Un giornale, un uomo di Alfredo Frassati

Un giornale, un uomo "LA STAMPA,, DI ALFREDO FRASSATI Un giornale, un uomo Ampia biografia che documenta il ventennio dal 1895 al 1915 ROMA — Gli storici Renzo De Felice, Gabriele De Rosa e Rosario Romeo presentano oggi all'Istituto accademico di Roma Un uomo, un giornale. Alfredo Frassati (intr. di G. De Rosa, Ed. di Storia e letteratura, voi. I in 2 tomi, pag. 551 e 581 con 148 tavv.), di Luciana Frassati. L'incontro, che avrà inizio alle 18,30 in via Bocca di Leone, 78, sarà presieduto da Sergio Cotta. A ricostruire la vita e l'opera di suo padre, che per un trentennio si identificarono con la crescita prorompente e la battaglia politica di questo giornale. Luciana Frassati dedica un'opera monumentale e meritoria. Sei grossi volumi sono previsti per dar respiro a una narrazione densa di materiali documentari di prima mano, in cui ogni capitolo è accompagnato da un'appendice nella quale altri testi di più ampia mole, sovente sconosciuti, vengono trascrìtti per disteso, corredati da centinaia di illustrazioni spesso inedite o peregrine. Sono ora disponibili i primi due tomi, che illustrano la vicenda de La Stampa e quella del suo ferreo proprietario-direttore durante il ventennio 1895-1915. Alfredo Frassati era nato a Pollone nel 1868 da vecchia famiglia biellese: dalla sua gente ereditò l'operosità industriosa e la fierezza del carattere; nel rievocare la propria origine se ne dirà orgoglioso come di un'appartenenza «alla più antica famiglia aristocratica», avendone derivato «altero il sentimento della dignità e dell'indipendenza». Serio, attivo, studioso, proseguì gli studi di legge, anche in Germania, e a 27 anni era libero docente di diritto romano, ma aveva anche mosso con sicurezza i primi passi nel giornalismo, che presto divenne la sua divorante passione Nell'87, a vent'anni, parlando della sobria eloquenza di Cavour, aveva scritto che in quell'oratoria «l'aridezza stessa ti piace, perché in essa vedi non la mancanza di fantasia, ma l'esuberanza del raziocinio, non la mancanza di idee immaginose, ma il calcolo profondamente matematico». C'è qui tutto l'ideale di un piemontesismo antiretorico, che in lui si impennava in durezze autoritarie, in toni sbrigativi, nel culto della serietà e dell'efficienza, nella gelosa tutela della riservatezza familiare, nel gusto delle lunghe gite tra montangne solitarie. Ma l'uomo asciutto e risoluto, affascinante e abile negli affari, portava in sé timidezza e malinconie segrete, inquietudini e nostalgie, una passionalità impetuosa, momenti di tetraggine, spigolose intolleranze e silenzi. Come tutti i costruttori infaticabili, forse lo afflissero in perpetuo il senso dei limite, il timore dell'insufficienza, «un'ambizione senza freni, ma forte, sana ed onesta, insofferente d'ogni viltà, schiva d'ogni compromesso». Il suo destino si decise quando, nel dicembre del 1894. con capitali faticosamente raccolti, acquistò una quota di proprietà della Gazzetta piemontese, un giornale fondato nel 1867. quando ormai la stagione eroica del Risorgimento s'era conclusa e Torino, destituita dalla dignità di capitale, cercava una diversa identità e nuove risorse. Diretta fino ai primi del 1880 da Vittorio Bersezio, scrittore caro al cuore dei piemontesi, la Gazzetta era poi stata guidata da Luigi Roux, avvocato, editore, deputato di Cuneo dall'82 e infine senatore, che aveva mantenuto il carattere monarchico, costituzionale e moderatamente progressista di un foglio che non usciva dall'ambito locale, con tirature di poche migliaia di copie. ★ * ' L'ingresso di Frassati nel giorna le fu come una frustata di energia. D 1" gennaio 1895 la vecchia testata si ridusse a semplice sottotitolo e in fronte alla prima facciata prese a campeggiare il titolo La Stampa. Il 7-8 febbraio, in un articolo programmatico, il nuovo comproprietario manifestava il proposito di dare al foglio un respiro nazionale, sospingendolo, anche col titolo, a «varcare materailmente i confini del nostro vecchio e amato Pie- egli scrive, era stata definita «il quarto potere» dopo i tre costituzionali, «ma essa mira a diventare effettivamente il primo, perché, fattasi portavoce di questa immane forza che è la pubblica opinione, tutti gli altri poteri avvolge, sopra tutti influisce, e domina misteriosamente irresistibile». E irresistibile fu l'ascesa del giornale sotto l'impulso che Frassati seppe imporgli, fin dal 1 aprile firmandolo come vice direttore. Risanati gli stenti bilanci, già nel '98 si registra un utile di 85.000 lire; l'anno do¬ monte». La stampa quotidiana. L po viene introdotta la composizione in linotype, una quasi assoluta novità per l'Italia; il 19 gennaio 1902 appare per la prima volta La Stampa sportiva. un supplemento settimanale illustrato di 16 pagine. Nel 1904 il quotidiano supera le 100.000 copie e passa da quattro a sei pagine, che diverranno otto nel 1907. grazie all'impianto di nuove, moderne rotative, mentre la tiratura toccherà nei tragici eventi del 1915 il traguardo insperato delle 300.000 copie. Frassati è l'artefice primario di questo successo; fin dal 16 ottobre 1900 il senatore Roux s'era congedato dai lettori nell'atto di trasferirsi a Roma per assumervi la direzione de La Tribuna. Frassati ha ora il pieno carico della direzione e due anni dopo consoliderà nelle sue mani anche l'intera proprietà, assommando così la responsabilità politica, tecnica e finanziaria dell'impresa. * * Sono gli anni eroici e avventurosi del giornalismo, in cui gli inviati viaggiano ancora in treno ed in piroscafo, il telefono è un mezzo di comunicazione insicuro, le corrispondenze vengono trasmesse per telegrafo, a costi altissimi, e rielaborate da redattori ingegnosi, a tamburo battente, sul bancone della tipografia. Strappare una notizia, giungere un'ora prima con l'annuncio clamoroso, esalta l'orgoglio professionale e incrementa vorticosamente la tiratura d'un numero, ma crea anche nervosismi, tensioni e accese rivalità. La Stampa riesce a raccogliere una rosa eccezionale di redattori e d'inviati, diventa un vivaio di talenti giornalistici che Frassati mette, instancabilmente alla frusta' con la sua incontentabilità, le sue collere tremende, le minacce di licenziamenti in tronco, un dispotismo illuminato e dinamico, che fu per molti durissima scuola ed esempio di dedizione assoluta alla professione. Amministrazione rigida, nessun risparmio di mezzi per ottenere il meglio, grande fiuto nello scegliere gli uomini, autorità indiscussa nel dirigerli, fecero della Stampa un grande giornale, degno rivale del suo insigne concorrente milanese, col quale gareggiò in tempestività ed efficienza, forse superandolo nelle tensioni spirituali. «Per l'Albertini». scrisse nel 1909 un commentatore illustre, «il Corriere è un fatto, per il Frassati La Stanca è un ideale». A Bergamini aveva confessato; «Sogno un giornalismo moderno, indipendente da tutti, onestissimo nel più rigido e assoluto senso della parola», e ad uno stretto collaboratore, nel 1902. prescriveva di «riferire tutto, le ragioni degli uni come quelle degli altri, imparzialmente, serenamente...». Esperto di politica estera. Frassati intese offrirle spazi sempre maggiori sulle colonne del suo giornale, proponendo con arditezza e realismo le linee programmatiche di un'azione dell'Italia che sposasse la passione nazionale con la concretezza politica. Contrario ad una condotta di succube acquiescenza in seno alla Triplice, egli auspicava una più autonoma difesa degli interessi italiani da condurre soprattutto di concerto con l'Inghilterra. Quanto all'interno, il suo stesso moralismo temperato dal paziente buon senso subalpino avevano fatto di lui un sostenitore convinto della linea politica giolitciana, volta al progresso economico del Paese, alla sua educazione seria, all'im¬ missione nello Stato delle forL?/? emergenti dei lavoratori Eppure, se si analizza con il senno del poi la drammatica svolta della vita italiana nel secondo decennio di questo secolo, cioè la fine dell'età giolittiana e delle illusioni di prosperità e di progresso, la responsabilità di Frassati emerge con evidenza conturbante. L'uomo che sulla Stampa del 27 agosto 1905 aveva deprecato con parole forti «quella benedetta lue della retorica patriottica che ci serpe nelle vene e ci dà la parlantina quando ci sarebbe più che mai bisogno di calma, di serietà, di silenzio». sei anni più tardi diventa l'araldo ispirato dell'impresa di Libia. Suo era stato l'articolo «Excelsior» che il 29 aprile 1911 esaltava la misconosciuta Italia civilizzatrice e fecondatrice, che aveva sparso sangue, sudore e pianto su tutti i continenti; da lui ispirata la «Lettera aperta all'on. Giolitti» del 30 luglio, che incitava a conquistare la quarta sponda, gettando «un disperato appello nazionale... che prendesse tutti i cuori»; suo il pezzo fiammeggiante «Ora o non più» dell'I 1 settembre, una vera diana guerresca, ispirata dalla «voluttà rara di sentir vibrare nel proprio lavoro il palpito della Storia» (6 ottobre). La guerra libica, preparata con avvedutezza da Giolitti, fu dichiarata, combattuta evinta. Ma proprio a un corrispondente della Stampa il nostro ministro degli Esteri aveva dichiarato con singolare lungimiranza: «Chi tocca un possedimento ottomano ferisce la Turchia, chi indebolisce la Turchia risveglia i Balcani, se gli Stati balcanici si muovono l'Austria interviene, e l'intervento austriaco significa la guerra europea». Sarajevo fu il pretesto, ma forse la prima guerra mondiale cominciò proprio da Tripoli, soprattutto per l'Italia, accesa ormai di nazionalismo, di vittorie facili e di destini imperiali, ubriacata dalle dannunziane Canzoni delle gesta d'Oltremare, dai miti del sangue rigeneratore e della bella morte. Nell'I 1 il Corriere, coerente con il suo anti-giolittismo, era stato avverso all'impresa africana che La Stampa esaltava: ma tre anni dopo le parti si invertirono e Milano legittimò autorevolmente quell'interventismo che Torino deprecava. Invano Frassati auspicherà allora, come ogni interesse e buon senso esigevano, una mentalità fredda, calcolatrice, spregiudicata, in continuo negoziato, una neutralità «astuta e misteriosa, che avesse il volto enigmatico di una sfinge» (24 dicembre 1914). Presto sarebbe stato anche lui travolto, come l'esecrato Giolitti con il suo «parecchio», dalle forze dell'irrazionalismo che egli stesso — quasi un apprenti sorcier — aveva contribuito a scatenare. Senatore dal 1913, primo a ottenere il laticlavio per meriti giornalistici, ambasciatore a Berlino nel '20. Frassati fu oppositore inflessibile del fascismo e nel '26 si vide allontanato dal giornale che era stato suo nel senso più pieno della parola. Della sua lunga vita, ricca ancora di opere, di successi, di dolori, fino alla morte che lo colse a 93 anni nel 1961, ci parlerà sua figlia nei prossimi volumi. Quelli apparsi già offrono larga materia di meditazione e di studio sulla vita italiana tra due secoli e su un destino umano di appassionata coerenza morale. Luigi Firpo '-v™ ima Per la campagna abbonamenti de "La Stampa" nel 1899