurarli, parlano di un « pericolo di imbastardi- mento», li vogliono tenere nella loro sfera d'influenza, cor» un occhio al voto politico in Italia, fanno orecchie da mercante quando si fa toro un discorso europeistico. Ultimi alfieri di queste idee conservatrici e nazionalistiche sono i sacerdoti delle missioni cattoliche italiane, i quali mettono sotto accusa le autorità tedesche, colpevoli (a loro avviso) di « spendere troppo per le autostrade e troppo poco per le scuole degli stranieri ». Vorrebbero — ed è Dia un notevole progresso nei confronti degli anni passati — che i governi regionali tedeschi istituiscano per i bambini stranieri scuole bilingui, naturalmente pagate dalle autorità germaniche. Anziché l'inglese, la lingua straniera degli scolari forestieri dovrebbe essere la loro lingua materna. In tal modo — argomentano i religiosi, che godono dell'appoggio del corpo insegnante italiano e della maggioranza delle famiglie — ai giovani rimane aperta la scelta tra la permanenza in Germania e il rientro in patria. Un altro vantaggio sarebbe il mantenimento della compattezza dei nuclei famigliari, si eviterebbe il distacco tra genitori e figli, che — secondo i preti — è linguistico e non generazionale. Che cosa propongono invece i sociologhe che guardano con preoccupazione al futuro dei nostri ragazzi, destinati — che lo vogliano o no — a rimanere forse per sempre nella Germania che offre loro un posto di lavoro sicuro? Propongono anzitutto di abolire il curriculum nazionale dell'insegnamento, di richiamare le autorità tedesche ai loro obblighi, di inserire i ragazzi costringendo veramente (non soltanto sulla carta) i ragazzi stranieri a frequentare la scuola tedesca. Per arrivare a ciò è assolutamente necessario che le autorità si impegnino a offrire ai bimbi stranieri una scuola tedesca che includa nei suoi programmi « anche » la cultura italiana. Certi sindacalisti italiani, che vedono nell'emigrato in Germania il cittadino dell'Europa di domani (così come il meridionale è cittadino dell'Italia anche se abita a Milano o a Torino) suggeriscono ai nostri connazio- nati di abbandonare il sogno del rientro in patria, che l'Italia — forse per molti anni ancora — non offre un avvenire sicuro ai ragazzi emigrali. Così si è espresso all'inizio dell'anno anche il rappresentante della « Cgil » Vercellino. parlando a Francoforte. Così la pensano anche al ministero degli Esteri a Roma, dove si ha una visione panoramica della emigrazione e non si teme di « germanizzare » o di « americanizzare», così la pensano anche alcuni — purtroppo pochi — genitori di bimbi italiani nella Repubblica Federale che. senza pensarci su tanto, lianno mandato i loro figlioli nella scuola tedesca. "Scuole-ghetto" « Ho preso Franco quando aveva sei anni e l'ho buttato nel mare della scuola tedesca, dicendogli "nuota". Al principio il bambino ha avuto difficoltà, abbiamo dovuto fare sacrifici per pagargli lezioni private, ma ora Franco nuota benissimo, frequenta il ginnasio, è tra i primi della classe, fra tre anni lo manderò all'università ». Chi parla così è un camionista napoletano, che si leva ogni mattina alle 4 per andare a fare con l'autobotte il giro dei cascinali a raccogliere i bidoni del latte da portare alla centrale. « Ho faticato a prendere la decisione — ammette il padre di Franco — ma ora ne sono fiero, anche se il ragazzo fatica a esprìmersi in italiano. Riassumendo: soltanto chi conosce la lingua tedesca riesce a inserirsi nella società della Germania Federale, che tende sempre più alla specializzazione professionale. Bisogna perciò fare in modo che ai circa 200.000 bambini italiani la lingua venga insegnata, e bene. Per arrivare a ciò è necessario che i tedeschi vengano costretti a mantenere fede ai loro impegni, ad abolire le « scuole ghetto » nelle quali si alleva una generazione di paria. Ma per scuotere i tedeschi occorre anzitutto che i nostri connazionali abbandonino sorpassate nostalgie nazionalistiche e gretti interessi di categoria. Dal basso deve venire una spinta energica, che muova il parlamento di Roma e il governo italiano, permettendo a questo di fare pressione sulle autorità tedesche. Altrimenti la bomba della quale « si sente il ticchettio nei ghetti » è destinata a esplodere. Tito Sansa

Persone citate: Armando Accordo, Giovanni Pozzobon, Vercellino