Cingano:"Quale impresa si può salvar"e di Francesco Cingano

Cingano:"Quale impresa si può salvar"e INCONTRO CON I PROTAGONISTI DEL MOMENTO ECONOMICO Cingano:"Quale impresa si può salvar"e «La nostra politica monetaria ci ha ridato credibilità nel mondo», dice l'amministratore delegato della Banca Commerciale - Ma è fortemente critico sulla gestione della cosa pubblica: «Le banche sono una diga contro la sua voracità» «Talvolta la soluzione fallimentare creerebbe minor danno del salvataggio» - «Si deve aiutare l'imprenditore capace» DAL NOSTRO INVIATO SPECIALE MILANO — Francesco Cingano, amministratore delegato della Banca Commerciale Italiana, è da poco tornato da Basilea. Ai raffinati ed esigenti banchieri svizzeri ha spiegato con chiarezza le cause della crisi italiana. C'è un dato nell'articolata reiasione del banchiere che colpisce in modo particolare: negli ultimi tre anni, nella destinazione dei flussi netti di una «banca-tipo» il 40 per cento di queste risorse ha finito per finanziare il settore pubblico, il 14 per cento le imprese pubbliche e soltanto il 12 per cento le aziende private. Se da queste cifre si dovessero trarre delle conclusioni sulle possibilità in Italia di sopravvil'enea dell'impresa, il risultato finale sarebbe assai sconfortante. «Eppure, dice Cingano, non è cosi. La condizione dell'industria italiana non credo possa essere ricondotta ad un unico denominatore di segno negativo. Ci sono ancora esempi di grande vitalità. In questi ultimi mesi le aziende hanno ottenuto affermazioni in campo internazionale che non sono da sottovalutare. All'interno di alcuni settori ci sono industrie che riescono sia pure faticosamente a mantenere in equilibrio i loro conti economici. In alcune province della Lombardia, del Piemonte, del Veneto numerose aziende si difendono bene, riuscendo anche a guadagnare». Sono venuto alla Comit a parlare con Cingano, per cercare di tirare le fila del discorso iniziato con alcuni dei protagonisti della vita economica del Paese. Sulla scrivania del banchiere c'è il prospetto che l'Ufficio cambi gli fa quotidianamente pervenire con le quotazioni aggiornate. Dalla bufera valutaria che ha sconvolto tutti i mercati, la lira ne è finora uscita praticamente indenne, dimostrando anzi una notevole stabilità. '.li risultato, nota Cingano, di una politica monetaria gestita in modo perfetto, esemplare. Siamo riusciti proprio in virtù di questa politica a ricostruirci una credibilità su tutte le piazze finanziarie del mondo. Purtroppo, di esempi di funzionamento di questo genere ne abbiamo pochi». Anche l'amministratore delegato della Banca Commerciale è fortemente critico sui modi di gestione della cosa pubblica: «Le possibilità di recupero che oggi riscontriamo, sottolinea, rischiano di essere annullate dalla difficile situazione generale. Penso, fra l'altro, a come si fa politica, al processo di formazione legislativo. Quelle che vengono emanate non sono leggi, ma provvedimenti scollati, spesso contraddittori. C'è poi il declassamento pauroso della pubblica amministrazione. Non c'è più chi decide, chi dia certezza dell'operare economico». L'analisi di Cingano si allarga ad alcune situazioni patologiche che vedono le banche chiamate ad intervenire in prima persona per tentare dei salvataggi. «Non credo che questa sia sempre la soluzione migliore. Cosi nessuno paga per gli errori commessi. Certo, non penso al fallimento come elemento catartico di purificazione del sistema. In certi casi, però, la soluzione fallimentare creerebbe minor danno del salvataggio, anche sotto l'aspetto dell'occupazione. Qualche volta quello occupazionale è un falso problema. Pensi al caso Innocenti, i cui operai potevano ricollocarsi in pochi mesi presso altre industrie. La verità è che in questa continua congiura politico-sindacale si riescono a creare situazioni di tensione che impediscono di risolvere problemi senza traumi particolari. Ed è questo tipo di esperienza che il Paese sta pagando ad un prezzo elevatissimo». Un modello di comportamento che provoca altri effetti perversi. Si assiste a un crescente processo di deresponsabilizzazione da parte dell'imprenditore. Di fronte ai massicci livelli di indebitamento, sovente si tenta di traslare le passività a carico della banca con tutte le responsabilità che ne conseguono. «Certo, ed è una situazione inprospettivaancorpiù grave della crisi in se stessa. Con le dovute eccezioni, questa è forse la conseguenza più allarmante dei molti errori di gestione commessi in questi anni». Ci sono stati imprenditori, chiarisce l'amministratore delegato della Comit, che sono ricorsi ai debiti scontando una svalutazione galoppante, sema capire che le difficoltà dell'impresa non si risolvono certo sperando nell'inflazione. Altri, attirati da facili guadagni, hanno distratto mezzi propri per attività extra aziendali di tipo speculativo, finendo così per contrarre forti debiti. C'è stata, infine, la spinta cosiddetta dimensionale: la grande dimensione, l'impianto colossale come traguardo, come sfida. Cingano ricorda che mentre in altri Paesi questo modo di concepire l'industria entrava in crisi, in Italia si perseguiva il mito dell'investimento massiccio in un solo impianto, ricorrendo a forme crescenti di indebitamento. «Si è arrivati a teorizzare, sottolinea il banchiere, la strana formula economica che attraverso un'enorme dimensione sarebbe cresciuto comunque il profitto, senza valutare cosa comportasse tutto questo come fatto organizzativo. Il fatto è che spesso con impianti cosi colossali si pensava di aumentare un certo tipo di potere». Comunque sia. con un imprenditore deresponsabilizzato o meno, la banca nella crisi dell'impresa c'è dentro fino al collo. Parte degli impieghi, anziché essere di rapida liquidazione, si sono trasformati in immobilizzazioni. Nella reiasione che Cingano ha fatto ai banchieri svizzeri, si fa cenno al modo come si sia alterato in Italia il rapporto impieghi-depositi, al fatto che impieghi di breve periodo si sono ormai tradotti in medio e lungo termine, cioè in impianti o in ampliamenti. Da qui. l'affermazione di Guido Carli che sarebbe più corretto agire alla luce del sole, trasformando questi crediti immobilizzati in quote di capitale. Dice Cingano: «L'alterazione di cui si parla è una ulteriore dimostrazione dell'incertezza con cui si è governato e si governa il Paese. Il mercato finanziario è in crisi strutturale da moltissimi anni. Vengono quindi a mancare i modi classici di sostituzione del debito dal breve al lungo termine. Gli istituti di credito speciale hanno vissuto sulla forzatura del vincolo di portafoglio. Certo, ha ragione Carli almeno per alcune situazioni particolari. Ma non è che lo si sia scoperto oggi, o due anni fa. Già alla metà degli Anni Sessanta alla Banca Commerciale si era iniziato uno studio organico su questo problema. Fin da allora risultava che le banche anziché limitarsi a fornire mezzi mercantili, intervenivano con una parte rilevante a sostenere gli immobilizzi. Questa condizione patologica della struttura e della funzione del credito ordinario si è andata, come tutti sappiamo, aggravando». Vorrei, però, chiarire, aggiunge il banchiere, che anche in questo caso non si deve commettere l'errore di ricondurre il tutto ad un denominatore di carattere generale: ■Bisogna esaminare caso per caso. Ci sono imprese che attraverso interventi di ristrutturazione finanziaria possono essere salvate. Per altre aziende, pur dello stesso settore, non c'è nulla da fare. Bisogna stare attenti a non cadere in schematizzazioni di principio, finendo magari per premiare in una sorta di sanatoria generale anche chi si è dimostrato incapace di gestire un'impresa». Il discorso di Cingano mette in luce la contrapposizione oggi esistente tra classe politica da una parte e banchieri dall'altra. Il nodo del contrasto si ritrova, in sostanza, in un solo concetto: a chi spetta fare la scelta? Qual è l'autorità che dovrà stabilire quale azienda si salva e quale no? Per l'amministratore delegato della Comit non ci sono dubbi: «Il banchiere non può aderire a scelte di tipo politico e le banche di conseguenza dovranno puntare i piedi a difesa della propria autonomia. Le nostre valutazioni. aggiunge, devono essere di carattere esclusivamente finanziario. Solo quando con un esame accurato e severo del piano di ristrutturazione saremo convinti del salvataggio, potremo correre nuovi rischi La conclusione di Cingano suona come un avvertimento: «Poche cose ormai si salvano in questo nostro tormentato Paese. Se vogliamo ricostruire in modo serio, abbiamo il dovere di difendere ciò che ancora è veramente vitale, sostenere l'imprenditore capace. Le banche in questo contesto sono una specie di diga contro la voracità della finanza pubblica, contro la pressione continua di scelte certamente non imprenditoriali. Ma resistere non è facile. E se i nostri argini dovessero alla fine rompersi, anche quanto c'è ancora di buono si perderebbe. Da un anno a questa parte, man mano che la politica monetaria ha sortito i suoi effetti, si è ricominciato a credere in questo Paese, ad andare avanti con infinita pazienza. Perdere questa occasione per ritrovare la via della crescita, sarebbe delittuoso». Natale Gilio (Fine. Gli altri articoli sono apparsi il 7, il 10 e il 15 ottobre, il 1 ' e il 9 novembre). Roma. Francesco Cingano: «Si è ricominciato a credere in questo Paese» (foto Grazia Neri)

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