Dieci miliardi ogni domenica al Totocalcio di Giovanni Arpino

Dieci miliardi ogni domenica al Totocalcio L'industria degli aspiranti Bonaventura non va mai in crisi Dieci miliardi ogni domenica al Totocalcio Ottanta miliardi in otto domeniche: questo il giro d'affari del Totocalcio, «un'industria che non è mai in crisi», com'è staro detto. Gli italiani giocano, su Bettega e su Oraziani, studiano a tavolino il possìbile gol di Altobelli e di Savoldi. manovrano scienza pallonaro e colpi di fantasia nei bar, negli uffici, nelle cucine casalinghe, di fronte alla fatale schedina. Padano tra di loro nonne e nipoti, capireparto e manovali, dirigenti e fattorini. La scheda multipla è ormai un rito, un momento di sosta paragonabile a quello del caffè. Fuori la marita e consultiamoci. Ottanta miliardi significano pochissimi milionari veri. I «sistemi» ìianno prevaricato, anche se una schedina casuale e vincente potrà arricchire, prima o poi. il solito anonimo. Ottanta miliardi vedono la quota destinata ai vincitori come una bella fetta di torta, ma altrettanto ricca è quella dello Stato e del Coni (ventisei per cento rispettivamente, al montepremi va il trentotto, alla gestione del «Tota» il nove! Quanto tempo è passato da quel lontano 5 maggio '46, quando partì il primo «concorso» e la tribù dei giocatori fu contata in soli 33.000 esemplari. Da allora, Sisal e il figliai suo Totocalcio hanno portato ricchezza e drammi a oltre 73.000 italiani: chi naufragò con i soldi, chi abbandonò la famiglia, chi perse la testa in avventure cinematografiche. Finché subentrò la pudicizia, il terrore del fisco, un codice d'onore familiare: tutti anonimi, per evitar rischi: eventuali coltellate tra le mura di casa, ma mai più fotografie con mucchi di bigliettoni da diecimila come nei oiornali d'epoca. E'persino ovvio ripetere che si gioca perché la fiducia nel | denaro sembra scarsa: ma il «Tota», da noi. non ha fatto che progredire, sia negli anni del «boom» „ta in quelli di cri- si. sia quando ia lira otteneva il premio della miglior moneta stabile (che tempi!) sia quando scadeva a gettone, caramella e miniassegno. L'italiano gioca e lo sa. lo vuole, dopotutto siamo la patria delle lotterie. Ma quei cumuli di miliardi domenicali, ottanta in otto settimane, dimostrano forse anche altro: che l'amore del rischio non è mai morto, quando è necessario far quadrare il bilancio di casa: che tutti si sentono depositari del segreto calcistico: che il football e la sicumera di poterlo padroneggiare costituiscono uno dei rari, autentici nodi dell'anima nazionale: che la fiducia in un qualche «stellone» è spinta straordinaria, privatissima, una molla che va al di là di ogni ideale. Siamo ancora tutti Bonaventura, che con un milione arrii'atogli nell ultima vignet- I ta della sua storia fumettata ! risolve i guai, balla in piazza. offre l'aperitivo e prenota un viaggio. Toccherebbe ai sociologi indagare sul valore di questo sogno collettivo e sulle necessità che lo nutrono, ma forse anche i sociologi girano con la loro schedina belle fatta in tasca e attendono, alla domenica, il riassunto di «tutto il calcio minuto per minuto», miliardo per miliardo. Le cronache ci dicono che il primo milionario, battezzato I I I ! 1 \ : . j I dalla Sisal, fu un becchino, al i secolo Giorgio Amelotti. Da allora i nomi sono via via stati aboliti, in un eccesso di autodifesa da parte degli scommettitori: e nessuno ha più I voglia di indagare sul «tredi cista» vincente. E' il «tredicista» e nulla più, come si è idraulici o notai, anche se con un alone fatato intorno alle tempie. La figura del «tredicista» potrebbe ispirare qualche commediola, qualche siparietto: ma non accade. Mai recar I sfregio al fortunato, o rischi di I non aver la sorte dalla tua per I tutta la vita: anche questo è ! un comportamento all'italiana assai tipico. Avviamoci pure verso un ulteriore «tetto» di miliardi do1 menicali. Continuiamo pure a sognare, attraverso l'opaca \ cartaccia della schedina quel: ta più ambita e in filigrana: è . costume ed è condanna, è inj dice di povertà ma anche seI pno di pervicacia caratteriale. Non per nulla, tra le cose serie i che esportiamo, vi sono alcu- ne partite di calcio, inserite nelle schedine estere. Non per nulla siamo un popolo che si gioca le lenzuola sui «numeri» di un pontefice o di un incidente ferroviario: Z'«itala gente dalle molte vite» sa sempre estrarre una cifra esatta e tentante. Chissà che quegli ottanta miliardi in otto domeniche non forniscano somme e scomposizioni adatte ai maniaci del Lotto. Giovanni Arpino

Persone citate: Altobelli, Bettega, Giorgio Amelotti, Savoldi, Tota