Ritorna libero il sindacalista «Sono vittima d'una manovra»

Ritorna libero il sindacalista «Sono vittima d'una manovra» Scarcerato per mancanza di indizi validi Ritorna libero il sindacalista «Sono vittima d'una manovra» Pietro Mancini era stato fermato per una rapina commessa in provincia di Reggio Emilia - Il giudice lo ha messo in libertà, ma resta indiziato di reato - Si indaga su una sua presunta appartenenza alle Brigate rosse - Perquisita la sua baita in Valsesia (Dal nostro inviato speciale) Reggio Emilia. 4 gennaio. «Fuori, lo metto fuori. Ho firmato adesso l'ordine di scarcerazione». Stanco, la barba non rasata, il sostituto procuratore F'io Bevilacqua ci riceve alle 18 nel suo ufficio: prò ino in questi minuti scade il fermo giudiziale nei confronti del sindacalista della Firn Cisl Pietro Mancini, 28 anni, di Milano, sospettato di appartenere alle «Brigate rosse» e di aver preso parte alla rapina nella filiale della Banca di cooperativa popolare di Castelnuovo Sotto, un paese a circa quindici chilometri da ; Reggio Emilia, avvenuta alla ; vigilia di Natale. Quattro uomini armati, con il volto scoperto, avevano immobilizzato gli impiegati ed erano scappa ti con un bottino di oltre C milioni. Cinque giorni dopo, i carabinieri ritenevano di aver già identificato uno dei responsabili, Pietro Mancini, che veniva arrestato la sera del 31 dicembre sulla strada di Buzzo di Riva Valdobbia. mentre era diretto verso una baita di sua proprietà. Tanta celerità nelle indagini era merito di uno degli impiegati dell'istituto di credito, che dieci giorni prima della rapir.», il 14 dicembre, si era insospettito vedendo entrare uno sconosciuto che aveva chiesto informazioni minuziose e particolareggiate su corri plesse operazioni bancarie con l'estero, fermandosi a lungo negli uffici. Quando era uscito, l'impiegato gli era an dato dietro ed aveva annotato il numero di targa della sua auto; il giorno seguente aveva comunicato i suoi sospetti ai carabinieri, fornendo ampie e particolareggiate descrizioni sull'individuo e la vettura sulla quale si era allontanato. All'indomani della rapina gli inquirenti avevano rispolverato quella segnalazione: la targa dell'auto corrispondeva alla «128» rossa del sindacalista. Il magistrato, tuttavia, prima di autorizzarne il fermo aveva ordinato una minuziosa indagine sul Mancini, proprio perché la sua posizione all'interno del sindacato consigliava di agire con prudenza. «Non potevamo permetter ci di sbagliare», ha detto uno degli inquirenti. Alle indagini hanno collaborato agenti della Squadra politica milanese e dell'Antiterrorismo: proprio in questi giorni sono venute fuori le prime voci relative mpcsssbrpscddnqptAtdvdrsdvo«fuiad una sua possibile apparta- \ nenza alle «Brigate rosse». In | merito il dottor Bevilacqua non rilascia dichiBrazioni, limitandosi a dire che questo fatto potrebbe costituire, semmai, materia di un altro processo, in altra sede. Agli impiegati della banca, che avevano ripetuto all'infinito le descrizioni dei quattro rapinatori, è stata mostrata, mischiata ad altre, una fotografia del Mancini (conservata, sembra, negli archivi dell'Antiterrorismo). Dei quattro impiegati, uno ha dichiarato di riconoscerlo «al 90 per cento», un secondo era sicuro «al 60 per cento», il terzo riteneva che potesse essere uno dei banditi, il quarto non lo riconosceva affatto. A questo punto il magistrato ha autorizzato il fermo del sindacalista come indiziato per la rapina. L'arresto è stato effettuato la sera dell'ultimo dell'anno, e il Mancini è stato subito trasferito nel carcere di Reggio Emilia. Fin dal primo istante il giovane funzionario della Federazione provinciale lavoratori metalmeccanici si è dichiarato estraneo alla rapina. Durante il primo interrogatorio, alla presenza dei suoi avvocati, ha presentato un alibi circostan ziato, che è stato attentamente controllato. Il dt ctor Bevilacqua ha ordinato anche una perquisizione nel suo ufficio alla Federazione e nella sua abitazione, sembra su invito dello stesso Mancini, il quale voleva che venisse trovata un;» agenda sulla quale è solito segnare gli appuntamenti di lavoro, proprio per poter ricostruire con maggior precisione i suoi movimenti nella vigilia di Natale. Sembra, tuttavia, che durante le perquisizioni gli inquirenti abbiano trovata anche «elementi» molto interessanti. Tutta la vicenda è avvolta nel mistero: si sa che alle indagini collaborano i servizi dell'Antiterrorismo, si intrecciano i «forse» ed i «probabilmente», nessuno rilascia dichiarazioni ufficiali, si vocifera di sospetti, si fa un gran parlare di «Brigate rosse», di attività clandestine. Tutte cose che riportiamo per dovere di cronaca, ma sulle quali, almeno finora, non è possibile far luce. Ieri pomeriggio, al termine di un altro interrogatorio, il dottor Bevilacqua ha ordinato un confronto all'americana fra il Mancini ed i quattro impiegati della banca rapinata. Avrebbe dovuto essere l'atto conclusivo. Con grande sorpresa, nessuno degli impiegati, neppure quelli che l'avevano già individuato in fotografia, ha riconosciuto Pietro Mancini. A questo punto è venuto a mancare l'ele- mento essenziale sul quale, poggiava l'accusa. L'alibi, secondo quanto ha ammesso lo stesso magistrato, non presenta lacune e l'unico punto sul quale il Mancini non sembra in grado di fornire esaurienti spiegazioni riguarda la presenza della sua auto a Castelnuovo di Sotto il 14 dicembre, dieci giorni prima dell'assalto alla banca. Il sindacalista ha sempre detto di non essere mai andato in quella località, ma non ha saputo spiegare come abbia potuto arrivarci la sua vettura. Avrebbe anche avanzato l'ipotesi che qualcuno si sia impadronito dell'auto, che qualche volta egli lascia in posteggio davanti agli uffici della Federazione, con le chiavi nel cruscotto, per andare e tornare da Castelnuovo, riportando la vettura dove l'aveva presa: oppure, che qualcuno abbia «copiato» la sua targa per farne una falsa. Secondo gli inquirenti, è una spiegazione troppo facile, incredibile, che non ha con- vinto il magistrato, il quale ha detto ai giornalisti che in merito ci sono ancora molte cose da chiarire. Lamentandosi perché «il tempo è tiranno» (con evidente riferimento alla durata prevista dalla legge per il fermo di polizia giù- diziaria. che non pub supera-1 re i quattro giorni dal momento dell'arresto), il dottor Bevilacqua ha dichiarato che. non esistendo indizi che possano giustificare un ordine di cattura (pur restando validi quelli che hanno portato al fermo del sindacalista), il Mancini deve tornare in libertà, «pur restando indiziato per la rapina». Poco dopo le 18. Pietro Mancini è uscito dal carcere di San Tommaso. Lo aspettavano il padre, dottor Francesco (arrivato stamane per portare al magistrato altri elementi atti a corroborare l'alibi del figlio) ed una ragazza. Tranquillo, sereno, Mancini ha detto che «in car- ! cere si mangia benissimo» ed ha avuto parole di elogio per ! il giudice, «molto onesto c scrupoloso». Che cosa ci può di;-e di que sta brutta storia in cui si trova coinvolto? A questo punto il sindacalista si è arrabbiato: «lo con questa faccenda non c'entro. Mi hanno tirato un bidone vogliono immischiarmi in storie che non mi riguardano».... Inveendo contro «i giornali di sinistra che hanno speculato su questa storia» Pietro Mancini si è detto vittima di una manovra «ordita a Milano in un momento critico per i lavoratori, per gettare discredito sui sindacati:. In serata, intanto, si è conclusa una vasta operazione di polizia, ordinata dal dottor Bevilacqua, in alta Val Sesia. Agenti dell'Antiterrorismo di Roma, Milano e Torino hanno perquisito la baita del sindacalista a Buzzo di Riva Valdobbia (Vercelli) ed altri casolari della zona. Sul l'esito dell'operazione viene mantenuto il più fitto ri serbo. f. for.