Un conservatore vicino all'eresia

Un conservatore vicino all'eresia INEDITI DI GALLARATI SCOTTI Un conservatore vicino all'eresia «Vado ogni giorno a colazione da Benedetto Croce. Parliamo anche di religione. Io non gli nascondo la mia fervida anche se travagliata fede cristiana e la pace trovata in essa. Dico che considero la sua posizione come Dante giudica quella di Virgilio: altissima, di guida nel mondo della ragione, della conoscenza, ma priva di quel lume della grazia che è la rivelazione cristiana. Egli mi risponde che la sua è una religione filosofica a cui non sa quale altro lume potrebbe essere ag-i giunto...». E' una pagina, datata 7 febbraio 1945, del diario inedito di Tommaso Gallarati Scotti, l'umanista lombardo, il biografo di Fogazzaro, l'ultimo ideale discendente di Manzoni di cui la Milano colta e civile ha ricordato pochi giorni fa il centenario della nascita, con la discrezione e la sobrietà che egli, esponente di una delle antiche aristocrazie d'Europa, seppe serbare sempre nel vecchio palazzo di via Manzoni, sacro alle memorie del comitato di liberazione del '43. Croce, Gallarati Scotti. Due mondi, due concezioni della vita. Il grande filosofo appagato nella laica religione della libertà, il credente tormentato, e più volte condannato dalla Chiesa, sempre fedele alla reli-' gione dei padri, sia pure vissuta col travaglio della generazione modernista che ha condiviso le angosce del «santo» foga zza nano e ha cercato le vie del rinnovamento sessant'anni prima del Concilio Vaticano secondo. Gallarati Scotti è a Napoli per pochi giorni: lo colpisce lo spettacolo di «una folla militare e popolare, di una vera emigrazione di stirpi varie in una città babilonica». Ha raggiunto l'Italia liberata dalla Svizzera, dov'era rifugiato fin dal dicembre '43, fortunosamente. Deve assumere l'ambasciata d'Italia a Madrid: una scelta che è stata compiuta pochi mesi prima dal governo Bonomi. non senza un preciso calcolo politico. Madrid è l'ultima capitale di uno Stato di tipo fascista in Europa, impegnato nel graduale sganciamento dagli ex alleati delPAsse. Occorre inviare un ambasciatore che rappresenti l'Italia antifascista (e pochi hanno le carte in regola come Gallarati Scotti) ma anche che goda di possibili autorevoli entrature nel mondo dell'aristocrazia spagnola cui il duca lombardo è vicino: grande di Spagna egli stesso, per le parentele materne del ramo degli Eri! (la madre è una Melzi d'Eri!, del filone napoleonico del. regno italico), discendente di un ambasciatore di Ludovico il Moro alla Corte spagnola degli anni 1497, pressa poco gli anni di Colombo. Il successo della missione diplomatica a Madrid sarà grande: il patrizio lombardo, che ha già 67 anni, terrà testa alla consumata e smagata diplomazia del generalissimo con cortesia pari alla fermezza. Non meno grande sarà due anni dopo, dai primi del '47, l'ambasciata a Londra: un ambiente politicamente tanto più congeniale al patriota milanese, negli anni centrali dell'epoca de gasperiana. Tommaso Gallarati Scotti è profondamente vicino a De Gasperi. La stessa visione scabra e quasi ascetica della vita; la stessa lontananza dalla retorica e dall'enfasi; la stessa vena di cattolicesimo liberale. Nel primo quindicennio del secolo i due hanno vissuto esperienze diverse: l'uno chiuso nel Trentino clericaleggiarne e legittimista, l'altro operante in una Milano in cui gli intransigenti sono in minoranza, don Davide Albertario è segnato a dito, l'influenza di Rosmini non si è mai consumata neanche nel clero, l'indipendenza intellettuale è conciliabile con la fede cattolica, secondo il modello manzoniano. Viene, Tommaso, da una famiglia, quella paterna, non risorgimentale, austriacante, «massimilianea» negli anni in cui l'arciduca austriaco ha tentato una riconciliazione con la Lombardia post-rcstaurazione. Si è formato secondo una dura, rigorosa, quasi scontrosa, edu cazione cattolica; suo catechi sta è stato don Achille Ratti, il futuro prefetto dell'Ambrosiana ma anche il futuro pontefice del concordato con Mussolini (un atto che l'antifascista cattolico non giustificherà mai. fedele come rimarrà in ogni momento alla visione coerente e schietta della separazione fra i due poteri, alla «libera Chiesa in libero Stato», che egli riprendeva direttamente dal filo ne cavouriano). L'incontro con Fogazzaro è stato decisivo; giovane studioso ha respirato il clima di contraddizioni e di tormenti che si è riflesso nello scrittore vicentino, lo ha quasi trasferito in sé, rivissuto per la seconda volta. Nei primi anni del secolo Gallarati Scotti è vicino al modernismo religioso non meno che a quello politico, senza potersi dire un «modernista» louì court. Alimenta, insieme con Casati e Alfieri, la battaglia del Rinnovamento: una rivista che segnerà un momento decisivo nella storia del laicato cattolico, nel pieno della restaurazione teocratica di Pio X, salvo ripiegare, egli stesso, nel silenzio nella solitudine quando giungerà la condanna del Vaticano, cui egli preferirà sottrarsi con un atto di obbedienza, che da molti non gli sarà perdonato. Detesta la vita pubblica e politica, non concorre mai alle elezioni, condivide l'insofferenza dell'Italia giolittiana, della «prosa» giolittiana: l'unico impegno diretto è la partecipazione alla «Lega democratica nazionale» di Romolo Murri — un uomo da cui quasi tutto lo divide — che gli serve per lanciare, nel congresso di Rimini del settembre 1908. un appello per la cancellazione dell'insegnamento religioso così com'è degradato nelle pubbliche scuole: un appello che andrebbe riletto, in questi giorni, dai negoziatori della revisione del Concordato lateranense. Cattolico fino ai confini della sofferenza e del dubbio, non senza trasalimenti giansenisti; mai conformista. Nel 1904, appena ventiseienne, laureato da poco, parla della «democrazia religiosa» di Mazzini per conto delrUniversità Popolare di Milano: esaltando il modello di società mazziniana come il più vicino al cristianesimo. E' amico fraterno di Gaetano Salvemini, condivide le battaglie meridionaliste del direttore dell'Unità. Nell'interventismo, rifugge da ogni posa gladiatoria o dannunziana. All'indomani della prima guerra mondiale, è sulla linea di Bissolati, contro ogni stolido nazionalismo. Non subisce neanche per un momento l'attrazione del fascismo, che pure scompagina le file del mondo liberale, non cede mai all'illusione di crederlo, neanche per un attimo, strumento della difesa borghese, provvisoria arma di classe. Nella Milano del delitto Matteotti, quando larga parte della sua famiglia indulge al collaborazionismo col regime vincente, troviamo Tommaso collaboratore del Caffè di Riccardo Bauer e dell'antifascismo laico da cui nascerà il partito d'azione, fermo nel condannare il «Mussolini giolittizzato» che prepara l'accordo col nuovo Papa, antico amico di famiglia e suo confessore. Allorché Pio IX firma i trattati del Laterano, il duca milanese prepara la traduzione italiana del «Sole di Satana» di Bernanos: altrettanto ostile alle compromissioni concordatarie quanto alle intolleranze giacobine. Condannato all'indice per il volume, scrupoloso e fedele, su Fogazzaro, riuscirà a far revocare quell'interdetto assurdo senza nessuna correzione sostanziale, senza nessuna rettifica di fondo. Non arriverà invece a condurre in porto la tanto agognata biografia di Manzoni (postume, usciranno le pagine sulla giovinezza); «perché — mi confidava una volta, in uno dei numerosi incontri che ho avuto con lui nella vecchia casa milanese fra '55 e '65 — mi sento troppo "manzoniano", il mio manzonismo è un freno alla mia storiografia». Conservatore d'istinto e di educazione intuì tutti i difetti della vecchia Europa, capì come pochi altri le tante cose che non erano da conservare, accanto ai valori di coscienza che non potevano essere in nessun caso barattati. Come per Croce, e sia pure con diverso animo, ascoltare una messa valeva per lui infinitamente più di Parigi. Giovanni Spadolini