Batte ancora l'orologio della pace di Arrigo Levi

Batte ancora l'orologio della pace MENTRE SEMBRA FERMO IL NEGOZIATO TRA EGITTO E ISRAELE Batte ancora l'orologio della pace L'accordo globale nel Medio Oriente è lontano, ma molto meno di quanto sia mai stato negli ultimi trent'anni - Premessa insostituibile, il trattato bilaterale israelo-egiziano, ormai accettato e desiderato dai due popoli - A entrambi offre vantaggi e garanzie - E tornare indietro aggraverebbe la situazione americana davanti alla Turchia e all'Iran in fiamme DAL NOSTRO INVIATO SPECIALE GERUSALEMME — Harry Hurwitz, consigliere di Begin per l'informazione, ha scritto: «Non è il caso di esagerare questo problema: c'è ancora vita nella dinamica del negoziato, e poiché sia Israele che l'Egitto hanno dichiarato di essere disposti a continuare la trattativa, la prospettiva resta che l'accordo sarà raggiunto a tempo debito». Hurwitz ha scritto queste cose prima dell'incontro di Bruxelles tra Mustafà Khalil, Dayan e Vance, che, di fatto, ha portato avanti il negoziato. Alla fine di questa settimana il governo israeliano deciderà se accettare la proposta di Dayan di prose¬ guire la trattativa; su almeno due dei quattro o cinque punti in sospeso Gerusalemme ha già fatto sapere di essere pronta a discutere correzioni o aggiunte agli accordi conclusi. Si tratta della lettera che definirà le condizioni, e quindi la data, per la concessione dell'autonomia e lo svolgi- o i i o i e e e l r l a mento di elezioni nelle zone occupate di Gaza e della West Bank; e della proposta egiziana di revisione delle clausole militari del trattato dopo cinque anni (mantenendo però ciascuna delle due parti diritto di veto a qualsiasi modifica). L'ipotesi oggi più plausibile è che il negoziato, in realtà mai interrotto, proseguirà su questi temi Si passerebbe poi alle altre richieste egiziane, e cioè: 1) una nota interpretativa che colleghi questo trattato, esclusivamente israelo-egiziano, con i più larghi accordi di Camp David, nei quali si auspicava una pace generale: è questo il cosiddetto linkage o legame, tra l'attuale trattato bilaterale e quello futuro globale; 2) il rinvio dello scambio di ambasciatori (ma non dello scambio di missioni diplomatiche, che avverrebbe subito), a dopo l'avvio della autonomia, almeno a Gaza; 3) la definizione del problema della •priorità* degli impegni: Israele vorrebbe una assoluta priorità di questo trattato sugli impegni anti-israeliani che l'Egitto aveva assunto nei precedenti patti con gli altri Stati arabi; secondo gli americani, l'Egitto conserverebbe il diritto di aiutare uno Stato arabo attaccato da Israele, non uno Stato che attacchi Israele. Questi punti, e altri che Israele potrebbe sollevare come contropartita negoziale, sono pochi, ma non irrilevanti; rappresentano comunque un'area di disaccordo molto piccola se confrontata con la vastità dei problemi già risolti E' questa sproporzione tra il già fatto e il da farsi che continua a giustificare la previsione che «l'accordo sarà raggiunto a tempo debito.. Tornare indietro sarebbe molto spiacevole per tutti II prestigio di Carter riceverebbe un durissimo colpo, in un momento già difficile, con Turchia e Iran in fiamme e i rapporti con l'Urss in crisi Per Begin, mi dice il politologo israeliano Emmanuel Sivàn, «il meccanismo della pace è Irreversibile»; dichiarare fallimento, dopo aver fatto tante concessioni rispetto alle sue vecchie idee, equivarrebbe a un «suicidio politico». Quanto a Sadat, è vero che esiste per lui in teoria una via di fuga rappresentata dalle offerte arabe di aiuti economici e politici; ma nessuno degli Stati arabi è in grado di assicurargli ciò che può dargli Israele, e cioè la restituzione del Sinai, perduto da Nasser; e la messa in moto di un meccanismo di pace che apre prospettive di sviluppo altrimenti irrealizzabili per l'Egitto. Rimane il fatto che l'accordo israelo-egiziano, questa pace ^separata' ma •collegata» a tutto il resto, è un accordo buono per tutte e due le parti, nonostante il singolare squilibrio di tempi e di contenuti tra le concessioni reciproche. Lo squilìbrio dei contenuti è evidente: Israele cede dei territori e riceve in cambio dei pezzi di carta. Lo squilibrio temporale è anch'esso straordinario: entro tre anni Israele avrà dato tutto ciò che ha da dare (i territori) e Sadat avrà avuto ciò che più gli interessa; invece, la pace (ed è la pace il bene che Israele vuole in cambio dei territori) avrà soltanto incominciato a produrre i suoi effetti, e l'Egitto potrebbe anche rimangiarsela; gli aiuti arabi oggi poco allettanti perché non servirebbero a riprendere il Sinai diventerebbero allora molto più invitanti, molto più sostitutivi di quelli americani. Lo squilibrio è, a prima vista, molto grande; a un esame più attento, appare meno acuto. Anzitutto, Israele si ritirerà, entro nove mesi su una linea Nord-Sud, da El Arish a Sharm el Sheikh, che è probabilmente migliore dell'attuale per le condizioni del terreno, montagnoso al Sud, sabbioso al Nord, transitabile solo in un tratto breve. Dopodiché Israele non si muoverà più fino allo scadere del terzo anno, quando dovrà ritirarsi sulle frontiere. Intanto, però, ci sarà stata la ripresa completa dei rapporti diplomatici economici turistici culturali fra Israele e l'Egitto; se Il Cairo avrà fermato la edinamica della pace» allo scadere del triennio Israele non si ritirerà; per riavere il Sinai insomma, l'Egitto dovrà •pagare» con un triennio di pace già operante. Anche quando Israele si sarà ritirato del tutto, il grosso del Sinai rimarrà smilitarizzato, in .mezzo ci saranno truppe dell'Onu che l'Egitto non potrà far ritirare, e anche allora la situazione militare sarà grosso modo equivalente alla attuale. Ora, la sicurezza di Israelesi basa, da trentanni su due soli fattori: la forza militare israeliana, l'appoggio americano. Allo scadere del triennio, checché accada della pace, questi elementi saranno eguali o anzi rafforzati (ci riferiamo all'alleanza americana). Tuttavia, nei tempi lunghi questi due fattori della sicurezza di Israele inevitabilmente si indeboliranno, con o sema trattato egiziano. Il merito del trattato è che esso mette in moto una dinamica di pace che può creare le nuove premesse politiche, non solo militari, della sicurezza di Israele; apre infatti la strada a una pace globale e all'accettazione definitiva di Israele da parte del mondo arabo. TI trattato bilaterale, beninteso, non garantisce che ciò avvenga; ma almeno apre questa prospettiva, che senza il trattato semplicemente non esisterebbe. Questo significa che anche le attuali discussioni sui problemi del Unkage e della •priorità» sono si importanti ma non come appare a prima vista II valore del trattato bilaterale, per Israele, sta proprio nel fatto che esso apre un discorso globale, che lo rende possibile. Se questo discorso fallirà, se cioè non ci sarà accordo tra Israele, la Giordania e i palestinesi sull'indipendenza della Palestina araba e su Gerusalemme (ben più marginale è il problema del Golan), Io stesso trattato egìzìo-israeliano finirà per essere svuotato dei suoi significati politici a lunga scadenza, che sono quelli che premono a Israele. Il trattato rimarrà soltanto un accordo militare-territoriale, non svantaggioso per Israele, e certo utile per II Cairo; ma sarà più un armistizio che una pace, e la grande occasione politica offerta dal trattato sarà stata perduta. E' insomma a Israele, più ancora che all'Egitto, che conviene fare del trattato bilaterale non una illusoria •pace separata» (supporre che un trattato, qualsiasi trattato, possa davvero isolare per sempre l'Egitto dal resto del mondo arabo non è ragionevole), ma un trampolino di lancio verso la pace globale. Io non sono convinto che questo sia del tutto chiaro a Begin, ma lo è certamente a una parte importante del mondo politico israeliano, compresi uomini di governo come Dayan. Quali speranze vi sono che il progettato accordo a due — comunque, meritevole di essere firmato — acquisti questo più largo significato? Vi sono importanti elementi positivi Gli esperti israeliani sono largamente convinti che tutta la società egiziana, e non il solo Sadat, sia genuinamente desiderosa di ossici,rare una pace definitiva nel Medio Oriente; le basi psicologiche della storica visita di Sadat a Gerusalemme (anch'essa un fatto irreversibile: anche Sadat ha •dato», e per primo, qualcosa che non può più essere disfatto) coinvolgono tutta la società egiziana, non soltanto il gruppo di potere. Ma è cambiata anche l'opinione pubblica israeliana: il caso più clamoroso è quello di Begin, l'arcinazionalista che oggi tratta la rinuncia alla Palestina araba f«Se questo trattato si facesse con ancora Begin all'opposizione, mi ha detto un'altissima personalità israeliana, avremmo il sangue nelle strade»;. Più in generale, mentre rimangono forti resistenze a trattare con l'Olp, per la sua lunga pratica e teoria di terrorismo (Arafat è il Begin, non il Ben Gurion del 1948: Ben Gurion fece sparare, in piena guerra, dal neonato esercito israeliano, sui terroristi di Begin, li sconfisse e li tolse di mezzo), è molto cresciuta la disponibilità ad accettare un'autonomia della Palestina araba che conduca di fatto a uno Stato palestinese. Personaggi come Teddy Kollek, il popolare e attivissimo sindaco di Gerusalemme, non fanno mistero della loro opinione che uno Stato palestinese senza l'Olp sia accettabile, anzi migliore di una fumosa autonomia. Anche questo è un processo inarrestabile e a senso unico. Infine, Gerusalemme; l'unità della città è irreversìbile, nemmeno gli arabi (cresciuti in dieci anni da 65 mila a 100 mila) la vorrebbero più divisa; ma già oggi Kollek propone dei •borghi», come a Londra, finanziariamente e politicamente autonomi collegati solo nel quadro di una amministrazione unica. Ancora Kollek pensa che una bandiera verde con la mezzaluna — si vedrà quale bandiera — dovrà sventolare sulle storiche moschee. Infine, la •doppia capitale»: le sedi di governo israeliane sono «a Gerusalemme», ma in realtà sono tanto distanti dalla città vecchia quanto lo sarebbero delle sedi di governo palestinesi collocate in qualche sobborgo ribattezzato Gerusalemme. Il problema, con qualche sforzo illusionistico, non appare insolubile. Concludo. La pace globale è ancora lontana Ma è molto meno lontana di quanto sia mai stata negli ultimi trent'anni Arrigo Levi