Ci sentiamo condannati dai convitati di pietra di Paolo Fossati

Ci sentiamo condannati dai convitati di pietra Ci sentiamo condannati dai convitati di pietra Tra gli artisti già canonizzati, i mostri sacri, musei ambulanti di se stessi, a De Chirico è toccata una sorte singolare, pressoché unica dopo la scomparsa di Picasso, da de Chirico non amato, anzi tacciato di tutto il male e di tutta l'improntitudine contemporanea. La sorte singolare è quella di restare sulla breccia fino all'ultimo, indice un po' mitico, ancora con Picasso, di vitalità, biologica prima di tutto, che sfida la brevità delle stagioni dell'avanguardia, del consumo, del mercato, tutte leggi della vita artistica almeno da inizio secolo. De Chirico è stato protagonista fino a ieri della scena culturale. Non solo con gli ultimi quadri, gustosi e con qualche bagliore di intensità proveniente da radici remote, ma essenzialmente come personaggio che commenta con sarcasmo, e tenta il contropelo, da lontano, con una incalzante ossessività da bastian contrario. Erano interviste, dichiarazioni, spezzoni di frasi e notizie, denunzie di falso per proprii quadri o sculture, tutto materiale magari risaputo ma di una tale sorniona improntitudine e certezza di enunciato da far saltare i limiti della verosimiglianza e dello stesso paradosso. De Chirico riusciva a spaesare da abitudini e accertamenti, a mettere a disagio e a portare fuori centro con una puntualità irritante anche per la esattezza con cui il congegno funzionava. Ha funzionato fino alla fine anche In un altro modo. De Chirico ha come sospeso, e poi invertito, la nozione di tempo; profeta di una avanguardia lontana come la pittura «metafisica» degli anni della prima guerra mondiale, secondo alcuni addirittura precursore della pagina più classica dei manuali sul nostro secolo, il surrealismo (e non è vero), proprio lui ha dimostrato come la sua antica ricetta potesse essere di stretto utilizzo oggi senza far ricorso ai revivals, ai recuperi, alle operazioni archeologiche. E la cosa è ancor più paradossale se si pensa che la «metafisica», cioè la rappresentazione dei fantasmi e delle solitudini di una realtà tanto più vera in quanto al di là della banalità della realtà d'ogni giorno, è ricca di recuperi e di nostalgie del passalo, più o meno archeologico. Se il surrealismo è d'attualità solo quando è preceduto da un vistoso «neo», con una patente di riciclaggio, la ricetta del presunto o reale padre del surrealismo è invece di penetrante, sfrontata forza d'urto. Le regole e i cicli temporali che presiedono a qualunque manuale d'arte odierna, a quel punto si smarriscono: le regole saltano e non solo nelle testimonianze figurative, quadri sculture disegni, ma nel personaggio, nella figura fisica, nell'eroe di quelle figurazioni. Che non sono i manichini, le piazze, le torri, le Andromeda, jgladiatori^i cavalli, ma è lui, de Chirico, kartista'' mago, loquace soggetto di conversazione, enigmatico pezzo da museo. Fra i tanti paradossi che attraversano de Chirico c'è una sterminata (e quasi tutta noiosissima e discutibile) bibliografia ma nessun lavoro sistematico, che entri nel gioco e lo segua con una adeguata forza di lettura, di riflessione e di contestualità, tolto forse il vecchio testo america.nò di Soby. Né un catalogo' dell'opera pittorica in più quaderni in corso di stampa serve al lettore non specializzato. Eppure si può tentare di caratterizzare l'insieme del lavoro del «pictor optimus», come amava definirsi, con un concetto, caro alla gioventù di de Chirico, a certi suoi intri-' chi di letture derivate da Nietzsche, e cioè l'inattualità. De Chirico ha comunicato 11 senso di appartenere a una dimensione che non si concede al presente e non è più del passato, che fa capo all'ironia e fa i conti con la banalità, che sta fra le cose supreme e la più piatta esposizione quotidiana proprio come fino all'ultimo era delle conversazioni di deChirico personaggio. (E chi ne voglia un'ordinata campionatura, da usarsi con molto sale, legga, di Luisa Spagnoli, Lunga vita di G. de Chirico, edito, da Longanesi). Inattualità che vuol poi dire qualcosa di molto teso e perfino drammatico perché è una miscela di frammenti di mondi diversi, che non trovano continuità né unità e si feriscono fra loro in esplosioni continue. De Chirico non crede più nella grande illusione dell'arte come un mondo compatto, vero, assoluto, romanticamente risolto se non come macerie alle spalle e come nostalgia: ha tra le mani di tutto: tradizioni; esercizi, cubisti e futuristi, d'avanguardia; filosofie; miti; guerre; e cerca di trasfondere i frammenti in una dimensione mitica sottratta non tanto alla banalità cmCtpimdmatvcvcbsftd dell'oggi, ma al rischio che si potesse perdere quel riverbero di nobiltà e di assolutezza che è l'arte. Ma oramai siamo agli Anni Venti, al cosiddetto' «ritorno all'ordine», che è fenomeno italiano ed europeo insieme, e il mondo di de Chi-1 rico appare un altro, senza più il rigore e la desolazione precedente allestisce scene mitologiche o nature morte alla maniera di. un Courbet o di un Cinquecento affettuosamen-, te visitati senza ironia. L'ideale è il museo, un ideale parziale e un modo di salvare il salvabile in attesa di tempi migliori: mi musei sono luoghi dove le opere del passato dormono trasformate in mito... in attesa del giorno in cui gli artisti le richiameranno a una vita reale-, poteva ripetere con Malraux, e come lui viveva l'ossessione di un tempo in cui l'artista, sacerdote, avrebbe dato qualcosa come una seconda vita ai suoi simili, forse ormai tutti divenuti artisti. Contano perciò i miscugli straordinari delle ricette di de Chirico: lo aveva già capito Longhi in uno scritto giovanile in cui ne descrive cosi la pittura metafisica fra malinconia, mestiere, scaltrezza e finzione: ■Evocava la pittura antica in una mera scenografia nostalgica, e si muoveva dentro i mostri preterintenzionali del cubismo, trasformandoli realisticamente e non senza ironia nei manichini degli studi: il Quattrocento diveniva il palcoscenico... per i convitati di pietra». Se si fa attenzione a questo finale si avrà una felice definizione dell'arte di de Chirico: i suoi lavori ci guardano da una_ lontananza interrogativa e di' giudizio silenzioso come il convitato di pietra guarda (e condanna, infine) Don Giovanni. Son miscugli le stesse vicende biografiche di de Chirico: che nasce a Volo, in Tessaglia, nel 1888 da padre ingegnere che va dotando di ferrovie quella terra da mito. Le .vicende della vita di de Chirico non sono poi molte. Si è detto della nascita. La famiglia, in cui è personaggio assoluto la madre, favorirà l'inclinazione pittorica di Giorgio e quella musicale di Alberto, che avrà come nome d'arte Savinio: e perciò iniziano i traslochi a Monaco, in uno dei momenti più densi di vita culturale, poi a Roma, quindi a Parigi a contatto con Apollinaire, con il gruppo che sarà poco dopo surrealista, ormai riconosciuto e odlato-amato. A Roma e a Parigi pubblica alcuni scritti, di polemica artistica sulla rivista Valori Plastici, su La Ronda, su il Primato, di poesia e più avanti un romanzo stralunato ed eccezionale Ebdomeros, che meriterebbe d'essere più letto e conosciuto. E' curiosa la vicenda di questa famiglia che ha deciso, quasi, nella persona della madre, il destino certo dei figli e, '• con fiuto, fa loro percorrere le stazioni più esatte della car-. riera indispensabile a geni controcorrente e di stretta attualità, e Monaco e Parigi^ con i due luoghi mitici, l'antico della Grecia, il rinascimentale di Roma, sono luoghi deputati, necessari, o, come scriverebbe lo stesso de Chirico, fatali. Poi la fama, il rispetto, le centinaia di quadri, la grafica non vastissima, le scenografie, le polemiche, i falsi, la mondanità oracolare. Le vicende sono dunque "poche,, ma scelte accortamente, si direbbe. Un miscuglio di inattualità, di ritrosia e di mondanità. E non sono misture, incredibili se dissociate, le stesse piazze d'Italia cioè alcuni dei suoi quadri più famosi? Quei montaggi rinascimentali con languori delle dannunziane città del silenzio, portici ottocenteschi, rettangoli vuoti fra le case da precorrere la Brescia di Piacen-' tini, ciminiere e sbuffi di ferrovie, luoghi nobili, periferie, ritagli rigidi di cartolina, e ricordi patetici ammucchiati. Ma è miscuglio proprio il modo di dipingere di de Chirico,' ticLO e sciatto, classicheggiante e approssimativo. Apollinaire nel 1913 lo definiva 'Pittore inabile e dotatissì- ' mo*. Giudizio che vale almeno per aver capito che in de-Chirico coabitano, inattuali e inattuabili per chiunque, due dimensioni e due modi d'essere cosi opposti fra loro. Cioè proprio la situazione interrogativa di ogni convitato di pietra. Paolo Fossati

Luoghi citati: Grecia, Italia, Monaco, Parigi, Roma