Cino Bozzetti pittore di Marziano Bernardi

Cino Bozzetti pittore la bellissima mostra aperta a torino Cino Bozzetti pittore Già nel suo libro del 1950, L'opera incisa di Cino Bozzetti, Angelo Dragone apriva un varco per una riconsiderazione dell'opera pittorica del grande incisore ormai di indiscussa fama internazionale, giudicato nel 1031 da Edoardo Persico « forse il più grande acquafortista che lavori oggi in Italia » senza tener conto né di Morandi né di Bartolini. Aveva scrìtto infatti Dragone: « L'attività del Bozzetti acquafortista non sopravanza certo quella del ! PMore e acquerellista, essen ciò anzi. I una e l altra, episodi „., ,,„■„„ * ' idi un unico impegno di arti- j sta cne na trascorso tutta la vita con grande semplicità, dedicandosi esclusivamente e profondamente alla sua arte ». La bellissima mostra ora aperta nel foyer del « Piccolo Regio », splendidamente ordinata da Piergiorgio Dragone, docente addetto alle esercitazioni di storia dell'arte della Università e del Politecnico di Milano, il quale ha anche curato l'eccellente monografiacatalogo che l'accompagna, presentando un centinaio di dipinti ad olio pressoché inediti con una quarantina di disegni, acquarelli, incisioni, vuole appunto essere un primo tentativo di connotazione del Bozzetti « pittore »: richiamando in un certo senso il visitatore attento ad una precisazione di Italo Cremona del 1941: « Il giorno che l'artista dimetterà quell'immenso pudore che oggi oli vieta di rendere consapevole della sua opera dipinta più gente di quanta non salga al suo studio per amichevole consue- nell'ambito della tura contemporanea». Per Bozzetti, nato casual mente a Lecce, dove il padre tudine, si avranno ampi pre «est! Ptr definirne la perso V"à nell'ambito della pilmilitare era di guarnigione, nel 1876 (questa mostra cele-bra dunque il centenario della sua nascita), morto nel 1949 nella casa patema di Borgo ratto nell'Alessandrino, dove trascorse la vita tolte le dimore a Torino, non si può più parlare di pudore, ma piuttosto di una riqualificazione generosamente ceduta da Angelo Dragone al figlio idei resto Bozzetti è un autore « di famiglia ». perché di lui si occupò in sede crìtica anche Jolanda Dragone Conti), e questa mostra postuma è la prima di una serie che nelle intenzioni di Giorgio Balmas, assessore per la cui tura del Comune di Torino, mira a fissare per episodi la storia di una pittura — torinese e piemontese — « che ha avuto poco spazio in sede di mercato e della letteratura che lo sostiene », pur avendo un suo peso a volte decisivo nell'evoluzione del gusto. Tre rassegne Consigliato da ima ristretta commissione di esperti (Angelo Dragone. Albino Galvano, Lorenzo Guasco), l'assessorato ha in programma per quest'anno tre di codesti « eplsodi »: un'analisi del « Quarto Stato » di Pellizza da Voipedo (notiamo che proprio in questi giorni è uscito un libro, editore Gabriele Mazzotta di Milano, intitolato // Quarto Stato, a cura di Aurora Scotti con prefazione di Marco Rosei), la pittura a Torino 1900-1918, Piero Rambaudi. L'iniziativa proseguirà negli anni venturi. Non è una novità. Quando in anni lontani La Stampa promosse nel suo salone di via Roma le mostre che qualcuno forse ricorda, dedicate a Giuseppe Pellizza da Volpedo, Lorenzo Dclleanl, la Scuola di Rlvara, Vittorio Avondo, Giacomo Grosso, Felice Casorati, ecc., noi perseguivamo i medesimi intenti. Se non che agivamo da semplici « privati », non sotto le ali della « autorità », e senza la preoccupazione di una specifica « politica culturale ». Ma torniamo a Cino Bozzetti. L'incisore, la cui tecnica fu insuperabilmente analizzata j da C. Alberto Petrucci, uomo 1 del mestiere, in occasione del la mostra alla Calcografia Na zionale di Roma del '49. non ci dice qui, ovviamente, nulla di nuovo perché dalla mostra di Milano del 1915 in fondo Bozzetti è l'uomo di una sola veduta incisa: la terra, il cielo, gli alberi, la vita agricola, monotona e severa, di Borgo i ratto, e il corso della Bormi da; e in questa veduta per quarantanni ha cercato la propria realtà umana, la propria coscienza di artista, tentando di chiarire l'una e l'altra con le sue annotazioni da umanista moderno, di timbro leonardesco. Ognuno di que- ; sti fogli è un capolavoro, in cui soprattutto stupisce la semplicità, la parsimonia, quasi l'aridità dei mezzi e spressivi, confrontati con la straordinaria intensità poetica dell'immagine. Che Bozzetti, nel suo rigore moralistico che gli faceva identificare l'arte con la vita in una concezione quasi mo- i nacale dell'esistenza e del la- ! voro (giornate solitarie di meditazioni assidue, di confessioni scritte ancor da pubblicare intere, pochi amici, scarse frequentazioni), avesse ben chiara coscienza che l'asciuttezza stilistica della sua calcografia prevaleva, come fatto artistico, sul suo esercizio pittorico, è provato dal fatto che con l'andar degli anni tenne gelosamente segreta quella pittura che pure era stata l'inizio della sua carriera. La sua acutissima sensibilità pittorica, oltre che nel modo di far sentire il colore nell'esecuzione dei suoi ammirevoli disegni a carboncino, trovava sfogo, si palesava nella tenerezza cromatica o nell'ardore degli effetti coloristici di quegli squisiti suoi acquarelli che, apparsi nella mostra torinese del '47, furono la rivelazione di un Bozzetti non soltanto incisore ma colorista incantevole. Sembrarono tuttavia i segni di un'attività minore, gli appunti, i documenti di un artista che pudicamente celava la sua attività maggiore: proprio quella che oggi è possibile giudicare e apprezzare come s'augurava Italo Cremona pochi anni prima che il solitario di Borgoratto sparisse. E' un giudizio difficile, un apprezzamento che esige cautela, considerando che Bozzetti era uomo coltissimo, che conosceva, sia pure di seconda mano, Turner e Van Gogh (e'quanto*^gogWs'mo' in certi acquarelli dal cieli in- focati), Pellizza da Volpedo ei simbolisti ed iSegantini divisionisti, ma soprattutto a veva presente al suo spirito, quale nume tutelare, il grande Antonio Fontanesi, il cui lirico naturalismo romantico trapela di continuo non nei vasti quadri ma negli studi d'alberi e di cieli presenti in questa esposizione. D'altro lato, c'era l'ambiente pittorico in cui Bozzetti viveva e agiva, che potreobe richiamarci allora ad artisti di non grande rinomanza ma autentici, tanto a un Domenico Buratti quanto a un Camillo Rho, entrambi suoi coetanei, per citare soltanto due nomi. Era l'ambiente della tradizione paesistica ottocen tesca piemontese, fatta di discrezione e di intimità, e non è un caso che il giovane pittore scegliesse un continuatore del Fontanesi, Carlo Follini come suo maestro dopo l'Ubertalli. Tra questi confini ideali pensava ed operava Bozzetti pittore. L'incisore Perciò da questa mostra egli ci appare un pittore di transizione, al tempo stesso epigono e anticipatore. Trovò la sua miglior voce nello stile dell'incisione, che limitava 11 campo della sua visione; non sempre nella dialettica formale e cromatica del quadro dipinto. Raggiunge il capolavoro paesistico quando riduce il motivo a una sensazione singola che nasce da una veduta semplice, un tramonto, un boschetto sulla riva della Bormida, alcuni gelsi in fila su un prato, un gruppo d'alberi che facendoti sentire lo stormire delle frasche ti immettono nel pieno della libera natura; ma la sua tela più ambiziosa, /I grande ritorno dei contadini dal lavo ro coi carri — un tema alla Pellizza — resta frammentario nei suoi vari episodi slegati. Perciò questa mostra non sposta di molto il giudizio che Bozzetti aveva dato di se stesso proponendosi al pubblico Ano al 1947 come acquafortista: ma ci pone in presenza di un pittore, nei j *u°| llml"; nobilissimo che riallaccia Fontanesi a Pellizza ls,u "n* via maestra, e eh era l doveroso dunque conoscere. Marziano Bernardi