Cieco terrore dell' atomo di Luigi Firpo

Cieco terrore dell' atomo r Cattivi Pensieri di Luigi Firpo Cieco terrore dell' atomo Varrebbe la pena di comprare l'ultimo numero di «Tuttolibri» anche solo per leggere la recensione che Roberto Vacca dedica al libro, fresco di stampa, di Robert Jungk su Lo Stato atomico. E' dal lontano 1946. che Jungk denuncia il «pericolo atomico- incombente sull'umanità, gli arsenali nucleari, le perdite inquinanti di scorie radioattive, i rischi della disponìblità delle armi più tremende da parte di Paesi sempre più minuscoli e irresponsabili, addirittura di gruppi terroristici. Ma c'è persino di peggio: cosa avrebbe fatto giorni fa Jim Jones, l'istigatore del suicidio collettivo della Guyana, se avesse avuto a disposizione qualche bomba al plutonio? Forse avrebbe decretato, da solo, il suicidio dell'intero genere umano? Tutto questo dev'essere presente di continuo alla coscienza di tutti noi. ma ha ragione Vacca quando distingue le bombe catastrofiche dalla produzione di energia nucleare, e chiede che si rimanga oggettivi e lucidi, malgrado le tensioni emotive che l'argomento non manca di suscitare. Destare il panico nelle folle e invocare pronunciamenti popolari contro le centrali che sfruttano l'immensa energia potenziale dell'atomo, mal si accorda con le prediche al vento e con l'indifferenza impotente con cui si accettano di fatto gli arsenali dell'apocalisse, gli immensi stock di ogive nucleari, che le superpotenze (e forse anche, in segreto, talune potenze minori) continuano ad. accumulare. Ma soprattutto Vacca, con informazione puntuale, rettifica dati e percentuali, mette in luce come Jungk. trascinato dalla sua appassionata requisitoria, adulteri le cifre, per aumentare lo sgomento, amplificando i rischi, che. rispetto a quelli degli armamenti, sono — a quanto sembra — irrisori. Ad esempio, l'incidente possibile della fusione del nucleo del reattore ( costo umano dell'ordine della vita di cento persone) si verificherebbe, in termini di probabilità, non già ogni ventimila anni (come afferma Jungk) bensì ogni milione d'anni per ciascun reattore. Non sta a me entrare in questi particolari, che sono competenza dei fisici e degli ingegneri nucleari, ma bisogna cercare di condurre il discorso su basi di concretezza e di emotività contenuta, se non del tutto repressa. Fra una decina d'anni o poco più il mondo intero attraverserà una crisi energetica acuta, forse drammatica. I Paesi produttori di petrolio, consapevoli di possedere scorte di greggio tutt'altro che illimitate e in rapido esaurimento, tenderanno a contenere sempre più i prelievi e ad aumentare vertiginosamente i prezzi. Fino a quando non sarà scientificamente possibile e tecnicamente sicura la fusione dell'atomo — un esito liberatorio, cui nessuno saprebbe oggi fissare scadenze — ci sarà fame di energia, cioè tensione economica e dissesto sociale. Chi non vuole l'energia nucleare, deve dire quale altra energia vuole, oppure come pensa di farne a meno. E deve far discorsi precisi, con cifre alla mano. Tanti kilowatt dai soffioni boraciferi, tanti dai dislivelli delle maree, tanti dai pannelli solari, e cosi via: energia «pulita', energia inesauribile, proprio quello che tutti sognano. Ma se queste risorse sono in realtà incostanti, esili, costosissime e sostanzialmente irrisorie rispetto al fabbisogno? Chi non vuole l'energia nucleare deve dirci quanto, in percentuale del consumo nazionale, possiamo ottenere dalle radia¬ zioni solari e a che prezzo. Un conto è scaldare l'acqua del bagno ad Agrigento o a Sanremo e un altro conto è muovere, illuminare, alimentare un Paese industrializzato, dal clima incostante e spesso nebbioso. Per giunta, anche se fosse possibile (e non lo è!produrre per altra via tutta l'energia necessaria, il suo costo sarebbe molto oneroso: crediamo veramente di poter chiedere alle famiglie rincari esosi sulle bollette della luce e del gas. sul prezzo dei trasporti, sui prodotti di ogni genere, senza provocare esasperazione e proteste9 Né si venga a parlare di «salto di qualità- nel modello di vita, di «austerità-, di ritorno alla semplicità della natura. Tempo fa. con la sua emotività apocalittica e le sue finezze di stile, Ceronetti ha fatto un simile discorso: ma Ceronetti ha paura a premere un interruttore della luce, vivrebbe nei boschi, di miele selvatico e di uova di gallo cedrone: un ideale di vita arcadico, meraviglioso, che esigerebbe la disponibilità di molti ettari di foresta per ogni abitante, mentre fra poco non avremo neppure più una zolla su cui sederci a turno. L'austerità ha un senio, e va predicata e praticata, nella misura in cui è rifiuto dello spreco incosciente, del consumismo inutile, dell'incuria irresponsabile. Ma un ritorno al disagio, alle privazioni, all'inedia, una rinuncia a quei conforti elementari che molti si sono conquistati da poco e con tanti sacrifici, questo nessuno si sogna di chiederlo; e se la necessità delle cose o l'imprevidenza politica dovessero sciaguratamente imporlo, sappiamo tutti che non si verificherà senza drammi e senza sangue. Il discorso sulle centrali nucleari è prima di tutto un discorso tecnico, un calcolo di costi e di rischi, di alternative concrete, un problema energetico e basta. Lo sdegno, la paura, l'orrore del poliziesco tenebroso, si svolgono verso quegli altri impianti atomici, un miliardo di volte più pericolosi che punteggiano ormai il mondo intero come pustole mortali. ^

Persone citate: Ceronetti, Jim Jones, Jungk, Robert Jungk, Roberto Vacca, Vacca

Luoghi citati: Agrigento, Sanremo