Il disastro chimico finirà in Parlamento

Il disastro chimico finirà in Parlamento Il disastro chimico finirà in Parlamento Un convegno a Torino sui mali del settore TORINO — La Sir e la Liquigas sono praticamente in mano alle banche; l'Anic è diventata la spina nel fianco dell'Eni, mentre la Montedison, collocata nell'area privata, vive rii sovvenzioni pubbliche e dei miliardi che Enrico Cuccia, l'è ninenza grigia della finanza italiana, riesce a rastrellare sui mercati. Visto sotto un'ottica puramente finanziaria il «salvataggio» dell'industria chimica italiana è molto simile alla quadratura di un cerchio, cioè un'impresa impossibile o quasi. Tanto che ieri la Fulc, il sindacato dei lavoratori chimici, è uscita allo scoperto per chiedere un «dibattito parlamentare» su questo settore che non solo stritola miliardi (i soli quattro gruppi perdono mediamente mille miliardi l'anno) ma rischia di essere travolto dai debiti (5-6 mila miliardi, ma c'è anche chi giura che superano i 10 mila) e da un crack occupazionale senza precedenti (secondo calcoli, neppure troppo pessimistici, nel settore «avanzano» dai 9 agli 11 mila posti di lavoro). Che fare di fronte a questa situazione? Basta impegnare al massimo le banche o. addirittura, il Parlamento? E' quanto si sono chiesti ieri a Torino gli stati generali del settore riunitisi alla Camera di Commercio per giudicare la grande malata. L'occasione era un seminario organizzato dall'Unione industriale, dal «Sole-24 Ore» e dal Centro europeo di studi e informazioni. Il quadro che ne è emerso è piuttosto fosco: la chimica è in crisi in tutta Europa, ma da noi è in crisi più che negli altri Paesi. Di qui l'esigenza di interventi radicali, che affrontino il male alle radici. Danilo Beretta, segretario generale della Fulc, è stato esplicito: dalla crisi si esce attraverso una strada sola, riqualificando l'apparato produttivo. Ma ciò non può essere pagato dai lavoratori del settore. Di qui due proposte: 1) si deve pensare a una riduzione generalizzata degli orari di lavoro in Europa; 2) poiché l'industria chimica è legata direttamente ad altri processi produttivi, non basta limitarsi a una programmazione settoriale ma bisogna ragionare in termini più ampi, di politica industriale. E' un discorso quest'ultimo condiviso da Claudio Barro, uno dei «cervelli» della pianificazione Montedison. Se si vuole evitare di cadere nel baratro — ha detto Barro — bisogna si affrontare tutti i problemi della chimi¬ c\ ca e in chiave europea (dal «contenimento delle nuove capacità» al congelamento di alcuni impianti esistenti, come prevedono già sia il piano-Davignon. sia quello Donat-Cattin per le fibre), ma non bisogna dimenticare che le economie europee non marciano tutte alla stessa velocità; e che ogni paese, inoltre, ha problemi diversi, tanto (è il caso inglese) da rendere difficile il rispetto dei cartelli comunitari oppure (è il caso italiano) da far ritenere inaccettabile una brusca emorragia di posti di lavoro. E questi sono soltanto alcuni termini del problema. Infatti, proprio ieri, mentre a Torino si discuteva e la Fulc chiedeva un dibattito parlamentare, la giunta dell'Aschimici ha diffuso una nota allarmante. Riguarda prossimi contratti che. secondo l'Aschimici. sono una mina vagante nel Paese, tali da «intro durre nuovi pesanti vincoli e oneri sulle imprese, con inevitabili conseguenze sul livello di concorrenzialità, sugli investi menti e sull'occupazione». Un giudizio definito «inaccettabile» dalla Fulc in quanto va surrogato con «dati e cifre precise». c. roc.

Persone citate: Anic, Barro, Danilo Beretta, Donat-cattin, Enrico Cuccia

Luoghi citati: Europa, Torino