Il mandolino non suona più

Il mandolino non suona più A NAPOLI GUERRA E IMBROGLIO DEI POVERI Il mandolino non suona più NAPO. i — La Napoli di questi giorni offre molte immagini di sé. Prendiamone una. la meno allegra. E vediamola come un vecchio studio fotografico, in cui la città stia in posa per una serie di cartoline raffiguranti i suoi innumerevoli miti. Ma. nello studio, tutto è coperto di polvere, rottami, fuliggine. A ogni istante, la realtà minaccia d'incenerirsi. O di crcpare sotto l'urgere di «sogni» impossibili. 1 disoccupati chiedono lavoro, che non c'è e che nessuno può dare. Essi si scatenano persino gli uni contro gli altri, accendendo quella che è stata chiamata la guerra dei poveri. Ma è un imbroglio, non una guerra. L'antica guerra dell'imbroglio napoletano. La maledizione che intuì Boccaccio, quando scrisse la novella di Andreuccio, che da Perugia viene a Napoli e qui e truffato, derubato, incloacato. Dicono, anche, che Napoli è una polveriera. Ma questa polveriera è coperta di muffa, e la muffa le impedisce di esplodere. Dicono, ancora, che Napoli è una meganecropoli. Ma questa mcganccropoli in realtà non esiste. Ci sono, si, i morti, ma anche i vivi. I morti civili, alias i disoccupati. Ma essendoci anche i vivi, non si può parlare di meganecropoli. Parliamo piuttosto di un castello. E chiamiamolo il Castello delle Possibilità: delle mille possibilità che, ogni giorno, a Napoli sorgono e crollano. Una grande possibilità, per esempio, furono i disoccupati organizzati: non soltanto per l'avvenire ma anche nel presente: nel presente inteso come storia. La loro ideologia: niente più chilo di pasta, niente più assistenzialismo, niente più elemosina, niente più Dame di San Vincenzo, niente più arte dell'arrangiarsi (ritenuta, dai più spregevoli, fantasia, intelligenza, estro al limile del divino): niente più economia del vicolo e. al posto di tutto questo, la fatica, il lavoro. Realizzando questa possibilità poteva saltare all'aria, tutta quanta, quella famosa economia vicaiola: che. ovviamente, era ed è anche una morale, anche un modo di respirare la vita. Era. ed è. insomma, la cosiddetta nnapoletanità»: quella strana cosa dei panni all'aria e delle schitarrale, del lavoro nero e dell'ossequio permanente a insulsi padroni. Le premesse perché tutta questa napolella saltasse all'aria, c'erano felicemente state. Non a caso erano venuti i voti del 15 e del 20 di giugno, che avevano interrotto il continuimi del vecchio «blocco urbano», pietrosa cittadella del potere e della superstizione. Si era allora pensato, e speralo, che ormai poteva cominciare un ruolo produttivo per Napoli, con il quale si sarebbe accelerato il processo di unificazione politica ed economica del Paese. Non a caso, fra l'al¬ tro, si era anche parlalo di una maturazione democratica della epiche» napoletana. Poi. ancora una volta, una brusca interruzione di quel eimiiiuiimi. A poco a poco, il «miracolo» dell'organizzazione dei disoccupali si è venuto spegnendo. Risorge l'imbroglio: si rifà viva la sua guerra o guerriglia: nelle file dei disoccupati organizzati, s'inseriscono personaggi che disoccupali non sono, s'infiltrano le quinte colonne del (blocco urbano», che non vuole morire. Cominciano allora momenti di spaventoso riflusso, la crisi economica raggiunge livelli mai visti, ferite a morte ne sono le medie e le piccole aziende, nello stesso momento in cui la situazione precipita nei settori tessile, chimico, alimentare, edilizio e. soprattutto, in quello dell'occupazione. La erisi si estende a tutto il Paese, colpisce quella famosa economia assistila che ha sempre mascherato, con leggendaria ipocrisia, la tragedia economica e sociale di Napoli e del Mezzogiorno. Di qui. la rabbia. La vecchia, legittima rabbia napoletana di chi vuol uscire dalla fame, dalla sua antica alienazione storica, umana, sociale. E che non ha mai niente ottenuto. A questa rabbia hanno dato da mordere, si. la spugna dello sviluppo industriale, ma questo è diventato ben presto giungla industriale, nonché sovrapposizione di altri modelli su una diversa realtà imbientale. Ecco allora che Napoli viene di nuovo battuta in prima pagina: Napoli come degradazione. Napoli come Calcutta. Napoli come contrabbando e come sangue. Napoli come la fine del mondo. Ma questa è un'apocalisse da rotocalco, non sempre credibile. Anche perché l'antica rabbia e l'antico dolore sono diventati una rabbia e un dolore più consapevoli, tanto vero che se ne vanno sempre più al diavolo gli orrendi miti della pazienza, del fatalismo, della rassegnazione, del pessimismo, quali ce li insegnarono sempre i nostri spregiudicati profeti, i nostri sublimi smandolinatori. le nostre grandi carogne di ieri e di oggi. Va bene: pure, e anche giusto chiedersi quali margini restano ancora per alimentare le speranze di rinnovamento: è anche legittimo chiedersi con estrema consapevolezza se non sono drammatici certi sintomi di smagliatura del tessuto connettivo democratico della città: e forse è anche sacrosanto chiedersi con angoscia infinita se non sia. quella di questi anni, la genera/ione di coloro che. ancora una volta. si Mino miseramente rassegnati al vecchio destino. Luigi Compagnone

Persone citate: Luigi Compagnone