Rischia la vita l'uomo che in aula lanciò l'accusa ai "boss" mafiosi?
Rischia la vita l'uomo che in aula lanciò l'accusa ai "boss" mafiosi? Domani i giudici calabresi interrogano l'on. Donat-Cattin Rischia la vita l'uomo che in aula lanciò l'accusa ai "boss" mafiosi? DAL NOSTRO CORRISPONDENTE REGGIO CALABRIA — Al processo contro la vecchia e nuova mafia calabrese, che si celebra da oltre un mese al tribunale di Reggio con sessanta boss sul banco degli imputati, un testimone ha fatto notevoli rivelazioni. E' l'ex contadino Francesco Mancuso, di 49 anni, uno dei proprietari della cava di Limbadi, ceduta in affitto, per 550 milioni, al Consorzio Cogitau. vincitore della gara d'appalto per le infrastrutture da realizzare a Gioia Tauro, nella zona dove doveva sorgere il quinto centro siderurgico. Mancuso era un «uomo di paglia» della mafia, aveva cioè acquistato la cava per 300 milioni, in nome proprio ma per conto di altri. Egli, ieri, è crollato sotto l'incalzare delle iiHiiiiiiiiiiiiiiimiiiiiiiiiiiiiiimmilimiiiiiiiii 'domande del presidente Tuccio, e ha finito con l'ammettere la fondatezza di alcuni fatti. Quando è stato chiesto al Mancuso da chi aveva ricevuto i 300 milioni ha cercato di trincerarsi dietro i «non ricordo» («Ma i milioni non sono noccioline», gli ha fatto rilevare il presidente) ed ha poi detto di essere stato aiutato da «amici». Quali amici?, ha incalzato il dottorTuccio. «Ho avuto i soldi — ha risposto Mancuso — da Vincenzo Mammoliti, Gioachino Piromalli, dai fratelli Rugolo, da Giuseppe Pesce e dai fratelli Mazzaferro». Mammoliti ha negato ed ha voluto il confronto. Il tribunale ha accolto la richiesta ma i due sono rimasti sulle proprie posizioni. E quando Mammoliti ha insistito nell'affermare che non aveva versato denaro al testimone, Mancuso rivolto ai giudici, ha esclamato con tono ironico: «Se lo dice lui, allora è così». Alla fine, quando si è reso conto di aver contribuito a dare al processo una svolta forse determinante, Mancuso è scoppiato in singhiozzi: «Ho sbagliato tutto nella mia vita — ha affermato —, dovevo continuare a fare il contadino, non dovevo mettermi in testa di fare l'imprenditore. Io che sono analfabeta, so appena mettere la firma. Oggi mi sono ridotto così: lavoro dalla mattina alla sera per pagare i dettiti che ho accumulato». In mezzo al pubblico parecchi, finita l'udienza, non hanno mancato di fare «pronostici» sulla sorte che sarà riservata a questo testimone. Domani, giovedì, il tribunale si recherà a Roma per interrogare l'on. Francesco Principe, presidente della commissione parlamentare per i problemi del Mezzogiorno, e il vice segretario della de, Donat-Cattin. Nel 1975, egli rilasciò un'intervista, sostenendo che alcuni mesi prima aveva consegnato un dossier ad un settimanale sugli «oblisi e gli intrallazsi» avvenuti a Gioia Tauro (si riferiva ai lavori per le infrastrutture del quinto centro siderurgico). « e. 1.
Luoghi citati: Gioia Tauro, Limbadi, Reggio, Reggio Calabria, Roma
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