«È soltanto una fabbrica per esami»
«È soltanto una fabbrica per esami» «È soltanto una fabbrica per esami» Università: parlano gli ex contestatori I docenti sostengono che «manca l'impegno culturale, la partecipazione» - «Cè meno attenzione per i problemi di attualità» MILANO — « Una università in cui si studia*, diceva della Statale, in un'intervista al nostro giornale il rettore Giuseppe Schiavinato. Se non è più un centro di dibattito culturale, come lamentano nella sinistra, il motivo, per il rettore, è da ricercare nelle carenze della scuola media, che non dà una preparazione sufficiente. -E i professori — specificava il rettore — sono costretti ad adeguarsi: Di fatto sono tutti d'accordo che questa università, per quanto riguarda le facoltà umanistiche, non è più al centro, come è stata, della vita cittadina: si studia, con metodi vecchi. Secondo gli addetti alla cooperativa libraria, gestita per lo più da «reduci» della contestazione «si è instaurato un tran tran impensabile solo pochi anni fa. Allora — spiega Lino, ex movimento studentesco —c'erano ogni anno, a lettere, almeno 10 corsi su Marx, quest'anno ce n'è solo uno*. La richiesta di testi sul dibattito generale è crollata mentre per quanto riguarda lo studio si riaffacciano manuali vecchi, anche di un secolo. Gli studenti, spiegano, ci starebbero ad impegnarsi a livelli più alti e lo dimostrano quando, come nel corso di filosofia della scienza, vengono stimolati. «Li — aggiungono — c'è un docente che resiste da anni a fare scuola in modo moderno e gli allievi divorano testi che sarebbero difficili, ad esempio, per specialisti in matematica'. Che i tempi siano mutati non c'è dubbio. Raccontano un episodio: « Vorrei il libro di Tse Tung slla contraddizione», dice uno studente. •Mao-, mormora il commesso, più per se stesso che per l'altro, ma ha la sorpresa di sentirsi rispondere:-No, non Mao, Tse Tung». Il tono culturale si è abbassato: i docenti, già protagonisti di quel «periodo felice», poi se ne sono andati e non pensano di avere responsabilità; soprattutto se come dice il rettore, hanno pensato solo a ricongiungersi con il loro «giro», di amici. «Non è affatto vero-, dice Franco Catalano, docente di storia contemporanea, ora all'università di Modena. -Venuto a mancare il movimento studentesco mi sono accorto di essere stato confinato in un ghetto proprio mentre nell'università si tentava la restaurazione-. Spiega che, negli anni caldi nel suo istituto sono state fatte ricerche sul neofascismo, sulla crisi delle piccole industrie, sulla crisi della Innocenti: era questo a dare fastidio establishment, oltre al metodo di gruppo. E' d'accordo anche Daniele Foraboschi, responsabile della federazione del pei per l'università e docente a Pisa. «Qui a Milano, cacciati o posti in condizioni di andarsene alcuni professori, messi sotto choc dal '68 altri, che pure partivano da posizioni avanzate, sulla politica e sulla didattica c'è stata una paurosa involuzione verso posizioni di chiusura. Basti un esempio — dice —: tutte le facoltà della Statale hanno fatto conferenze di produzione di quelli che vi studiano o lavorano, meno che a lettere, dove un gruppo di professori si oppone assolutamente. Invece — prosegue —sarebbe un momento molto importante di riflessione per una facoltà ridotta a produrre laureati che al 98 per cento saranno insegnanti e ha smarrito persino il ruolo di ricerca pura anche se chiusa in un pensatoio». Ma, secondo Foraboschi, neppure come fabbrica di insegnanti l'università è effi- ciente. -Pedagogia che dovrebbe essere una materia chiave per futuri professori — spiega — non ha nessun docente di ruolo e solo tre incaricati per 14.000 studenti». Inutile parlare, secondo Foraboschi, di politica culturale: •L'unica che si fa è un ritorno al rigore agli esami sema in verità fare massacri. Oltre tutto c'è chiusura verso le discipline nuove e. si selezionano, in base a questo, gli insegnanti». La colpa per questa situazione è in buona parte del pei e della sinistra storica in genere, secondo Bunny Zeller, responsabile per l'università del Movimento lavoratori per il socialismo, erede diretto del movimento studentesco: • Certo c'è questo vuoto all'interno dell'università — dice — ma le responsabilità vanno alla politica condotta dal rettore, interprete delle istanze di restaurazione del ministero e all'assenza delle forze di sinistra nel loro complesso». E' stato il pei, secondo Zeller, pur di combattere il movimento studentesco, a favorire l'affossamento di qualsiasi dibattito (famoso il caso di un professore comunista che nel '74 fu contestato per un corso su Dante) e di qualsiasi lotta studentesca. Non c'è però rapporto, sostiene Zeller, tra la scelta della politica nel territorio e il calo dell'attività culturale nell'università.«Ma — ammette —uno dei limiti del movimento studentesco era di avere poca progettualità, di non aver messo a punto un progetto culturale per cui col tempo l'università è tornata a fare quello per cui ha le strutture: solo esami». Ma perché la Statale di Milano, dove pure c'è un vuotonon ha vissuto la ventata di contestazione violenta del '77? -Dal '68 —spiega Zeller — nella Statale permaneva un tessuto politico per cui i fenomeni sociali di disgregazione non hanno individuato nell'università un luogo fisico in cui entrare; era uno spazio occupato, sia pure parzialmente».
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