Qualcuno lavora troppo di Luigi Firpo

Qualcuno lavora troppo Cattivi Pensieri di Luigi Firpo Qualcuno lavora troppo Chi dice due, chi dice quattro, chi dice sette. Non sono noccioline, ma milioni di italiani che praticano abitualmente un secondo lavoro. Se l'ultima cifra, come sembra, è la più vicina al vero, vuol dire che un italiano su tre affianca alla propria attività ufficiale una seconda prestazione semiclandestina, spesso più intensa e impegnata della prima, talvolta addirittura più redditizia. Non si tratta propriamente di «lavoro nero», cioè di quel lavoro a domicilio, talvolta saltuario, che sfrutta soprattutto donne, ragazzi e disoccupati, con retribuzioni infime e violazioni degli obblighi di versamento dei contributi previdenziali. Contro questa piaga, che pullula grazie ad una rete sottile di connivenze, interessi e ricatti, si battono da tempo e con alterna fortuna la magistratura, gli Uffici del Lavoro e i sindacati: va detto però che in questi casi si è in presenza per lo più di residui pre-industriali, all'interno di economie povere, con margini vicini ai limiti della mera sopravvivenza. Ben altro fenomeno è quello del secondo lavoro, che interessa invece persone regolarmente occupate, debitamente protette dall'«ombrello» previdenziale, le quali svolgono queste duplici mansioni utilizzando le possibilità offerte dall'orario unico, dall'autonomia del mezzo di trasporto privato, da capacità professionali alternative e — fattore non ultimo — da notevoli riserve di energia psico-fisica. Il lavoro a domicilio, in sé e per sé, non ha nulla di riprovevole (si pensi al risparmio dei faticosi trasferimenti dall'abitazione al posto di lavoro, alla possibilità di non lasciare senza assistenza persone anziane, ammalate, bambini, o di distribuire nel tempo la prestazione lavorativa, a seconda delle proprie esigenze), solo che sia adeguatamente tutelato e regolato: non è la sua natura che offende i principi di una società equa, ma la sua clandestinità e lo sfruttamento esasperato che esso consente. Invece, il secondo lavoro trova nella clandestinità una condizione costitutiva e necessaria. Esso esime il datore di lavoro dal versamento degli oneri sociali e il prestatore d'opera da quello delle aliquote tributarie: scava sotto l'edificio dell'economia nazionale una fittissima rete di cunicoli oscuri, in cui si intreccia una miriade di rapporti e di scambi che sembra sfuggire ad ogni valutazione. Anche ammettendo che questa seconda attività non si svolga a tempo pieno, si calcola che essa occupi uno spazio operativo pari a due milioni di posti di lavoro (largamente superiore al numero attuale e preoccupante dei disoccupati) e che sottragga ai conteggi del reddito nazionale, nonché al fisco, qualcosa come 30.000 miliardi. Se non altro, questo ci aiuta a capire come mai il nostro tenore di vita medio non sia poi tanto lontano da quello di uno svizzero, che pur vanta un reddito prò capite triplo del nostro, oppure da quello di un francese o di un tedesco, che ne godono uno più che doppio. Ma non si deve credere che solo il desiderio di un maggiore benessere, o addirittura (nel caso delle fasce di reddito più misere) l'impossibilità di sopravvivere con stipendi di fame, spinga gli italiani alla seconda professione: il doppio lavoro è comune a operai come a impiegati, ad architetti come a netturbini, e i più dichiarano di sobbarcarselo per affiancare ad un'attività ripetitiva e poco gratificante una prestazione professionalmente più qualificata ed elettiva. Sta di fatto però che questa situazione accentua la tendenza a occupare un posto purchessia, anche sottoretribuito rispetto alle proprie capacità, solo per rientrare ad ogni costo nel sistema tranquillizzante del «garantismo., sociale. L'integrazione del reddito, l'identificazione consolante nell'opera svolta, la professionalità, si attuano invece nel secondo lavoro. Questo, a sua volta, non offre tutele e tanto meno l'inamovibilità, e dev'essere perciò difeso giorno per giorno con uno zelo e un'efficienza continuati, senza assenteismo. Le ore dedicate al primo lavoro tendono a trasformarsi, ogni volta che sia possibile, in pause d'attesa riposanti per risparmiare energie da profondere nel secondo: al danno inferto alla comunità dall'evasione contributiva e tributaria si assomma così il danno per le singole aziende, perché quelle che si accollano gli oneri interi ricevono prestazioni svogliate e parsimoniose, alle altre è riservato invece, senza gravami, il meglio della capacità e dell'impegno. Inutile aggiungere che gli addetti al terziario primeggiano fra quanti svolgono un secondo lavoro e che gli impiegati dello Stato sono la prima schiera dell'avanguardia. Ha meritato di recente gli onori della cronaca il caso di una giovane particolarmente operosa, che, avendo vinto due diversi concorsi statali, non ha saputo decidersi ed ha accettato entrambi i posti: per più d'un anno ha potuto così lavorare all'ufficio postale di Solerò (Alessandria) e all'Inps di Ivrea. Scoperta, è stata denunciata per truffa. Giolitti soleva dire che, se gli impiegati dello Stato lavorassero sul serio per tre ore al giorno, se ne potrebbe licenziare la metà. Questa, che lavorava per due, forse non merita un processo, ma unamedaglia.

Persone citate: Cattivi Pensieri, Giolitti

Luoghi citati: Alessandria, Ivrea