L'autogestione secondo Kardelj di Frane Barbieri

L'autogestione secondo Kardelj LA RICERCA DELLA DEMOCRAZIA L'autogestione secondo Kardelj Nel momento in cui tutto il mondo politico e ideologico sembra coinvolto nelle polemiche sui vantaggi e le inefficienze dei sistemi pluri o monopartitici, e mentre gli stessi partiti comunisti si dividono fra pluralisti e monolitisti, il massimo teorico jugoslavo Edvard Kardelj concepisce nel suo ultimo libro una formula distinta: il pluralismo autogestionario. Gli Editori Riuniti ce lo offrono in traduzione italiana {Le vie della democrazia nella società socialista. 274 pagine, 4000 lire). L'ideologo jugoslavo scava nelle crisi e nelle paralisi di ambedue i sistemi alternativi del mondo moderno, del pluripartitismo e del monopartitisnio. Pur riconoscendo al pluralismo democratico e al parlamentarismo il merito di aver «introdotto nella storia del progresso del pensiero democratico dell'umanità i valori della libertà e dei diritti dell'uomo», Kardelj scorge nell'attuale struttura dei Parlamenti e nel ruolo dei partiti, caratterizzati dallo strapotere delle partitocrazie, forme di monopolio politico che privano sempre di più il cittadino di un potere decisionale diretto: l'elettore incide poco o niente sulle decisioni che quotidianamente coinvolgono la sua condizione di cittadino. Il logoramento della democrazia nei partiti monopolisti della vita politica secondo Kardelj non può trovare in nessun modo un'alternativa valida in un sistema monopartitico, nemmeno nelle condizioni di una nazionalizzazione socialista dei mezzi di produzione. Anzi, il monopolio dei partiti o del partito sulla politica e l'alienazione del cittadino si aggravano. Parlando del caso jugoslavo dice: «Quando dichiariamo che a una società basata su un'economia a rapporti sociali autogestionari non corrisponde il pluralismo politico tradizionale, dobbiamo aggiungere subito che tanto meno risulta corrispondente un sistema unipartitico». Il sistema della democrazia autogestionaria secondo Kardelj deve svilupparsi come negazione del monopolio politico dei partiti espresso sia nella forma pluripartitica sia in un sistema a partito unico. «Il sistema monopartitico risulta necessariamente, e in misura superiore che il pluralismo politico, soggetto alle deformazioni più svariate». E conclude: «Ogni sistema politico in cui al partito comunista spetterebbe il compito di governare la società nel nome del popolo entrerebbe inevitabilmente in conflitto con la realtà autogestionaria». Respingendo sia il partito sia la Stato onnisciente e onnipotente, il teorico jugoslavo rompe ancora un mito del marxismo volgare: la non conflittualità d'una società socialista. La società nel socialismo, scrive, non è né monolitica né amorfa, si articola su interessi differenziati ed è carica, anche sul terreno dei rapporti socialisti, di diversità e conflitti ideologici e politici. Da qui anche la terza alternativa: il pluralismo autogestionario. Un sistema dialettico in cui i distinti interessi dovrebbero trovare la loro espressione e la loro composizione: «Nel quadro del pluralismo autogestionario, a interessi diversificati, la maggioranza e la minoranza non vengono costituite in base alle opzioni dei partiti monopolistici, ma si costituiscono di volta in volta come vengono formulate e votate determinate decisioni». La politica viene deprofessionalizzata e socializzata: diventano politici tutti e nessuno. Invece di istituire la «democrazia di Stato», le funzioni statali e lo stesso «apparato dello Stato», vengono trasformati in servizi pubblici specializzati al servizio degli autogestori. L'autogestione, interpretata da Kardelj, mette alla prova quella che Revel chiama la «tentazione totalitaria» delle sinistre, anche nel contesto delle società occidentali. Alla crisi nata da un rapporto gravemente turbato fra consumi e investimenti, fra salario e profitto, fra lavoro e capitali, quasi tutte le soluzioni propongono un intervento equilibratore dello Stato. Essendo però da tempo esaurito il rapporto triangolare lavoratori-imprenditori-Stato con la funzione mediatrice di quest'ultimo, lo Stato tende ad assumersi sempre di più anche le funzioni imprenditoriali, riducendo il triangolo di fatto a un semplice rapporto Stato-lavoro, in cui lo Stato finisce per dominare tutto e tutti. La via dell'autogestione contrasta appunto la «tentazione totalitaria». Le funzioni sociali del lavoro secondo il teorico jugoslavo sono due. La prima discende dal lavoro corrente e vivo, parte del quale forma il reddito personale, mentre un'altra parte confluisce nei mezzi di produzione e di riproduzione. La seconda funzione sociale del lavoro consiste appunto nella gestione di questi mezzi, del «capitale». Se la seconda funzione viene separata dalla prima, lo stesso apparato della classe operaia, la stessa burocrazia dello Stato e dell'economia assume il monopolio del potere socialista. Nel modello di autogestione si cerca di integrare l'operaio e l'imprenditore, il lavoro e il capitale, in un sistema organico che escluda la sovrapposizione dello Stato. La nazionalizzazione viene concepita esclusivamente come strumento per trasferire anche la funzione imprenditoriale ai lavoratori, non per sostituire l'imprenditore privato con lo Stato-imprenditore. Lo Stato, sostituendosi all'imprenditore, concilia soltanto in apparenza il conflitto tra operaio e imprenditore e se mai blocca la conciliazione sostanziale del suddetto conflitto. Tale conciliazione invece si raggiunge facendo diventare gli operai anche imprenditori. Spogliato così il socialismo da molti dei suoi miti. Kardelj affronta anche il più scabroso: il mercato. Dichiara «insostenibile la tesi secondo cui il mercato sia fonte dei rapporti capitalistici» in quanto «non è il mercato a determinare il carattere dei rapporti sociali ed economici, ma sono tali rapporti a determinare il carattere del mercato». L'economia di mercato di conseguenza viene presentata come condizione per il funzionamento dell'autogestione, essendo questa basata sull'associazione dei produttori nelle rispettive imprese autonome, portate al libero scam¬ bio con le altre imprese e al libero impiego dei loro «capitali». Il mercato risulta come un indice selettivo e democratico dell'efficienza di un'impresa e perciò dell'autogestione stessa. Oltre il mercato ci sarebbe soltanto e di nuovo l'intervento dello Stato. «Per la classe operaia non c'è pericolo più grosso di quello rappresentato dalla sua propria burocrazia». Nel libro di Kardelj la «terza via» jugoslava viene portata alle ultime conseguenze teoriche e politiche che vanno ben oltre i confini e l'esperienza di questo Paese. Sono tuttora in molti, anche fra le sinistre, a giudicare la Jugoslavia da quanto si riavvicina O allontana dall'Urss, non riuscendo a percepire che nemmeno le oscillanti «normalizzazioni» nei rapporti con Mosca hanno mai interrotto o sviato un'esperienza che come modello di società non fa altro che differenziarsi da quello sovietico. E lo sta facendo non per considerarsi meno, ma al contrario per voler diventare di più, socialista A ben poco avrebbe portato una resistenza basata sulle velleità d'un autoritarismo nazionale contrapposto ad un autoritarismo internazionale. Perciò l'indipendenza nazionale si era accompagnata in tutti questi anni ad una linea antiautoritaria e ad una ricerca, spesso azzardata e sperimentale, d'un modello socialista alternativo ed antitetico ai sistemi del «socialismo reale». Ed è appunto per questa sua caratteristica che il titoismo (un termine che non piace al suo promotore) trascende dall'epica resistenza balcanica e diventa una delle più interessanti e vive correnti ideologiche e politiche moderne. Frane Barbieri

Persone citate: Edvard Kardelj, Revel

Luoghi citati: Jugoslavia, Mosca, Urss