Sognano una mela chiamata New York

Sognano una mela chiamata New York PER MOLTI AMERICANI LA METROPOLI TORNA A ESSERE UNA META Sognano una mela chiamata New York Il fratto simbolo della città campeggia su «poster» e distintivi - L'industria torna a progredire, aumentano i visitatori e gli investimenti, diminuiscono il disordine e la violenza - «Siamo la capitale della finanza e delle arti», dice il sindaco Koch Ma servizi, scuole, poste, soprattutto nettezza urbana, continuano a funzionare male; gli affitti toccano cifre vertiginose DAL NOSTRO CORRISPONDENTE NEW YORK — Quest'anno, il gioiello di moda da Tiffany non è la lametta di rasosio né il minilingotto, ma la mela d'oro, una spilla da 70 dollari o 60 mila lire. Tra i souvenirs di Simonelli, al settantesimo piano del grattacielo della Rea, amiche riproduzioni in plastica dell'Empire State Building 'e della Statua della Libertà, i turisti acquistano magliette e adesivi con su stampato un pomo rosso. « Vecchi occhi azzurri*, conosciuto anche come Frank Sinatra, si fa ritrarre negli sketches pubblicitari alla tv con una bella donna tra le braccia e il frutto in mano. E al celebre -Studio 54* il ritmo frenetico del rock s'interrompe ogni tanto per quello misurato del Ballo della mela, un passo di dama degli Anni Trenta. Dovunque si vada a New York, li c'è la mela. E' il simbolo della città. Sui distintivi, ha soppiantato il 'facciamo l'amore non la guerra» del periodo incandescente del Vietnam. Nella lingua parlata, sta a indicare oggetti e persone affascinanti. Per gli studi pubblicitari, è la raffigurazione della vitalità e dell'ottimismo. Già mezzo secolo fa, i suonatori di jazz, che ambivano ad arrivarci, chiamavano New York «la meglio mela della pianta». Ma è solo dal 75, quando l'assessorato al Turismo ha fatto suo lo slogan «visit the big appiè», che New York si è identificata in essa. Oggi, non vi è casa in cui la mela non sia entrata, sotto forma di candela, o di poster, o di ornamento. Il successo della mela non è che uno degli aspetti della rinascita della metropoli. Criticata, odiata, tradita fino a tre anni fa, New York è improvvisamente ritornata in auge. Gli affitti raggiungono cifre vertiginose garriva la camera a 1000 dollari al mese», annuncio la copertina di un settimanale) ma vanno sempre a ruba. I servigi, le scuole, le poste, la nettezza urbana soprattutto, funzionano male, ma non scoraggiano nessuno. Pur di stare a New York, la gente fa sacrifici e tollera disagi. Ci sono fiducia e allegria, e lo si avverte nei vividi murali dipinti di sorpresa sui muri di edifici semidiroccati, nelle carrozzelle a cavalli guidate da ragazze avvenenti, nell'adesio¬ ne entusiastica a ogni iniziativa a misura d'uomo, dalla maratona ai concerti all'aperto. •La metropoli da cui fuggivano le aziende e le famiglie e in cui il crimine e la droga minacciavano la vita è di nuovo 11 sogno di molti americani — dichiara il sindaco Edward Koch. — In un triennio, New York s'è trasformata. L'industria torna a produrre, crescono il numero dei visitatori e l'entità degli investimenti stranieri, diminuiscono il disordine e la violenza. Oggi più di ieri siamo la capitale della finanza e delle arti». Koch è un ebreo di 52 anni, dalla lunga militanza nel. partito democratico, abbastanza popolare, che porta bene la pesante eredità dell'aristocratico John Lindsay, ex candidato alla Casa Bianca, e del piccolo Abraham Beam, il geometra travolto dal dissesto. In lui, alcuni vedono l'uomo che riporterà la città ai fasti di Fiorello Lo Guardia. Koch non nasconde che il primo motivo del recupero della metropoli è stata l'assistema finanziaria dello Stato. Washington ha garantito prestiti per un miliardo e mezzo di dollari, creato posti di lavoro per 800 milioni, sussidiato l'istruzione, la musica, il teatro per altri 400. «Senza Washington — dice —non saremmo più riusciti a decollare, eravamo precipitati nella crisi più grave della nostra storia». Ma New York ha risposto bene a questo stimolo, scoprendo energie e volontà insospettate. «Il passo iniziale — ricorda Koch — lo compi Beam nel '75, riducendo del 20 per cento la manodopera municipale, bloccando gli aumenti dei salari, ed emettendo Buoni quinquennali. Il resto lo stiamo facendo noi, come possiamo, a poco a poco». «Il resto» è una straordinaria congerie di misure improntate all'espansione anziché alla lesina. «Ci siamo resi conto che da soli i tagli del bi lancio avrebbero provocato la fine di New York — afferma Koch. — Abbiamo perciò ridotto l'imposta immobiliare e quella commerciale, e incentivato la ridistribuzione delle imprese. Abbiamo istituito un assessorato per lo sviluppo economico e presto istituiremo una zona franca. Abbiamo favorito il capitale straniero e rinvigorito settori un tempo fiorenti, oggi in decadenza, ad esempio l'industria cinematografica». Il risultato è facile a vedersi: la città ferve d'affari, la Quinta Strada, la più celebre arteria di negozi al mondo, è divenuta una colonia straniera, in gran parte italiana, e Wall Street prospera nonostante l'inflazione. Il Comune ha altresì incominciato a prestare attenzione alla qualità della vita, prima trascurata. Magistratura e polizia hanno sostituito una rigida efficienza alla benevola trascuratezza degli Anni Sessanta. Quartieri semiabbandonati, come il West Side, che fiancheggia il fiume Hudson, hanno tratto impulso da nuovi complessi come il Lincoln Center, la sede dell'opera e della musica da camera. Con discrezione, Broadway, la patria del jazz e dei musical, ma anche della prostituzione e della tossicomania, è stata parzialmente ripulita. Tra i regolamenti, emessi in una specie di campagna «dei cento fiori», qualcuno odorava di bizzarro: oggi è proibito ai cani di sporcare, e i padroni devono portarli a spasso muniti di sacchetto, per raccoglierne le feci e non insozzare i marciapiedi. Il sindaco Koch ammette che se non si fosse trattato di New York, la trasformazione non sarebbe stata così rapida. Ma considera i tempi maturi per il recupero delle città •sotto qualsiasi latitudine». •La forza di New York sono i newyorchesi, n loro contributo è decisivo, raccolgono ogni sfida—dice.—Tuttavia penso che anche altrove azioni simili alla nostra sarebbero coronate dal succes so proprio grazie al responso popolare». Koch cita la nascita nel 75 del «comitato civico» per la pulizia delle strade, la sicurezza della comunità, la difesa dell'ambiente, l'aiuto ai bambini e agli anziani, le attività del tempo libero «isolato per isolato». «E un fenomeno — ossemi — che ha dato luogo a cooperative edili, associazioni e ambulatori di quartiere, reti di mutuo soccorso». La frase «fare da sé», cosi popolare nelle faccende di casa, è diventata infatti il motto cittadino. Accanto alle istituzioni tipo il Metropoli tan Museum, che rimane il punto di massima attrazione, si collocano le iniziative spontanee, dalle mostre alle sfilate, che restituiscono il senso della collettività e della partecipazione. E' uno spirito che si cerca di introdurre mite scuole, «il ventre molle» del \ mdhNncsYe \ sistema. Più che mai, New York esemplifica il crogiolo di classi e di popoli che è la matrice del Paese, e insieme il futuro americano. «Essa sta al resto del mondo — ha scritto giustamente Theodore Whlte — come la Berlino degli Anni Venti stava al resto dell'Europa». La debolezza della metrò^ ■poli è nell'edilizia. A New York non esiste quasi edilizia sociale, e il volontariato, da sempre una caratteristica degli Stati Uniti, non può sopperire a questa carenza. Ci sono giovani che scortano i visitatori al Teatro Apollo di Harlem, il cuore negro dell'America, fino a pochi mesi fa off llrnits per i bianchi. Ma il risanamento della città mila città, completamente disastrata, è impossibile sema una più ampia e radicate riforma. Perciò New York chiude gli occhi e si rifugia mi folclore. I turisti, la cui affluenza sta battendo ogni primato, ricordano più volentieri Homi Hampton che celebra il suo cinquantenario con il jazz suonando nei parchi e mlle piazze che non i dibattiti al Comum sulle zone da bonificare. Il revival di New York non potrà mai essere giudicato certo né definitivo. Nonostante i miglioramenti, le previsioni paiono inquietanti. Un miliardo di deficit mi bilancio dell '82, altre riduzioni degli organici, disservizi, tensioni razziali. La crisi economica americana ha colto la metropoli mi momento più delicato e minaccia di danneggiarla Il senatore Moyniham, già ambasciatore alle Nazioni Unite, ha chiesto a Carter un intervento personale «preventivo». «Lasciare che la sua ripresa si arresti — ha sostenuto — non significa soltanto condannare New York, ma anche le città che a essa si ispirano». Le ultime statistiche dicono che l'esodo dai centri urbani degli Usa alla provincia è terminato; che il fenomeno nuovo degli Stati Uniti è l'emigrazione della popolazione dal Nord al Sud; e che mi Sud stanno sorgendo autentiche metropoli, da Houston ad Atlanta. E' la conferma che nel tessuto sociale le città■ sono per ora insostituibili. E'' anche la riprova che i problemi da esse presentati canno risolti dal governo mll'ambìto di una programmazione ambientale, architettonica ed economica. Altrimenti le città ripeteranno eternamente l'esperienza di New York, di alti e bassi continui, pieni di fascino ma anche di nevrosi. Ennio Carette New York. Una panoramica della metropoli: accanto ai miglioramenti restano deficit, disservizi, tensioni razziali (D. Burnett)