Le tentazioni democristiane di Giovanni Trovati

Le tentazioni democristiane Governo e elezioni anticipate Le tentazioni democristiane Una quarantina di franchi tiratori sono stati contati alla Camera, martedì notte, al termine del dibattito sulla relazione di Andreotti per la vertenza del pubblico impiego: se non tutti, in buona parte erano della de. La prossima settimana si discuterà, sempre alla Camera, la legge sui patti agrari, già votata dal Senato, e alcuni democristiani hanno annunciato emendamenti che comunisti e socialisti dicono di non accettare. Il ritorno dei franchi tiratori e l'iniziativa sui patti agrari sono gli ultimi due episodi che denunciano una turbolenza nell'interno del partito. La si interpreta come fatto fisiologico in vista del congresso di primavera, o come sintomo di insofferenza verso la segreterìa Zaccagnini, o come indicazione di una volontà di rompere con i comunisti per tentare l'alea delle elezioni anticipate. Ancora ieri il socialista Signorile, nell'intervista a .La Stampa», affermava che nella de, come nel pei, ci sono frange che puntano sulla interruzione della legislatura. I motivi che agitano la de si possono far risalire al febbraio scorso, quando Moro, nella tormentata riunione dei parlamentari, convinse il partito ad accettare la nuova maggioranza in nome della emergenza. Alla sua analisi della situazione sociale, economica, politica e alla sua deduzione che la via era obbligata nessuno oppose obiezioni convincenti. Ma in parecchi il malcontento rimase. Per costoro la nuova maggioranza rinnega la condotta riaffermata lungo trent'anni nei congressi e davanti agli elettori che la de, per principi ideologici soprattutto, sempre si sarebbe posta in opposizione al pei. In quella riunione il partito accettò l'emergenza, ma non tutti compresero la sua portata che metteva a verifica la teoria del confronto. Quel malcontento è covato per lunghi mesi e, favorito dall'assassinio di Moro, si è fatto dissenso, che cerca ogni occasione per affermarsi. A questi motivi, rispettabili perché di coscienza, si aggiungono motivi psicologici. Dice Donat-Cattin che la de patisce quando il governo dura molto. Il monocolore Andreotti, pur con diverse maggioranze, è in carica da due anni e tre mesi e tanti aspiranti ministri e sottosegretari scalpitano in attesa di un loro turno. Non è bello, ma è comprensibile. Infine i successi elettorali di quest'anno, parziali ma indicativi di una tendenza, inducono alcuni democristiani a ritenere che un ricorso generale alle urne darebbe più forza al partito. Emergenza ed elezioni anticipate non si accordano. Poiché ci troviamo in una grave crisi economica e sociale, si debbono soppesare i danni che provocherebbe il blocco dell'attività del governo e del Parlamento lasciando che i problemi non risolti peggiorino. Chi pensa a nuove elezioni si propone un go¬ verno con un'altra maggioranza. Ma se anche la de ottenesse, ipotesi ottimale, il 40-42 per cento, che cosa se ne farebbe? Un nuovo governo senza il pei nella maggioranza presuppone almeno una disponibilità del psi, che non c'è, perché Craxi ha bisogno di tempi lunghi e di un successo nelle elezioni europee della prossima estate. Il riconoscere che non si intravedono, per ora, altre prospettive politiche è atto di saggezza non di insipienza. La de ha tutto interesse che non sia abbreviato questo periodo di transizione, perché soltanto l'auspicabile evolversi dei partiti indicherà sbocchi realistici. Le elezioni anticipate farebbero saltare il congresso di primavera, che è necessario. Se Zaccagnini si ripresenta, non c'è dubbio che sarà rieletto, ma è giudicata utile una verifica a non troppa distanza dalla prima nomina. Zaccagnini, anche se gli si attribuiscono tanti nemici, appare saldo nella guida del partito. Capi di corrente e capi storici sovente non sono benevoli nei suoi confronti, convinti di poter far di più al suo posto. Ma nessuno ha la forza di insidiarlo. Neppure Fanfani. Semmai Porlani potrebbe raccogliere attorno a sé gli oppositori, ma senza sperare di raggiungere il numero sufficiente. Zaccagnini ha con sé i quadri intermedi e la base. Anche se qualcuno si agita rumorosamente, nella de prevale l'area che non vuole le elezioni anticipate e difende questo governo ritenendo che la realtà complessa del Paese imponga al partito di continuare nella sua funzione mediatrice. Se è cosi i patti agrari, che si profilano al vicino orizzonte, dovrebbero essere considerati un problema, non uno scoglio. Lo scoglio vero saranno i rapporti del governo con i sindacati. Si sono accumulate vertenze con conseguenze gravi per il Paese: ospedali, treni, aerei, scuola. O Andreotti riesce a concordare una soluzione almeno con gli aderenti alle tre confederazioni o il pei lo abbandonerà, perché i comunisti non si staccheranno mai dalla Cgil. L'appuntamento, forse, non è la prossima settimana, ma il prossimo mese. Giovanni Trovati