Una città, un teatro di Massimo Mila

Una città, un teatro IL "REGIO,, COME SPECCHIO DI TORINO Una città, un teatro lira «sorda» la splendida! sala del Regio che bruciò la notte dell'8 febbraio 1936 e che molti torinesi ancora rimpiangono, refrattari alla moderna bellezza del nuovo teatro finalmente ricostruito da Eugenio Mollino nel 1973? Lo] scriveva a Giulio Ricordi, il 24 dicembre 1884, Ferdinando I Fontana, primo librettista di i Puccini, e certamente riflette-1 va 1 opinione del giovane ITOI-I sicista, presente con lui a To- I rino per curare l'esecuzione delle Villi. Dello stesso parere) sembra che fosse l'illustre musicologo belga Fdmond van dcr Straeten. autore d'una colossale ricerca su La musica nei Paesi Bassi prima del scc. XIX. che era vissuto due an¬ ma Torino e nel 1880 aveva j pubblicalo le pagine d'un suo' diario su Turin musical. E' una delle innumerevoli curiosità che si raccolgono nella storia del Teatro Regio testé pubblicata dalla Cassa di Risparmio di Torino in due grossi volumi — purtroppo I fuori commercio — ricchi an- j che di preziose illustrazioni. Vi hanno dato opera due stu-1 diosi dei più qualificati. Maric-Thérèsc Bouquet, una musicologa francese che si è specializzata nella storia della musica alle corti dei Savoia, lino al punto di trovare in Piemonte la sua seconda patria, ha trattalo // teatro di corte, dalle origini al 17'88. Alberto Basso, presidente della Società Italiana di Musicologia, ha trattato // teatro della città, dal 1788 al 1936. con quella capacità di far parlare i documenti d'archivio e d'inimedesìmarsi nelle antiche vicende della |>olitica artistica, rendendole contemporanee, di cui aveva già dato prova nella storia del Conservatorio torinese dove è attualmente bibliotecario. ★ * Se si volesse una riprova del fatto che il teatro è lo specchio della nazione, le milIcquattrocento e più pagine di questi due volumi la forniscono, strepitosa. Chi voglia conoscere Torino e i torinesi, nei loro pregi e difetti, si legga la storia dcr! Teatro Regio, ed è servilo. Lo spirito realistico di concretezza prudente e riservata, la mentalità costruttiva di chi non ama fare il passo più lungo della gamba, la saldézza morale e la fedeltà senza voli pindarici di espansioni calorose, la tenacia lavorativa e l'avarizia di chi ha ben conosciuto la miseria e la fatica che costa tirarsene fuori, tutto ciò emerge non solo dalle testimonianze di viaggiatori ed ospiti della città, talvolta spassosissime e impietose, ma proprio dalla storia interna del teatro e della sua gestione. La vita dello spettacolo a l'orino comincia naturalmente dopo che Emanuele Filiberto vi ebbe stabilito la capitale del ducato (1550), e raccoglie l'eredità musicale del Quattrocento, quando il tempestoso Amedeo Vili, e soprattutto suo figlio Luigi e la sua gentilissima sposa, Anna di Cipro, ospitavano i maggiori musicisti fiamminghi dell'epoca, Guillaume Duiav e Antoinc Brumcl (quest'ultimo in forza alla cappella ducale dal 1490 al 1501) e ne coltivavano l'amicizia. Nel lungo regno di Carlo Emanuele I (15801630) sembra che Torino riboccasse di spettacoli, soprattutto balletti, tornei, caroselli, jarces, momeries, ospitati qua e là nelle corti, nei pa ■azzi e nei parchi, in assenza d'un teatro vero e proprio. Nozze di principi e regnan- .i erano le occasioni. Nel 1585 si rappresenta il Pastor fidodi Guarini per le nozze del duca con l'infanta Caterina. Ma a Torino, città terragna e montanara, godeva strano favore una variante acquatica dell'egloga pastorale rigenerata dal Sannazzaro: la piscatoria. Con straordinari prodigi d'ingegneria idraulica si inondavano sale di castelli e palazzi l>cr rappresentare La prise de liste de Chi pre (1611) con nove barche, dodici delfini argentati, scogli e una montagna con piante di limoni emergente dall'acqua in mezzo al salone dei tornei. Nel 1619. |K-r l'arrivo di Vittorio Amedeo con la sposa francese, il marchese d'Aglic .faceva eseguire Amedeo di Savoia al soccorso di Rodi nelle gelide acque del lago di Moncenisio, attrezzato con quattro flotte, tribuna ducale e centinaia di figurami. Il Piemonte pareva sopra! tutto la patria del balletto, e si prendeva il lusso di fornire alla Francia, col saluxzcsc Bai- tazarini, il fondatore del suoteatro musicale col Balle! co- inique de la Reine, del 1581.Coreografo di grido, il marche-se Filippo d'Aglic, nato nel 1604. produceva una quaran- tina di balletti, tra cui celebcr- rimi Les moiitagnards, II /<;• ! gbacco (1650), satira d'attuali-1 ptà, c // Gridelino (1653), pa- rola che entrò nel dialetto per indicare un giovanotto inco stante e vanerello; ma veniva da gris de ///;, il colore prete- rito di Madama Cristina, rcg- j gente da! 1637 al 1663. II primo melodramma rap- presentato a Torino sarebbe, a \ quanto pare, la Zaliznra di Si- gismondo d'India, distinto po- lifonista palermitano, capo della musica di Carlo Emanile- le I dal 1611. Ne restano sette I pagine alla Biblioteca Nazio-i nale. Ma un'informazione in- ! controllata, e tuttavia diflusis- ; sima nella storiografia musica-1 le, vuole invece che Torino ; sia stata una delle prime rit¬ ta a riprendere YOrfeo d Montevcrdi dopo la creazione a Mantova nel 1607. Perche ! no. dal momento che nel 1608 | Margheriia di Savoia era anda-1 la sposa a Mantova con un Gonzaga, e per l'occasione là si erano rappresentati YArianna e il Ballo delle ingrate? Il teatro era allora vagabondo da palazzo Madama al vecchio palazzo S. Giovanni (og- gi ospedale), da Mirafiori (do-1 ve non c'era ancora la palazzi- ! na juvariana di Stupinigi) al Valentino, o a quello splendido parco di Viboconc fondato da Emanuele Filiberto, con lago e isola Polidora, da cui si dice che Torquato Tasso avesse preso ispirazione per il Giardino d'Armida: la popolosa ci imi.1,!.! oggi chiamata ancora. Incus a non lucendo, Regio Parco. Nel 1681 prese fine questa fase « itinerante » dello spettacolo musicale a Torino. Vittorio Amedeo II fondò il Teatro delle Feste, antenato diretto del Regio, nel rondeau del Castelli) Reale, dove già sorgeva un teatrino per la commedia. Fu inaugurato col Lisimaco, opera veneziana di Giovanni Pagliardi, su libretto di Cristoforo Ivanovich. Si stabilì la tradizione, regia e bigotta, delle due opere, serie, da rappresentarsi nella breve stagione di carnevale, da Santo Stefano a martedì grasso, replicate quasi tutte le sere con esclusione, manco a dirlo, del venerdì, che in seguito sarà perciò riservato all'austerità dei concerti. Per la gestione di questo teatro si fonda nel 1726 una Società dei Cavalieri, e con essa una tradizione di incompetenza al potere, raramente interrotta durante due secoli e più. Il 28 marzo 1738 Carlo Emanuele III « accetta » dalla città di Torino il prestito di L. 100.000 « per la fabbrica del nuovo Teatro» (il Piemonte era diventato regno dal 1713). Il castellano di Exilles e Salbertrand viene sguinzagliato in ricognizione nelle foreste della sua regione « per riconoscer boscami atti alla costruzione del cuoperto del sudetto Teatro ». Qui certo si vedono le qualità dei piemontesi. Un esercito d'operai lavora agli ordini dell'architetto Benedetto Alfieri per realizzare il progetto ideato dal Juvara, e in due anni il teatro è belle fatto, si inaugura il 26 dicembre 1740 con YArsace di Francesco Feo. su libretto di Metastasio. E' un teatro splendido, con i52 palchi, capace di 2500 spetta tori (in realtà la capienza si ridusse con i successivi restauri, tra cui quello di Pelagio Palagi nel 1837, e nel 1880 era di 1784 spettatori, di cui 180 in piedi, con cinque persone per palco). Da molte corti italiane vengono inviali os I servatori a visitarlo, e da Vienna il conte Durazzo. pro \ «««ore di Giudi e Calzab.gi. I s, mfor.tia delle sue macchine e ] oel suo' «colamenti, l * * La gestione artistica, aifidata ai nobili Cavalieri e da questi scaricata, in fase esecutiva, su infelici impresari, costretti a fare i conti con la modesta sovvenzione regia e il prelievo del 10% sugli incassi degli altri teatri, non è brillante, c Alberto Basso non si preoccupa di nasconderlo. L'obbligo regio di limitarsi all'opera scria e una palla al piede in un'epoca come la seconda metà del Settecento, quando trionfa l'opera comica. I teatrini minori come il Sutcra, il Carignano (dove per un certo periodo c'è un impresario che si chiama Paolo Grassi!) spopolano con le opere buffe di Galuppi, di Paisicllo, più tardi di Rossini e di Donizetti, e al Regio ci si deve annoiare per tutte le scie della breve stagione con Artasersi, Dejanire e Alessandri nelle In- \ die'. E non si può applaudire | finche il re non ne abbia dato : l'esempio. E mai più di tre j volle. E niente «bis» perché { i reali vogliono andare a Ietto 1 presto e che alle undici sia 1 tutto finito. Per la stessa ra gione al Regio gli spettacoli debbono avere un solo min 1 vallo, anche se si tratta di tra- gedic in cinque aiti. Dal suo palco (non il paleo reale, pcr che quello lo usa solo nelle feste grosse) il re Carlo Felice sorveglia la sala e manda le guardie a richiamare al silenzio i chiacchieroni (né di que sto lo biasimeremo La parentesi napoleonica manda temporaneamente a spasso la Società dei Cavalle ri e porta opere pappagallc scanicnte « impegnate», come / veri amici repubblicani di Zingarelli (ch'era poi l'oppor tunistica trasformazione di un Felrmtc'.), ma non muta la so stanza delle cose. Per fortuna l'Ottocento rinsangua il repcr torio serio con Bellini, Do nizetti e Verdi. Ma quest'ul- timo incontra poco a Torino, L'Emani fa fiasco, I due Poscari non piace. D'ogni novità si diffida. Dalla tribuna della « Gazzetta Piemontese » Fcli ce Romani, ormai ritirato dal l'arengo teatrale, stronca tutte le opere di Donizetti di cui lui non sia stato il librettista: anche la Lucia di Lainiiicrntoor. Il Guglielmo Teli di Rossini non gli va. perché « la musica scritta su versi francc- si non poteva accomodarsi ai versi italiani ». Per fortuna c'era « Il Messaggero torinese » di Broffcrio ad annunciare invece ardita- mente che « il tempo .lei Pac-1 cini (sic\) e finito, le cabalette sono ormai sepolte », e Brofferio in persona: « Io mi avanzo a dire che io arrossisco nel pensare come orecchi ita-1 liani e cuori italiani abbiano potuto bestemmiare non solo dirò del più gran parto del gran Rossini, ma certo in alcune parti del più gran parto della musica moderna ». Ma ! lo stesso giornale, poi, stron- ' cava Mcrcadante, per // reg- : gente, come capo di quella ;« sventurata scuola » che vole- va rendere « schiava la nostra 1bella italica melodia della sci- vaggia armonia settentrionale», L'Attila pareva a Felice Ro- !mani « un centone di remini-1 scenze » con « penuria assoluta di melodia ». (E dei Due Poscari aveva scritto: « Il Verdi dove non guaisce. salmeggia »). Per fortuna c'era « L'O-1 pinionc » diretta dal patriota ( ii.ii iiinn Durando. Nell'/1//7- j la vedeva esaudito il voto di « una creazione che più che ad amare o a soffrire inscgnasse a combattere; che compcndiasse in un concetto l'agita-1 zione e i dolori che travaglia no la patria nostra ». Il bene e il male del Piemonte si accompagnano di ' continuo lungo la storia del Regio. Le filippiche reazionarie dei consiglieri municipali di destra che ne lamentano i! costo, lo scandalo per La fona del destino dove « si prostituiscono pubblicamente i sacri riti della religione cattolica » e per l'indecenza delle « spalle denudate » in teatro; ma anche il cittadino che protesta — viva la faccia sua! — contro « il malvezzo di certe signore frequentatrici dei pai-1 chi... di venire al Regio in abiti accollati e in colori ler-l nes. Non voglio scollacciature oscene, ma la curva delle spalle e la rotondità delle braccia femminine era una festa per gli occhi ». Parentesi gloriose in questa j storia di « musica imbalsama ta ». come la chiama il suo eccellente storico, la gestione di Giuseppe Dcpanis, dal 1876 al 1881. e poi la stagione eccezionale per l'esposizione del 1884. Consapevole linea culturale, sicurezza di scelte nella programmazione e nelle compagnie, competenza, informazione aggiornata. Mefistofele, Lohengrin, Don Giovanni, Carmen nel cartellone 76'77 (dal 1850 s'erano varcate le colonne d'Ercole del carnevale, e la stagione poteva essere più lunga). Prima italiana del Re di Labore di Masscnct nel 1878, e della Re gina di Saba di Goldmark nel '79. Prima assoluta dell'Ero e Leandro di Bottcsini, con esito trionfale. Era l'epoca in cui Nietzsche si sentiva rinascere a Torino: « Questa è veramente la città che oggi mi occorre ». Poi anche Depanis dovette andarsene, battuto dall'invidia e dalla concorrenza. Forse avrà fatto anche lui degli errori. lasciava una 1 Andandosene, ! preziosa eredità: cinque articoli nella «Gazzetta Piemontese » su // Teatro Regio e l'avvenire musicale di Torino, compendiati in un consiglio: « fare amministrare il teatro ' dai competenti ». E il consi : glio non fu interamente disat ; teso, se nel 1893 e nel 1896 il Regio poteva toccare Io zc 1 nit della sua gloria artistica con le prime rappresentazio ni della Manali Lescaut e del ! la Boheme. 1 Massimo Mila