LA CITTÀ PIÙ BELLA MUORE PER IL MALGOVERNO di Francesco Rosso

LA CITTÀ PIÙ BELLA MUORE PER IL MALGOVERNO LA CITTÀ PIÙ BELLA MUORE PER IL MALGOVERNO Ridare il doge a Venezia "Forse basterebbe un manager che si alzasse ogni mattina con un'idea" - La Fondazione Cini è un esempio probante di "buon governo" • La Biennale ha una sua vitalità ma litiga con la Fenice per i soldi dello Stato • Il rovinoso concerto " bestie " ( Dal nostro inviato speciale i Venezia, gennaio. « Ridateci il doge »; sembra una battuta paradossale ed è invece l'espressione di un diffuso stato d'animo dei veneziani colmi di rancore per i loro amministratori. L'ho già scritto. Venezia si è ridotta ad una città di turismo sbracuto mentre potrebbe dare tratti buoni solo se fosse bene amministrata. x Venezia è una grossa impresa commerciale ed industriale — mi dice Renato Padoan. soprintendente al monumenti —. e come ogni impresa dovrebbe essere guidata da un sagace amministratore ». Un nuovo doge? «Non esageriamo, basta un manager che si alzi ogni mattina con un'idea. Venezia non è una città qualunque, per amministrarla occorre fantasia e cultura ». E' una vecchia sto ria: il manager, l'alto commissario, il plenipotenziario; ma come potrebbe agire con i politici attaccati ai suol polpacci per via di quei trecento miliardi e possa che la Legge Speciale per Vene zia dovrebbe garantire? Eppure, è il solo modo per salvare Venezia dal disastro: e gli amministratori lo sanno, visto che dal 1968. anno della tragica alluvione, non hanno saputo combinare nulla mettendosi tutti insieme e l'uno contro l'altro per indirizzare in un posto anziché in un altro quei famosi miliardi, che poi pare non ci stano nemmeno più. già impiegati in altre imprese. Se non arriva uno con lo scettro, a Venezia non si combina niente. Gli inglesi Fan c Knightley nel loro libro La morte di Venezia hanno parlato di scandali dietro la distruzione della più bella città del mondo e di scan- doli ve ne sono a dovizia. C'è stato un prestito internazionale di circa quattrocentomila dollari ad un tasso d'interesse hcssissimo. Bene, quei dollari sono gJa stati spesi per pagare il petrolio. Frode sull acqua « Afa questo non è rilevante — mi dice sir Hasley Klarke. ambasciatore e amministratore del "Venice in Perii Fund", alimentato dagli inglesi —. Qui abbiamo bisogno di lire, non di dollari. Ma le lire non arrivano da Roma, se non in mode- ste trance. Sono servite, in parte, a costruire l'acquedotto che porta a Mestre ed a Porto Marghera l'acqua del Sile e del Piave. Almeno si chiuderanno i pozzi artesiani che, pompando per le in- ■ dustrts l'acqua del soiiosuo- lo, erano considerati la causa principale del conttnuo abbassamento del livello di Venezia ». Perfetto, l'acqua arriva, ma pare che alcune o molte industrie non se la sentano di buttare in laguna attrez- zature di pompaggio costate molti milioni e. inoltre, pagare l'acqua dell'acquedotto. E continuano a pompare dai pozzi artesiani. Sono cosine veneziane, ma a parlarne si viene definiti qualunquisti, se non fascisti. Nel suo articolo su The Times. Edward Mortimer ha detto che la Fondazione CI- ] ni nell'isola di San Giorgio ! Maggiore è l'esempio più I probante di ciò che potreb I oc essere Venezia se fosse \ amministrata da un «bene- volent dictator », cioè da un premuroso plenipotenziario. ! Gli hanno scritto che è jettatare, che il sue some, "or l'mer. è sinonimo di morte. Come se Venezia fosse ancora viva. Mortimer pensava ad un personaggio come Vittorio Cini, che ha mirabilmente restaurato l'isola di San Giorgio; ma oggi non è più tempo di mecenati, e sarebbe fortuna che così sia se ci fossero degni sostituti nella amministrazione di questa città, che non ha più nulla da dire al mondo, né da dare. Può soltanto vendere immagini di se stessa, cartoli- \ ne illustrate, fotografie turi- sliche e qualche breve sosta durante i mesi esiivi di visitatori che non degnano nemmeno di uno sguardo gli ingressi dei musei, le chiese debordanti opere d'arte. So- > lo San Marco è aggredita da visitatori che nemmeno si rendono conto di ciò che stanno guardundo, e il Palazzo Ducale per la foto ricordo sulla Scala dei Giganti. Venezia sarebbe un'impresa industriale e commercia- . le redditizia, come dice il prof. Renato Padoan. se ci fossero iniziative adeguate. La Biennale, ad esempio, è una di tali inziative; discutibile, scollata, convulsa, dispersa fin che volete, ma con una carica polemica e cultu- ! rate che nessuno può negar I le. Questo ramoscello verde I in tanta aridità riceve un mi- liardo di lire dallo Stato; la 1 Fenice, che produce spettacoli operistici e concerti, ne riceve sei di miliardi. C'è troppo divario, e la polemica è esplosa tra il presidente della biennale. Carlo Ripa di Meana, ed H Sovrintendente alla Fenice. » Perché a lui sei miliardi ed a me uno solo? » ha protestato Ripa di Meana. Si sono scambiati piacevoli rampogne a distanza, sulle pagine del Gazzettino, ed alla fine la Biennale otterrà, forse, contributi per tre miliardi. Ma oltre la Biennale e la Fondazione Cini, che c'è a Venezia che possa essere considerato iniziativa culturale degna della Città Unica? Così bisognava fare qualcosa di veramente rimarchevole, che facesse parlare tutto il mondo. Un concerto davvero monstre in Piazza San Mar co, da attirare spettatori a decine di migliata. Ci pensò l'Unesco. che pure è benemerita nell'impegno con cui difende Venezia. Il concerto fu organizzato, ospite della Serenissima Paul Mac Cartney, uno del Beatles. Una follia, come si vide poi. Venezia dev'essere ditesa anche da coloro che l'amano, tutto è così fragile che un abbraccio un po' stretto rischia di stritolarla. Ricordo un feroce, delizioso volumetto di Stefano Reggiani sui vari modi per annientare Venezia. Ne elencava dieci, mi pare. Si può aggiungere l'undicesimo; un concerto del Beatles. La piazza di San Marco era stata attrezzata a meraviglia, tribune ai lati delle Procurane Vecchie e Nuove, palcoscenico sotto l'ala napoleonica. Prezzo di tribuna tremila lire, gratis al centro, in piedi. Prima che il concerto incominciasse, i soliti «espropriatori proletari», quelli che arraffano ichisky e car/tale. oltre alla cassa, nei grandi magazzini, dandosi una verniciata politica, sì installarono nelle tribune considerandosi i soli, autentici fruitori della cultura musicale pop. Ma questo sarebbe stato il danno minore. Per farsi sentire fin sotto la facciata di San Marco, o in tutta Venezia, il complesso di Mac Cartney trasportò sulla mirabile piazza tonnellate di attrezzature elettroniche alimentate da un generatore di corrente sistemato nel centro della piazza. Gli impianti elettronici rovesciarono cateratte di decibel sulle antiche pietre delle facciate già corrose dai secoli e dallo smog, le possenti vibrazioni dei deliri di Moc Cartney e compagni allargarono le fenditure, fecero crollare frammenti di colonne e trabeazioni. I collezionisti raccattavano con religioso rispetto le venerate schegge delle Procurane. Poi. con un crescendo degno davvero dei Beatles, il generatore di corrente sprofondò in una voragine apertasi nelle fragili fondamenta della piazza, voragine non ancora colmata pochi giorni prima di Natale. Sistemata quella buca, rimane comunque aperto il discorso su Venezia che sta morendo fra tanti discorsi e pochi interventi davvero salutari. Nella prelazione al bellissimo volume di fotografie di lord Snowdon. Bruno Visentlni enuncia con | < i I ; \ i I 'I! 1 chiarezza quali possono es- sere le cure efficaci per trar- | re Venezia dal coma in cui < giace da secoli. Lasciamo stare Porto Mar- i ghera. centro di industrie I chimiche di dimensioni mon- ; diali. Né si può parlare seriamente di farne un museo \ internazionale; i musei atti- i rano pochi visitatori. Se Venezia storica vuol rivivere. I deve diventare davvero il ' centro motore di tutta l'attività cittadina, cioè il cervello che dirige le sole attività che oggi contino, quelle industriali. Porto Marghera è una città industriale imponente, ma è diretta da centri di potere che risiedono a Milano, a Roma, un poco a To- I rino. Riportiamo quei centri ! nei solenni palazzi vuoti del- j la Venezia storica, risaniamo le zone periferiche popolari, rendiamole abitabili, e la Serenissima tornerà ad essere una città unica al mondo, ma viva. Fuga dal centro Diagnosi esatta: ma chi ascolta Bruno Vlsentint. guardalo con sospetto da molti perché gli si attribuì- i sce l'Intenzione di essere lui : quel «doge» di cui parlano i veneziani? Sono convinto che | Vicentini non pensa nemme- : no ad una simile eventualità, ma bisogna avere qualcuno [ contro cui dirigere strali av- | velenati per impedire che anche piccole briciole di potere sfuggano a chi lo vuole -, interamente. Così, nel nome di Venezia, si consumano incredibili ! abusi, fino a rendere la città ; inabitabile. Ai punto che se I ne vanno non solo i giovani I I che vogliono una casa con- | fortevole In terraferma, ma j tutto ciò che potrebbe dare nuova vigoria al centro storico. Se ne sono andate in terraferma le Asstcurazioni Generali: le banche continuano a chiudere sportelli nella Venezia Storica per aprirne a Mestre; l'agenzia di stampa Ansa si è trasferita a Mestre; il Gazzettino ha già pronto il nuovo stabilimento a Mestre. Fare in fretta perché nel fruttempo Venezia non diventi una conchiglia vuota, ha scritto Laurence Bonnet Pe£ risanare Venezia, sul Figaro; Da bene, facciamo tutto il possibile perché la Serenissima non sprofondi interamente nel suo mare, ma come ridarle il vigore di città viva se non è rimasto più nulla, tranne il fastidio per il continuo affannarsi di tanta gente che dai quattro angoli della Terra punta gli occhi su questo cimitero di marmorei monumenti? Perché i veneziani, non tutti s'intende, son genie particolare, specie se c'è di raezzo l'interesse elettoralistico. Che americani, tedeschi, inglesi, francesi, persino giapponesi, intervengano con fondi non trascurabili per restaurare questo o quel monumento può essere accettabile: meno accettabile è la pretesa di dare pareri, suggerimenti, esprimere giudizi critici. E che, \iamo una colonia? Non dateci consigli, desideriamo sbagliare da soli. Dateci i soldi, faremo tutto noi. Sono trascorsi dicci anni dall'inondazione del novembre 1966, e di restauri, tranne ai grandi monumenti e con gli aiuti di alcuni enti italiani, come ftalia Nontra. ma soprattutto di enti stranieri, si è fatto poco o nulla. Ricordate i cavalli di bronzo sulla facciata di San Marco? I lettori della Stampa mandarono un bel po' di milioni per restaurarli: bene, la vicenda dei cavalli, uno dei quali è decapitato, per studio, nei soppalchi della basilica, è ancora ben lontana dalla conclusione. E così è del piano regolatore, un'avventura che merita un discorso a parte per le tragicomiche peripezie di questo strumento indispensabile Tutto è avvenuto, ed avviene, tra la generale indifferenza degli esponenti politici, molti dei quali, inoltre, non sono nemmeno di Venezia e si sentono a disagio a dover operare in un luogo sempre a fuoco nella lente della curiosità italiana e straniera. Si lavora male sempre allo scoperto: inoltre, non basta definire * qualunquisti » i curiosi per poter continuare all'infinito i propri giochi. Francesco Rosso