Sacerdotesse pop

Sacerdotesse pop CANZONI E BALLI A NEW YORK Sacerdotesse pop New York, gennaio. Cintano, ballano splendidamente il tip-tap, suonano il pianoforte e l'oboe, recitano. Vengono avanti in frac, su una pedana lunga quanto tutta la sala: la pedana si appoggia a un minuscolo palcoscenico dalle cortine sollevate. Ai fianchi della pedana, orizzontalmente, è sistemato il pubblico. Tutto buio, tutto nero: i faretti seguipersona rincorrono con un fascio di luce accecante quei frac. Ginzoni, battute asprigne, scollacciate: le canzoni hanno parole, talvolta, da far rizzare i capelli; la musica su cui le parole so¬ no ritmale è quella, invece, I del buon tempo antico, ottime cose di pessimo gusto. E' la musica di valzerini ni tiirn - oj ■ the ■ century come Alter the ball, come A hird in a gtldcd cage (la storia dell'uccellino in gabbia e d'obbligo in casi simili...), come Cìood hye, my lade love (che, più di un valzerino, è un graziosissimo e vero rag), o come Meet me in St. Louis, Louis, dove al punto del ritornello che dice We tcill dance the hoochee hoocbee, / I will he your tootsie wootsie » pare la gente urlasse di piacere, sollecitata dalla sillabazione di quel « uci-uci » ispirato al più sfacciato doppio senso Dunque, si finge un club !on- ! dincsc fine secolo: The Club difatti, è il titolo dello spettacoli no (un'ora precisa di durata). Nel club quattro signori parlano delie proprie avventuracce. e delle donne ne dicono di tutte le risme. Un groom di colore, un pianista, il cameriere assecondano il gioco. Si affaccia una questione di tradimento e adulterio: la moglie di uno dei presenti, si dice, se la fa con un altro. Un duello: poi la riconciliazione. Dopo la bufera, la pace: riprendono i valzerini, il tiptap. La conclusione, espressa in ironiche strofette, è: « Speriamo che in futuro il rapporto fra i due sessi sia più fair », ovvero sia più « leale ». Sipario. * * Grande successo, la gente applaude, inchini, riverenze, e via! Quei frac, il valletto, il pianista, il cameriere: tutte ragazze, appunto bravissime, che non facevano niente per camuffarsi da uomini, ed erano incredibilmente maschi dalle splendide voci da soprano. Sono cose che possono capitare. L'ambiguità, un disagio tutto tramato di divertimento, nascevano dal professionismo impeccabile di quelle attrici, cui, per dir così, bastava l'abito per fare il monaco. E, devo aggiungere, la causa del femminismo ci guadagnava assai di più che non da qualsiasi accigliato comizio. II teatro si chiama «The Circle in the Squarc», in BIcccker Street, Downtown, uno dei templi dell' off-Broadway; e The Club è il musical dcWofl di cui si parla. Alcune di quel- le ragazze vengono d-M'off-off e dal caffè « La Marna », una persino dal Metropolitan: ha cantato in Tosca, nella Bobe- me, nel Trovatore, in Cavalle- ria rusticana, ma anche in Man | of la Mancha. A Broadway, Ckorus Line, arrivato a New York dopo Londra e accolto dalla gente con altrettanto delirante favore, divide con Chicago di Bob Posse (il regista di Cabaret) gli esauriti. Chicago sta su da più di un anno: eppure c'è da dire che, nonostante i suoi perfezionismi, sa un po' di stantio. E' un musical del .-tu- siali, ricalcato su un vecchio ; spettacolo di successo ispirato a fatti realmente avvenuti. Bob Fosse ha spolverato sulle paillettes di Broadway un po' di Brecht: allinea un corpo di ballo da far rimanere di stucco, spalanca botole, erige scale con ascensori, fa ruotare su se stesso l'intero palcoscenico: ma, alla conclusione di tante stupefacenti escogitazioni, si esce dal teatro discretamente fasciati dal tedio. SI: e come se avessimo tutto saputo e immaginato in anticipo. Quel che non si può immaginare è il concerto di Labclle. Sotti music, rock e jazz mescolati, sesso, molto sesso e, chissà, polverine bianche. Ila- coni verdi, aromi, « farmacia », molta « farmacia ». Anzitutto, il teatro: Palladium, Quattordicesima Strada, una grotta enorme, dorata e annerita, oggi scrostata, fatiscente; un palcoscenico vasto quanto la sala cui e gemello. Pare d'essere in uno di quei teatri che si intravedono nelle comiche di Chaplin, gli stessi tendaggi (ormai impraticabili), gli stessi stucchi (ormai rosicchiati). Il pubblico. Il pubblico, biondissimo e di colore; giovanissimo e no; vestitissimo e sbracatissimo: stole di visone, tacchi ortopedici rilucenti, plastica e slrass, senza distinzione di sesso e di lunghi, cortissimi, ricci, afro, persino alla Mascagni, o incollati da brillantine d'antiquariato. Un pubblico che urla, va in estasi: fuma, rifuma, una nuvola irrespirabile in aria: una platea piena di aromi e di droghe d'ogni peso, eccetera. Pare che trovata recente sia il popper, farmaco in fiale. Ed ecco !..:be!ie Labclle sono tre donne, Patti La Belle, Sarah Dash e Nona Hcndrix. Cantano, ballano, gridano una disperazione rovesciata in vi..lità assordante, accompagnate da due chitarre elettriche, piano, batteria, contrabbasso, tutti ragazzi di colore tranne il batterista, che, bianchissimo c in carne, se ne sta sul suo t ronctto a torso nudo. I vestiti di Labelle. Putti porta enormi orecchini, stelle e mezzclunc, Nona (scrive i testi delle canzoni) ha una cuffia da Flash Gordon, Sarah un trucco viola agli occhi da rcn- età. Capelli | U dcre fluorescenti le splenditi pupille nere di cui sono or- nati. Catenelle, oro, raso: tutto un po' fantascientifico e pop. Queste tre donne sono ogget- ti di meraviglia, sacerdotesse di un rito frenetico. Cantano: « I.eave your body and your mind and frec your sotti... ». In elfetti, liberano il corpo c l'anima lasciandoli andare chissà dove: fuori dalle torri in cui si accatastano gli amplificatori ai lati del palco, dentro il nero paradiso del Palladium. Le canzoni sono spunti per brevi recite: le tre si accapigliano fra loro, si dividono la passione ora dell'ima ora del l'altra. Ma Patti ha sempre la meglio: improvvisamente uomo, improvvisamente donna, riluttante, appassionata, tenebrosa. Fasci di luce blu la polverizzano, la fanno addirittura sparire alla vista mentre è 11, ben salda sulle gambe a cantare cantare cantare; e il pubblico urla. * * Alla fine tutti chiedono Encore! llncore! salgono sul pai-1 co passandosi l'un l'altro di bocca in bocca un joinl: e Patti canta Give love... Give love. Infine vocalizza quelle parole a orchestra muta, straziata, dolcissimu come in un addio irrecuperabile e sparisce: l'occhio del segui-persona si è spento come in un musical di Zicgficld. Applausi, applausi. Si esce dal Palladium affumicati, impregnati di troppi profumi. Coni'.- può concludersi la serata? Se e lunedì, via di corsa con un taxi a un ristorantedelia Cinquantacinqucsima Est. Dal frastuono di Labelle a un piccolo carillon Dixieland: piano, banjo, bassotuba, tromba, trombone, batteria e un clarinetto. Il clarinetto e suonato da Woody Alien: è il suo hobby del lunedì sera. Se ne sta lì, per niente star, occhialuto, pensoso, camicia di flanella aperta al collo e di sotto una maglietta blu. Si mangia, si chiacchiera, qualche battimani. Woody Alien suona con grazia: scambia occhiate con gli altri alla fine dei pezzi, en amateur. Verso mezzanotte i e un quarto si chiude. Il eia-i rinctto nella custodia sottobraccio, un cschimo abbottonato fino al cappuccio, un sa luto scambiato con due ragazze ferme a un tavolo, pallido, gli occhi cerchiati dietro le lenti, l'aria lievemente riservata da intellettuale West Side, Woody Alien se ne è andato. Fuori, su Madison Avenuc, svolta un angolo, in equilibrio su un'enorme ruota di bicicletta, un negro vestito di bianco, calzettoni, maglione rimboccato sotto il mento. Vola sul marciapiede, e sparisce lanciando un fischio leggero in aria, tra il fumo che esalano le fes- j surc dell'asfalto; un cenno di intesa a chissà chi, e poi più nulla. Enzo Siciliano

Luoghi citati: Chicago, Londra, New York