Ronda di donne

Ronda di donne DA MILANO A MESSINA Ronda di donne •h coni egli e gran pie- «Deh com'egli e gran pie late / Delle donne di Messi na, / Vcggendole scapigliate / Portando pietre e calcina. / Iddio gli dea briga e travaglio / A chi Messina vuol guastare». Ma Messina <• irrimediabilmente guasta e nessuno dei responsabili avrà briga e travaglio nonostante la buona volontà non dell'Iddio, ma del pretore Elio Risicato — 10 ricordiamo? — di mandare in tribunale per malefatte alcuni amministratori di quel comune. Ma non è di questo che vogliamo parlare, ma delle donne della canzonetta che Giovanni Villani riporta nella sua Cronaca. L'episodio si riferisce al Vespro e alla difesa di Messina, guidata da Allumo da I i-ii li ni. all'assedio di Carlo d'Angiò. «Ritentando i Francesi a notte scura l'assalto alla Cappcrina, superati chetamente i ripari, abbattonsi in una ronda di donne. Dina e Chiarcnza. donnicciole di cui l'istoria ingiusta ci tramanda appena il nome, salvarono allora la patria: c fu prima Dina a gridare all'arme, c a rotolare un masso che atterrò qualche soldato; l'altra a martellare a stormo le campane...» scrive Michele Amari. Nel cui racconto ci seduce quella ronda di notte composta da donne e la taccia di ingiusta alla «istoria». Dina e Chiarcnza, o Clarcnza, sono oggi a Messina al piano più alto del campanile del duomo, ricostruito dopo il terremoto del 1908, sporgenti ai lati d'una bifora, sono forma d'automi in metallo lucente con una corda in mano a tirare a mezzogiorno il batacchio delle campane. Le donne della ronda e Dina e Clarcnza avranno allascinato anche Vittorini, che a quel suo romanzo scritto e riscritto diede alla fine, dopo aver tentato con Zio Agrippa passa in treno, il titolo appunto de Le donne di Messina, storia di un gruppo di naufraghi della guerra che progetta la costruzione di una comunità dove le donne hanno lo stesso ruolo degli uomini, la stessa coscienza dei loro diritti e doveri. E' a questo modo di essere donna, donna di Messina, che certamente appartiene Maria, la compagna del celebre anarchico siciliano Paolo Schicchi. Come il suo compagno, Maria aveva patito carcere e confino, assieme a lui e da sola aveva lottato contro il fascismo. Dopo la morte di Schicchi, avvenuta a Palermo nel 1950. andai un giorno a trovare Maria nella sua casa di Collcsano, un paesino vicino a Ccfalù. Viveva da sola, in questa casa di due stanze linda, ordinata. Ricordo, all'entrare. Maria seduta dietro i vetri del balcone, la sua massa di capelli bianchi controluce, il suo bel profilo, la sua sagoma immobile, le mani sul grembo, e la sensazione immediata ch'ella stesse sempre 11 seduta, in attesa, notte e giorno, custode di memorie. Maria era completamente sorda, si poteva comunicare con lei scrivendo: ci passammo allora più volte di mano in mano un quaderno, dove io vergavo le domande e lei le risposte. Che non erano d'una Sibilla, ma d'una donna che ancora a quell'età manteneva intatta la sua lucida chiarezza e intatto anche il giovanile furore dei sentimenti e risentimenti. S'alzò poi, aprì un cassetto e, da un pacco di lettere, ne scelse una che Schicchi le aveva inviato da Palermo in data 12 agosto 19-43, pochi giorni dopo l'entrata degli americani nella capitale siciliana. «Mia carissima figliola.» (così la chiamava) «...E' già finito il carnevale, è finita la cuccagna di tutti i delinquenti d'ogni specie. E' già cominciata la settimana di passione. Ora le carogne non diranno più che eravamo dei pazzi criminali, che dovevano farci chiudere nei manicomi adatti o relegare ai confini. Ora siamo diventati eroi. Se sapessi figlia mia, quante visite, quante congratulazioni, quanti elogi. E sapessi la pena che provo, la pena e il fastidio...». Mentre trascrivevo la lettera, Maria mi scrutava nel volto per vedere se avevo capito perché aveva scelto quella lettera, se capivo i sentimenti di Schicchi. Se non pena e fastidio come Schicchi, almeno rammarico per l'enorme ritardo e il modo (la moda) in cui le sue ragioni sono state riconosciute, avrà certo provato un'altra Maria, Occhipinti di cognome, premiata, a distanza di vent'anni, per il suo libro au topografico LW donna di Ra-gusa, edito da Landi nel 1957 e ora ripubblicato da Feltri- Delti. Il libro è la storia della presa di coscienza politica di presa di coscienza politica di uesta popolana, di questa onna intelligente e coraggioa, in seguito ai fatti successi n Sicilia nel gennaio del '45, lle rivolte popolari, ai conflitti a fuoco con i militari, on diecine di morti e feriti, per la renitenza dei contadini he erano appena tornati a asa, dopo lo sbarco degli aleati e la caduta del fascismo, lla leva ordinata dal governo Badoglio. Maria Occhipinti, he è uno dei protagonisti I della rivolta di Ragusa, patice il confino a Ustica e il carere a Palermo. 11 30 diccm- • bre scorso, a Zaffcrana Etnea, I una giuria composta da donne, | undici signore calate da Roma j Milano, ha assegnato il premio letterario . iti .inciti- a Maria Occhipinti. Altre due donne di Messina ci sono apparse Rachele Torri, zia di Pietro Valprcda, e Licia Rognini, vedova Pinclli, assistendo alla prima puntata, la sera del 18 gennaio scorso, del programma elevisivo (una delle prime e are volte in cui questo poente e terribile mezzo che dovrebbe essere d'informazione si riscatta da anni e anni di stupidità e di impotura) dei giornalisti Corrado Stajano e Marco Fini e del egista Franco Campigotto, dal titolo «La forza della democrazia». E' la storia dell'ocuro e infame turbine che dal '68 a oggi ha investito Miano e l'Italia, quello che va sotto il nome di strategia dela tensione, che tanti morti è costato, tante lacrime, e di cui a Catanzaro, con un processo, si cerca di far luce; si farà finalmente? Il gran testimone onorevole Andreotti manterrà a promessa di «massima chiarezza» sui grandi responsabili? Estroversa, fluida di paroa, temerariamente esplicita, e vera, di quella salda verità venata di ironia di cui sono dotati i popolini milanesi, zia Rachele, una vecchia donna che ricorda insieme il sapido gusto della vita dei personaggi del Porta e l'indignazione e l'invettiva di fronte all'offesa dei personaggi manzoniani dell'illuministica Colonna infame. mnodlrgadstestdtmtnslFi f Lucida e ferma, di poche eLucida e ferma, di poche e misurate parole che riguarda no fatti esterni, fuori da sé, oggettivi, Licia Pinclli. Una donna di alta dignità che con le sue poche parole, la sua riservatezza, i silenzi, i pochi gesti, risulta la più terribile accusatrice dei responsabili della morte del marito, dei responsabili di tutte le innocenti morti di questi anni. E un esempio anche, per tante, questa donna tanto simile alla Katbarina Blum di Heinrich Boll. «Che cosa provò quando vide gli uomini che quella notte erano nella stanza dove suo marito entrò vivo e uscì morto?» le chiede G>rrado Stajano. «Beh. sono cose mie» risponde Licia Pinclli serrando le labbra. Vincenzo Consolo Lucida e ferma, di poche eLucida e ferma, di poche e i l h id Come giudica la vita? E che cosa prova un uomo condannato da una grave malattia? Davide Lajolo VEDER L'ERBA DALLA PARTE DELLE RADIO È l'esperienza di un uomo di fronte ada morte. Esperienza che Lajolo ria vissuto • superato, • ora rivive da scritto re. Na racconta la fantasia e le sensazioni, ma racconta anche I ricordi che gli furono più vicini: l'infanzia, la guerra, la scelte, gli Incontri. Nascono rapidi ritratti di Gramsci e Pavesa, di Lorca e Pasolini, di Alfonso Gatto a Cario Lavi. E anche I ricordi d'amore, I quali rivelano, dietro un carattere schietto da apparire duro, un protagonista di singolare umanità. « La Scala » Lire 4.500 RIZZOLI EDITORE PATOLOGIA DEL COMPORTAMENTO ALIMENTARE Obesità, anoressia mentale e persona lità dì Hilde Bruch. Perché alcune per sone stravolgono la funzione nutritiva mangiando smodatamente o condan nandosi al digiuno? La Bruch, una delle maggiori autorità mondiali in questo campo di studi, illustra cause, mecca nismi e possibili orientamenti terapeu tici. Lire 12.000 Feltrinelli novità in tutte le librerie