Questo film va suonato al pianoforte di Gianni Rondolino

Questo film va suonato al pianoforte UNA SERATA CON KLEINER E "IL CAPPELLO DI PAGLIA DI FIRENZE,, Questo film va suonato al pianoforte Torino, 11 dicembre. Questa sera al Teatro Alfieri sarà presentato il film di René Clair II cappello di paglia di Firenze (1927), con accompagnamento di pianoforte in sala a cura di Arthur Kleiner. La manifestazione è organizzata dal Teatro Regio, dall'Università, dal Goethe Institut, dal Centre Culturel Franco-Italien e dal Movie Club. Ingresso libero. Molti sanno che il cinema sonoro nacque ufficialmente nel 1927 con la proiezione pubblica del Cantante di jazz di Alan Croslan con Al Jolson, e che nel volgere di pochissimi anni in tutti i Paesi si cominciarono a produrre e a proiettare film musicati e parlati. Era nata, come si disse, una nuova forma d'arte e di spettacolo, che differiva sensibilmente dal cinema «muto» — che proprio allora aveva raggiunto un altissimo grado artistico e culturale — e poneva una serie di problemi formali e tecnici che richiedevano soluzioni particolari, tanto che parecchi registi e attori vi si opposero o furono costretti ad abbandonare il campo. Ma non molti sanno che, anche prima del 1927, non soltanto furono fatti molteplici esperimenti di cinema sonoro, ma soprattutto esisteva ed era ampiamente diffusa la pratica dell'accompagnamento musicale in sala, sìa con singoli strumenti, come il pianoforte o l'organo, sia con dischi, sia con un'intera orchestra sinfonica. In altre parole, se è vero che solo dalla fine degli Anni Venti e dai primi Anni Trenta si può parlare di cinema sonoro in senso stretto, e quindi di un'arte cinematografica che si serve di parole e musica come di elementi costitutivi fondamentali alla stessa stregua dell'immagine; è altrettanto vero che già molto tempo prima la questione dei rapporti fra immagine e suono, e dei possibili interscambi estetici, era stata affrontata e in gran parte risolta con mezzi, pre-tecnologici. Da un lato, infatti, sequenze drammatiche o descrittive di questo o quel film erano state costruite sulla traccia d'una partitura musicale che veni¬ va eseguita in sala, durante la proiezione; dall'altro musicisti e compositori si ispiravano ai singoli film o a parti di essi per scrivere o suonare brani musicali che a quelle immagini in certa misura «corrispondessero». Col cinema, insomma, era sorta una musica d'accompagnamento che serviva a dare una dimensione sonora alle fotografie semoventi che passavano sullo schermo. E se ciò era dovuto, come si disse da più parti, alla necessità di soffocare il rumore fastidioso dei proiettori cinematografici, o se invece, come sostenne il filosofo Adorno, la musica fu introdotta come «antidoto contro l'immagine» (che risultava troppo terribile nella sua spoglia nudità ambientale); nell'un caso come nell'altro si trattò d'una nuova dimensione spettacolare, con cui bisognava fare i conti. Non pochi musicisti se ne resero conto e studiarono attentamente il problema. Ora, a distanza di oltre cinquant'anni dal primo film sonoro, proprio la proiezione d'un film del 1927, il famoso Cappello di paglia di Firenze di René Clair (che ha compiuto recentemente ottant'anni), accompagnato al pianoforte da Arthur Kleiner, un musicista che lavora nel campo della musica per film sin dagli Anni Venti, è un'ottima occasione non soltanto per ripercorrere brevemente il cammino trascorso e confrontare i risultati d'allora con quelli di oggi, ma anche per entrare più addentro ai problemi di quella «musica d'accompagnamento» che per troppo tempo è stata ignorata o trascurata. Il film di Clair si presta ottimamente al caso. Costruito come un balletto, sulla falsariga d'una commedia di Labiche che ruota attorno all'avventura d'un cappello rubato a una signora, coinvolgendo decine di persone in un carosello frenetico, esso reclama in certa misura una musica di sostegno. Ed è il rapporto di contiguità ritmica o di contrasto drammatico fra il suono e l'immagine a costituire un tessuto formale che non può essere negato, ma anzi va colto in tutte le sue possibilità espressive. Il cinema di Clair. come quello di non pochi altri registi del «muto», era intrinsecamente musicale: inserire quelle sequenze rigorosissime in una corrispondente struttura sonora significa arricchirle d'un elemento che esse già contenevano in potenza. Quando, proprio cinquant'anni fa, Eisenstein, Pudovkin e Aleksandrov scrissero il loro manifesto sull'-asincronismo-, in cui sostenevano la necessità d'una musica funzionale all'immagine cinematografica, la questione era già stata affrontata attentamente da registi e musicisti. Ma soprattutto la stessa pratica quotidiana of¬ friva una vasta gamma di soluzioni estetiche: il musicista in sala, o il compositore chiamato appositamente a collaborare col regista, sperimentavano praticamente il nuovo linguaggio audio-visivo prima ancora che la tecnica permettesse la registrazione del suono sulla pellicola. E' un fatto che non va trascurato. Gli spettatori d'oggi devono sapere che anche il cinema «muto» aveva una sua dimensione «sonora». Gianni Rondolino Un'immagine del film «Il cappello di paglia di Firenze» di René Clair

Persone citate: Al Jolson, Alan Croslan, Aleksandrov, Arthur Kleiner, Goethe, René Clair, René Clair Ii

Luoghi citati: Firenze, Torino