La rivolta si accende ogni notte a Teheran presidiata dall'esercito di Igor Man

La rivolta si accende ogni notte a Teheran presidiata dall'esercito Malgrado il massiccio spiegamento di carri armati La rivolta si accende ogni notte a Teheran presidiata dall'esercito Allo scoccare del coprifuoco il silenzio è squarciato da una tempesta di urla e slogan, i militari sparano - Difficile accertare il numero delle vittime - Il generale Azhari lancia un ultimatum, ma intanto libera il capo dell'opposizione DAL NOSTRO INVIATO SPECIALE TEHERAN — Teheran è una città occupata da carri armati, soldati, elicotteri. E occupate sono Isfahan, Tabriz, Zanjan, Bushehr, eccetera. E tuttavia la nuova rivolta popolare, esplosa al tramonto di venerdì 1 dicembre, continua, sia pure tra flussi e riflussi, in tutto l'Iran. E' Moharran (dicembre), si commemora il «protomartire della repressione», l'Imam Hossein, nipote di Maometto, ucciso a Karbala (l'odierno Iraq) nel Seicento, durante un program antisciita voluto dal califfo Yazid. I dieci giorni di lutto che aprono 11 Moharran e l'anno liturgico sciita sono sempre stati uno dei momenti di più alta tensione religiosa per la Persia. Oggi il fatto religioso si intreccia con la rivolta della -plebaglia*, per dirla coi generali. La protesta dilaga coinvolgendo un po' tutti gli strati sociali; da cinque giorni son di nuovo in sciopero i lavoratori del petrolio: col mese santo di Moharran si è già scesi a due milioni di barili al giorno, meno del fabbisogno interno. All'ambasciata americana dicono che -di questo passo, in due settimane il Paese sarà alla rovina*. Tutti i negozi sono chiusi, solo di tanto in tanto quelli alimentari alzano le saracinesche e si formano lunghe file dì donne. Manca il gas per uso domestico, il traffico caotico di Teheran non è più quello di un tempo, scarseggia il pane eppure la gente è come ubriaca di libertà. Ora l'insurrezione preferisce la notte. Ogni sera, allo scoccare del coprifuoco, le nove, il silenzio che incombe su Teheran che s'allarga come un anfiteatro ai piedi delle montagne, viene squarciato da una tempesta di urla, canti e slogan. Anziché scendere in strada, la gente si affolla sui tetti, dove sono piazzati potenti altoparlanti. Percossi dal frastuono e dalle maledizioni, i soldati le prime due notti hanno sparato nel mucchio. Ed è stato il massacro, difficile da quantificare perché qui mentono tutti, militari e oppositori. Dieci morti come pretende il governo o più di mille come assicura l'opposizione? La verità sta forse nel mezzo, comunque sia. adesso i soldati stanno più attenti a sparare verso il cielo, ma bande di Gavroche persiani li beffano accendendo, qua e là, d'improvviso, roghi di pneumatici che distraggono la truppa mentre scattano cortei volanti. Il premier Reza Azhari afferma: -Io non desidero questa situazione. Essa non può durare. Essa non durerà». Cosa significa questa frase? Si vuol riportare nel Paese la pace nella libertà oppure l'ordine repressivo? I prossimi giorni (il 12 dicembre, la festa della Asciura. chiuderà il lutto per Hossein) dovrebbero essere cruciali. Un segnale, intanto: ieri è stato liberato Sandjabi, leader dell'opposizione, arrestato l'il novembre al suo ritorno da Parigi. E centoventi prigionieri politici sono stati messi in libertà. L'opposizione non ha di fronte a sé solo lo Scià, la sua dinastia, ma anche l'esercito, e appare incapace di Inserirsi nell'intercapedine che sta fra l'autorità dell'imperatore e la forza dei generali. Nessun partito ha una base vera e propria, l'unico ad avere una «consistenza di massa» è uno stato d'animo legato alle istanze di libertà, di giustizia e alle tradizioni islamiche. Sicché, di fatto, quella che si combatte oggi in Iran è una guerra di posizione tra il potere reale e il Paese reale. L'esercito non può, o non vuole, violare certi santuari: il Bazar, il «giardino di Zora». lo sterminato cimitero di Teheran. Migliaia di persone manifestano ogni mattina al Bazar. Nel cimitero ho assistito ad una scena allucinante. Sotto la tettoia della morgue un migliaio di giovani gridano: «Merg bar Scià», a morte lo Scià; gridano: «Viva Khomeini»; gridano: «Hossein, i nuovi martiri saranno vendicati». Dappertutto, ritratti del vecchio ayatollah, bandiere nere (il lutto), bandiere bianche (la guerra santa), rosse (martirio). E drappi sporchi di sangue. Con furia a stento trattenuta, due giovani mi afferrano per le spalle. Vengo trascinato giù, nel locale delle celle frigorifere, fendendo una folla che urla e piange. Aprono due «cassetti»: in uno c'è il cadavere color cera d'un giovane di venticinque anni, nell'altro quello di un ragazzo di tredici. Hanno 11 petto crivellato di colpi, ma le macchie di sangue sembrano fiori rosa. Mi spiegano che i due non sono stati ancora identificati, che le autorità vorrebbero procedere all'inumazione, ma che «il popolo» si oppone e monta la guardia. « Ce ne andremo solo quando i nostri compagni saranno stati riconosciuti». Piove, non si vede un soldato, soltanto un elicottero ronza ossessivamente sopra l'obitorio. Sempre cosi, da due giorni ormai. Igor Man Teheran. Manifestanti gettano in un falò il ritratto di Reza Palliavi e Farah Diba

Persone citate: Farah Diba, Khomeini, Reza Palliavi