La madre d'un ragazzo parricida di Liliana Madeo

La madre d'un ragazzo parricida Una solitudine La madre d'un ragazzo parricida La clinica, sulla via Casi-, lina, è di quelle dove trovano ricovero i poveri della cintura suburbana, si entra a qualsiasi ora, gli ammalati si danno una mano l'un l'altro per l'evidente carenza del personale. Giovanna Caruso passa eretta, in una lunga vestaglia a fiori verdi. E' la madre del piccolo Marco, il quattordicenne che un armo fa, esasperato dalle violenze, le mortificazioni, lo sfruttamento cui il padre condannava lui, la moglie, e gli altri tre figli, impugnò una pistola calibro 38 e lo uccise. La sua sorte sarà decisa domani dal tribunale per i minorenni. Il pubblico ministero ha chiesto una condanna a oltre dieci anni di reclusione. Da 12 mesi è nel carcere di Casal del Marmo: da tempo lo perseguitano incubi notturni, oscure angosce, la figura del padre che torna in terra per reclamare vendetta. «L'ho visto domenica. Piangeva. Ha sempre detto che è giusto pagare per quanto ha fatto. Ma questa prospettiva di diventare grande in carcere lo spaventa. Gli sembra che lo attenda un'eternità di solitudine. E pensa a noi che siaìno soli» racconta la madre. E' una bella donna, fiera. Ha capelli biondi, viso cereo per le privazioni, l'anemia, i dolori al fegato per cui è stata ricoverata, la fatica di tirare avanti una famiglia ancora numerosa. Non sembra nutrire una grande speranza che Marco torni presto libero. Dice: «Non è vero che la leggeè uguale per tutti Quel cartello, infatti, lo lianno tirato via dalle aule giudiziarie». ; Le diciamo che la storia di Marco ha impressionato l'opinione pubblica, che s'è acceso un dibattito sulla maturità o meno di quattordicenne che uccide il padre-padrone, che uomini di cultura firmano un appello perché una condanna tanto dura non sia inflitta a un bambino finendo per trasformarlo in un «diverso» per sempre. Giovanna Caruso ascolta attenta, ma il discorso le sembra lontano, astratto: «lo ho paura, paura ■fisica, anche di essere fatta fuori». La sua storia non può scrollarsela di dosso. A 13 anni è stata violentata da Angelo Caruso, che ne aveva appena alcuni piU di lei e voleva vendicarsi del vicino di casa"*— il padre di Giovanna — che durante una gita in campagna aveva visto fare all'amore con 'la madre, dietro un covone di fieno. Subito è rimasta incinta di Marco e s'è sposata, andando ad abitare in una baracca di lamiera e cartone. «Subito Angelo ha incominciato a picchiarmi Ma io lo capivo. Èra un poveraccio, un infelice, un debole anclie lui. La sua gelosia non aveva tregua, e le sue violenze coinvolgevano anche i bambini». Ma lei lo amava? Ha mai pensato di fuggire, di denunciarlo? «Altroché! Se avessi potuto, me ne sarei andata!». E perché non lo ha fatto? «Perché mi ero rassegnata. Anzi, mi pareva che avesse trovato un suo equilibrio. Non che fosse recuperabile, ma avevo pena di lui, e anche di me che mi ero trovata a fare quell'errore tanto giovane». Ma non erano intollerabili le sue «tenerezze» dopo tante violenze? «No. era un modo nostro di stare insieme». E tutti questi figli che le ha fatto fare, non sono stata un'altra forma di violenza? «No, i figli li ho voluti io. Perché mi sembrava così di rinsaldare il nostro legame. Quando partorivo, lui diventava come avrei voluto che fosse sempre: tenero, delicato». Il suo intero universo, quando Marco ha puntato la P38 contro il padre, è crollato. Quale le sembra il lato più drammatico dell'intera vicenda? '«Come è morto Angelo, come un cane». E Marco? «La sua disperazione io non so aiutarla. So, però, che non è solo». Lei, invece? «Nessuno è dalla mia parte. La mia famiglia provvede come può ai bisogni materiali (i bambini ora sono da mio padre), senza però una vera solidarietà per me. La famiglia di Angelo, poi, per difendere il suo buon nome minaccia di togliermi la patria potestà». Oltre all'incertezza del futuro e alla paura fisica, che cosa le pesa di più? «La solitudine totale in cui un povero, una donna, può trovarsi La mancanza di lavoro. La negazione di un diritto chemi sembra di potere avanzare oggi, dopo tanto dolore: a rifarmi una vita». Liliana Madeo

Persone citate: Angelo Caruso, Giovanna Caruso