Troppe persone sono rimaste tagliate fuori dalle indagini di Claudio Cerasuolo

Troppe persone sono rimaste tagliate fuori dalle indagini i Fan e l'«onorata società» neiromicidio Ceretto Troppe persone sono rimaste tagliate fuori dalle indagini Depositata la sentenza per l'assassinio dell'impresario - Sui collega menUconlaniafia «li^^ sufficienti Qual è il vero movente dell'omicidio di Mario Ceretto. l'imprenditore edile di Cuorgnè sequestrato la notte del 22 maggio del 1975 e ritrovato cadavere cinque giorni dopo in un campo vicino alla cascina di Giovanni Caggegi. a Orbassano? Per il giudice istruttore Sorbello. che aveva condotto l'inchiesta. Ceretto fu eliminato perché cosi era stato deciso in certi ambienti edilizi di Cuorgnè, dove negli anni del boom la mafia aveva saldamente affondato le sue radici, dettando legge. «Questa ipotesi — afferma il presidente della corte d'assise Barbaro, che ieri mattina ha depositato la motivazione della sentenza che il 24 novembre scorso ha condannato Caggegi all'ergastolo e quattro suoi complici a pene da 27 a 18 anni di carcere — non trova alcun riscontro nelle risultanze dibattimentali». L'intelaiatura su cui è stata costruita l'istruttoria — una fitta rete di complicità che legava i vari componenti della banda all'ex «boss» di Bardonecchia Rocco Lo Presti o al prestasoldi di Saint-Vincent Michele Bocco, non ha retto alla attenta verifica processuale. Non si può condannare un uomo a trent'anni di carcere, neppure uno con la fama di Lo Presti — usurpata o vera che sia — soltanto perché la moglie di Caggegi dice di averlo visto una volta nella cascina del delitto. Tra i grossi personaggi soltanto Raffaele La Scala, accusato di aver assoldato a Locri la manovalanza del sequestro, è stato condannato, ma sulla base degli antichi e complicati rapporti d'affari che lo legavano a Caggegi. Nella motivazione della sentenza il presidente Barbaro denuncia tutte le perplessità che hanno tormentato la giuria durante il lungo processo, durato ben 72 udienze, dal 16 gennaio al 24 novembre scorso. Il magistrato si chiede: «Perché non si è indagato nei confronti di Antonio Gimondo, indicato dal figlio di Caggegi, Matteo (il principale teste d'accusa) quaZe persona molto vicina in a//ari a La Scala, o nei confronti di Carmine Andreotti, segnalato come assiduo frequentatore della cascina di Caggegi? Eppure — continua Barbaro — altri come Bocco e Lo Presti, sono stati rinviati a giudizio soltanto perché accusati di frequentare quella cascina». Dice ancora Barbaro: «Non si è chiarita la strana posizione del teste Manlio Panu, ex sottufficiale dei carabinieri e persona di fiducia di Ceretto, il quale, inseritosi nell'ambiente di Cuorgnè^ ha abbandonato una florida posizione economica, subito dopo la morte di Ceretto, trasferendosi precipitosamente in Sardegna e svendendo una villa di recente acquisto». L'interrogativo più inquietante è però un altro: «Perché non si è indagato su Giovanni laria, \concorrente in affari di Ceretto e antagonista in politica? Forse proprio cercando in quella direzione si sarebbe potuto trovare un aggancio con l'ambiente edilizio di Cuorgnè, idoneo a puntellare una simile ricostruzione del movente del sequestro». Continua Barbaro: «Si sostiene che Ceretto sia stato punito per essersi sottratto alle leggi imposte dalla mafia a Cuorgnè. Tesi molto suggestiva e magari anche vera, ma non dimostrata. Nessuno degli imputati risulta aver avuto interessi patrimoniai e rapporti d'affari con l'impresa di Ceretto, neppure Lo Presti, che lavorava a Bardonecchia. I a sola persona collegata a Ceretto, del quale era stato socio, trasferendosi poi in Sardegna assieme a Panu, è il costruttore Villanis; ma è stato prosciolto in istruttoria». Concludendo, Barbaro afferma: «Di certo sappiamo che l'organizzazione del sequestro entrò i ut mi ti ì ti ì ni i iiiiiiiiiiiiiiii i uhm in crisi fin dall'inizio dell'operazione. Caggegi aspettava un ostaggio, ma certamente non quel giorno e forse nemmeno Ceretto. Cosi si spiega il suo frenetico andirivieni da un complice all'altro il 23 maggio, giornata cruciale. E si spiega l'eliminazione del sequestrato, della "gallina dalle uova d'oro", ancor prima di aver ricavato il riscatto. La telefonata dei rapitori — Tunica ritenuta vera — è del giorno successivo, quando Ceretto è già stato ucciso». Sulle modalità dell'assassinio di Ceretto, sul tentativo di disfarsi del cadavere, come pure sui complici che avevano costruito e che poi distrussero la cella, nessun dubbio: Metastasi racconta una parte della verità, quando ancora tutti credono che Ceretto sia stato ucciso a Cuorgnè con un manganello o un bastone e indica in una grossa pietra l'arma del delitto. I periti gli daranno ragione. «Tutto il resto, purtroppo, conclude Barbaro, è rimasto avvolto nell'incertezza. E con i dubbi non si può condannare a venti o trent'anni di galera». Claudio Cerasuolo