L'amara pace di trent'anni fa di Alfredo Venturi

L'amara pace di trent'anni fa COME SI ARRIVÒ ALLA FIRMA DEL TRATTATO DI PARIGI L'amara pace di trent'anni fa Il trattato fu Firmato il 10 febbraio 1947 dal nostro ambasciatore anziché da un uomo di governo, per sottolinearne il carattere punitivo - L'Inghilterra aveva progettato di cedere all'Austria l'Alto Adige - Il voltafaccia di Bidault sulle annessioni francesi - Il drammatico discorso di De Gasperi LS febbraio rìel 1947 arriva un telegramma alla nostra ambasciata ài Parigi. Il messaggio viene da Roma. Palazzo Chigi, e porta la firma di Carlo Sforza, il nuovo ministro degli Esteri è succeduto da pochi giorni a Pietro Ncnni. che per l'effetto combinato della scissione di Palazzo Barberini e del recente viaggio di De Gasperi negli Stati Uniti ha lasciato dopo soli tre mesi la guida della diplomazia italiana. Il telegramma di Sforza contiene le istruzioni all'ambasciatore. Antonio Meli Lupi di Soragna. che fra due giorni firmerà per conto del governo il trattato di pace. Il plenipotenziario dovrà far precedere la firma da una dichiarazione in cui si esprima a chiare lettere una sostanziale riserva italiana: la riserva della « ratifica che spetta alla sovrana decisione dell'Assemblea costituente, alla quale è attribuita dalla legislazione italiana l'approvazione dei trattati internazionali ». Se la controparte, cioè il segretario genera- \e' " sc»rcfar,° "enera le della conferenza della pa ce riflutasse di prendere atto di questa dichiarazione, precisa Sforza, «Soragna non (dico non) dovrà Armare >•. Ma la controparte ne prenderà atto e così, il 10 febbraio di trent'anni fa, la firma dell'ambasciatore sotto i novanta articoli che assieme al preambolo, agli allegati e alle clausole conclusive, costituiscono il trattato, conclude la una lunga, penosa, dramma tica vicenda storica e dì plomatica. E' interessante rivederla oggi, quella vicenda di trent'anni fa. che allora un paese appena uscito con le ossa rotte dalla guerra, un popolo ansioso di scordare il passato e costruirsi un futuro, seguiva con amara partecipazione. Il problema del trattato, nei suoi termini generali, era molto semplice. L ltalia„ "° pJovofato con,i suoi alleati dell Asse questo tremendo sconqUasso tntcrVZìJH "iZl'^"*'t prima fase di continentale: dunque l'Italia paghi, diceva il mondo dei vincitori. Non fu l'Italia ma la dittatura fascista, diceva il nostro governo e pensava la nostra opinione pubblica, a volere la guerra. Prevalse con ovvia e meccanica facilità la prima tesi, quella dei vincitori a pieno titolo, e così si ebbe un trattato che, contro la stessa logica verbale. l'Italia non aveva contribuito ad elaborare: un trattato « imposto ». un trattato punitivo. Questo spiega le riserve i- talianc all'atto della firma. e spiega anche come mai fu un semplice ambasciatore. sia pure dotato di tutti i po- \ feri previsti dal diritto in I tcrm"Mlc a flrmarc tl do. cumento. e non già un uomo di governo. «Si volle — spiega Giuseppe Brusasca. che come sottosegretario agli Esteri ebbe una parte di primissimo piano in quella lontana vicenda diplomatica — ridurre al minimo la rapprescntatività della nostra I partecipazione al perfeziona; mento del trattato, così da ! sottolinearne il carattere di sostanziale unilateralità ». Brusasca ricorda come già , all'indomani della firma Sforza inviasse una nota ai «Ven! timo», cioè alle potenze vin! citrici della guerra, in cui questo atteggiamento era I molto ben delineato. « Il goI verno italiuno, firmando un ! trattato che non è stato chia ; mato a trattare... »: cosi e1 sordiva la nota di Sforza, e I si concludeva con unu pre[ cisa rivendicazione: « ...il diritto di contare su una revisione radicale di quanto pub paralizzare o avvelenare la vita di una nazione di 45 milioni di esseri umani congestionati su un suolo che non li può nutrire ». Come si vede ne aveva fatta di strada, dalle farneticazioni hitleriane alle corrette ragioni democratiche, la vecchia teoria dello spazio vitale. Certo, di venefico e paralizzante c'era molto, nel trattato. Basti ricordare t quasi novemila chilometri quadrati di territorio da cedersi alla Jugoslavia, alla Francia, e al fantomatico Territorio libero di Trieste: la rinuncia incondizionata alle tre colonie prefasciste, che abbandonava le popolazioni locali e le lolle comunità italiane al perpetuarsi dell'occupazione militare britannica, e in piccola parte francese: la mutilazione della flotta, dell'arma aerea e dell'esercito, che in pratica riduceva a vana ombra la sovranità nazionale: le pesantissime riparazioni di guerra: 360 milioni di dollari-oro soltanto per l'Unione Sovietica, la Jugoslavia, la Grecia. l'Etiopia e l'Albania: il diritto riconosciuto ad ognuno del paesi vincitori, che erano la bellezza di ventuno, d'indennizzarsi a suo comodo sui beni italiani all'estero, che avrebbe unilateralmente valutato. Ma più ancora c'era la vanificazione sostanziale della Resistenza, l'inaccettabile identifìcazione Italia - fasci¬ smo, il criterio antico e brutale del bottino di guerra. Certo poteva anche andar peggio: la Gran Bretagna aveva seriamente progettato di cedere l'Alto Adige all'Austria, e nel '45 un consolato inglese era stato stabilito a Bolzano. « In questo caso — spiega Brusasca — non si trattava di volontà punitiva: semplicemente i britannici cercavano di offrire agli austriaci, allora sotto occupazione sovietica, un compenso nazionale che li trattenesse nel campo occidentale ». I quattro grandi Come si vede, erano già le « questioni di campo » a dominare la scena, non già le oggettive esigenze di giustizia (anche se. nel caso altoatesino, il progetto di scorporazione si appoggiava su considerazioni etniche non intorniata che pure figura- \ vano nei preamboli c nelle dichiarazioni. Allora, il trattato di pace con l'Italia non fu che la risultante del contrapporsi e del sovrapporsi di interessi e visioni esterne, quelle dei « quattro grandi ». Nel caso dell'Alto Adige era prevalso alla fine il desiderio. I comune ai « quattro ». di teI nere comunque ben divisa la turbolenta nazione germani\ ca: e l'accordo De GasperiGruber venne a sanzionare, promettendo le necessarie garanzie alla minoranza tedesca, la realizzazione di quel desiderio. Diversa la \ situazione sulla frontiera orlentale, dove la pressione russo-jugoslava aveva il gioco favorevole, e dove più tardi, per la sistemazione definitiva, interverrà anche il fatto nuovo delle premure '■ occidentali verso Belgrado ! che si è ribellata al Crem! lino. tQuanto alla frontiera occidentale, all'amara questione di Briga. Tenda e delle altre correzioni al confine al. pino. Brusasca ha da raccontare un episodio significativo, e a quanto pare pochissimo noto. Si era a Parigi, nell'agosto del '46. in attesa che la nostra delegazione fosse « sentita » alla conferenza della pace. « Dopo una cena nella residenza dell'ambasciatore — ri- corda l'ex sottosegretario ì \ , i o i i n e i a e a n ao i a a i o ò a ; a ariaa arilpne a a io a aea io al cn ei e a a re. agli Esteri — De Gasperi mi chiamò in disparte e mi confidò che non sapeva se sarebbe riuscito a salutare Georges Bidault. presidente del Consiglio francese e della conferenza dei Ventuno». A Brusasca che gli chiede spiegazione su questo risentimento, singolare da parte del capo della democrazia cristiana verso il capo dal partito cattolico francese. De Gasperi racconta un colloquio con Bidault di due anni prima. Durante un incontro a Salerno, l'uomo politico francese aveva discusso con l'Italiano i problemi della pace imminente fra i due paesi. «Bidault — riferisce Brusasca — aveva assicurato che la Francia non avrebbe mai avanzato pretese territoriali nei confronti dell'Italia ». Ed ara. ecco nel trattato già belie pronto, e praticamente immodificabile ormai, la cessione forzata di Briga e Tenda con le loro risorse energetiche (quasi la metà del potenziale idroelettrico della Liguria), del Moncenlsto, del Piccolo San Bernardo, del monte Thabor e Cello Chaberton: un sacrificio di 693.5 chilometri quadrali di territorio, con più di 5500 abitanti. Ed ecco De Gasperi profondamente amareggiato. Che cosa era accaduto? Era accaduto, ricorda Brusasca, che De Gaulle aveva fatto valere le ragioni militari (teste di ponte verso la Val Padana, casomai gli italiani ci riprovassero con le loro « pugnalate nella schiena»), e anche ragioni, come dire, di collezionismo storico-accademico: si trattava di perpetuare per la Francia | un ricordo glorioso della i guerra recente, iscrivendo I sull'Arci) di Trionfo quelle I facili prede: Brigue. Tende. Mont Cenis. Quali che siano le sue racloni, anche quel boccone andava inghiottito: e De Gasperi evitò ogni accenno pubblico alla scorrettezza di Bidault. che non lo aveva informato della pretesa golliana. Del resto, pure sul confine occidentale poteva andar peggio: non fu forse da parte francese accarezzato per un momento il progetto di prendersi anche la Valle d'Aosta? Nessuno scontro col capo del governo di Parigi, dunque. « /.' destino volle — dfee Brusasca — che fosse proprio tl presidente Btdault, il giorno del discorso dt De Gasperi alla conferenza della pace, a darci un barlume di speranza nel buio di un'accoglienza ostentatamente ostile. Fu un aggettivo, fu quando Bidault. chiamando De Gasperi alla tribuna, disse queste precise parole: "Nous allons entendrc le representante de la nouvelle Italie". Quef "nouvelle" fu per noi un'implicita promessa che finalmente, nonostante le amarezze protocol lari, si cominciava davvero a mettere una bella pietra sul passato ». Le amarezze protocollari: Brusasca ricorda molto bene quel 10 agosto del '46. che vide De Gasperi portare al mondo la voce di un'Italia che, appunto, si voleva « nuova ». Ecco la delegazione italiana al palar.zo del Lussemburgo, sede del Senato francese, e per l'occasione della conferenza della pace. « Fummo ricevuti da un capo del cerimoniale pieno dt nastri e catene, che ci fece entrare in una sala d'attesa. Sono avvocato, e mi pareva dt trovarmi, assieme agli altri, nella condizione di imputati che attendono, in camera di sicurezza, d'essere ammessi nell'aula del processo. De Gasperi era tesissimo, pallido, taciturno. Si appartava nei vani delle finestre. Il discorso che si accingeva a pronunciare era stato diffuso nelle traduzioni inglese e francese, il problema era: quale accoglienza ci riserveranno? « Finalmente arriva l'invito ad entrare nell'aula della conferenza: un'aula affollatissima, un ronzare di mac- chine da ripresa al nostro entrare: sembrava davvero di essere una banda dì celebri malfattori. Ai lati della porta d'ingresso c'erano due colossali agenti sovietici, guardia personale di Molotov. Ci fanno sedere nell'ulti- missima fila. De Gasperi è sempre più teso e sempre più pallido. Finalmente Bidault apre la seduta con un gran colpo di bacchetta sul tavolo, e invita De Gasperi a parlare, con quel "nouvelle Italie" che ci dà un tuffo di speranza ». Brusasca ricorda Ecco il nostro presidente del Consiglio alla tribuna, mentre i traduttori simultanei si accingono a rendere il discorso in cinque lingue: inglese, francese, russo, spagnolo, cinese. Ecco l'amaro esordio di De Gasperi: «Prendendo la parola in questo consesso mondiale, sento che tutto, tranne la vostra personale cortesia, e contro di me... ». Eccolo raccontare quel che l'Italia ha subito. dalla dittatura e dalla guerra, eccolo affrontare il nodo giuridico del trattato « imposto ». il nodo morale del trai tato durissimo, eccolo chiedere per l'Italia, a sia pure vestita del saio del penitente », l'ammissione all'Onu. eccolo invocare « respiro e credito » per una repubblica « pronta ad associare la sua opera alla vostra per creare un mondo più giusto e più umano ». De Gasperi ha finito, e si prepara a riattraversare l'aula per tornare all'ultima fila. Non c'è l'ombra di un applauso: «Ci aveva provato — ricorda Brusasca — un membro della delegazione olandese che era proprio davanti a noi. ma i suol vicini gitelo avevano Impedito: li sentii distintamente dirgli che "non si applaude un vinto" ». C'è solo ti celebre gesto di Byrnes. tl segretario di Stato americano. Quando De Gasperi gti passa vicino, con i suoi fogli sotto il braccto. Byrnes si alza, gli batte una mano sulla spalla, qualcosa dt mezzo fra un amichevole buffetto e una pacca tipicamente yankee, e gli dice sottovoce: « Coraggio! ». Tutto qui: la stessa « personale cortesia » di cui De Gasperi aveva parlato all'inizio sembra ben mascherata, ammesso che esista, dalla fredda ragion di Stato. « Tuttavia — dice Brusasca — quel agosto è una data chiave nella storia d'Italia. Privo di risultati pratici, ormai esclusi dallo stesso meccanismo di formazione det trattati deciso a Poi- I sdam e a Mosca, il discorso di De Gasperi ebbe un ri| sultato morale, il relnserii mento italiano nel mondo ! comincia da quel giorno. La i ferma dignità del nostro preI sldentc fece molta impres! sione. Alcuni anni dopo, a ! Tokyo, parlai col primo mi| nistro Yoshida che si preparava ad andare a San Fran1 cfseo per il trattato di riconciliazione con glt Stati I Uniti: mi confidò che stava attentamente studiando tl discorso parigino dt De Gasperi ». Il trattato dt pace, che durante la conferenza di Parigi subì soltanto modificazioni marginali (si ottenne, per mezzo degli olandesi, che fosse inserito nel preambolo il principio della « cobelligeranza » italiana), fu reso definitivo nell'autunno da una nuova riunione dei Quattro, a New York. Quindi, a ' febbraio, la firma. E nell'e'. state, la ratifica della Costi| tuente. Fu, anche qui. una lotta \ aspra. Il governo chiedeva i ovviamente la ratìfica, e la j chiedeva come premessa indispensabile ad una futura revisione del trattato, e I come sacrificio necessario i per far cessare lo stato d'oc; cupazlone, per uscire giuri! dleamentc e politicamente | dalla guerra. All'opposizione I si agitavano ragioni di dub1 bfo formale, polemiche antigovernative, risentimenti nazionaltsttci. Parlarono De Gasperi. il relatore di maggioranza Gronchi. Sforza («si tratta di creare delle vie libere attorno alla nostra politica »). a favore della ratifica: parlarono contro, fra gli altri. Nitti (relatore di minoranza). Croce, Orlando. La legge che autorizza il | governo a ratificare II trattato viene approvata tl 31 luglio con 262 sì (democrìstlaI ni, socialdemocratici, alcuni i repubblicani), 68 no fazioni■ stt. demolaburisti, qualunquisti, alcuni liberali). 80 astenuti, i comunisti, mentre ! i socialisti unitari hanno po\ lemicamente rifiutato di partecipare alla votazione. Il 15 a \ settembre, infine, lo strumen a e o e i a a Ias- to dt ratifica viene depositato al Quai d'Orsay, e allegato alla copia originale del trattato, quella stessa che sette mesi prima, nel salone dell'Orologio, aveva ricevuto la firma a condizionata » di Lupi di Soragna. Le truppe d'occupazione cominciano a fare le valigie, e mentre il governo avvia la sua politica dt revisione, a oltre due anni dalla cessazione del fuoco si può finalmente dire che la pace è qualcosa di piti e di diverso dalla « non guerra ». Alfredo Venturi I I \ '■ ! ! t. De Gasperi parla davanti ai vincitori, a Parigi, il 10 agosto 1946