Gli storici e il riformismo di Ferdinando Vegas

Gli storici e il riformismo Gli storici e il riformismo Un convegno a Reggio Emilia su Camillo Prampolini, «apostolo laico» del socialismo italiano REGGIO EMILIA — Promosso dall'Istituto Socialista di Studi Storici, dal 27 al 29 si è svolto il convegno su «Camillo Prampolini nella storia del socialismo», in questa Reggio che fu la città dell'«apostolo laico» del socialismo italiano e, per opera sua, il centro propulsore del «riformismo». E infatti al convegno non si è parlato solo del «santo Camillo» (così lo chiamò Anna Kuliscioff), ma anche, e soprattutto, del «riformismo»; non per un'operazione di «recupero» a scopi praticoideologici (nell'ambito delle iniziative del psi), bensì, come è stato giustamente osservato, per la «rivalutazione», su base rigorosamente scientifica, d'un movimento che ormai è parte integrante della nostra storia nazionale. Così, dopo la relazione d'apertura di Arfè, che ha presentato una vivace sintesi cri¬ tica su «La storiografia del movimento socialista in Italia», si sono succedute relazioni e comunicazioni su aspetti generali e particolari del «riformismo», ricostruito, senza alcuna esaltazione occasionale, per quello che realmente fu nel trentennio circa della sua fioritura. 1890-1920. Un movimento essenzialmente spontaneo, dal basso, attraverso il quale le plebi rurali della regione padana, risvegliate e guidate appunto da apostoli quale Prampolini, si riscattavano da secoli di servitù e sottomissione. La meta era. sullo sfondo remoto, il socialismo; intanto, nel prossimo futuro, si perseguivano quelle riforme graduali che avrebbero migliorato, come infatti avvenne, le condizioni dei lavoratori, contadini nelle campagne, operai nelle città. Ecco quindi la fitta rete delle cooperative (ma è mancata al convegno un'apposita relazione), delle leghe, delle associazioni sindacali: quell'insieme di organizzazioni pratiche, concrete, qui illustrate in due dense, approfondite relazioni: di A. Ventura, su «Strutture agrarie e movimento socialista nelle campagne», e di M. Degl'Innocenti, su «Il socialismo riformista: istituzioni e strutture organizzative». Quest'opera mirabile fu. come ha osservato in un suo intervento Lelio Basso, una vera rivoluzione, sicché non ha senso l'antitesi tradizionale tra «riformisti» e «rivoluzionari», che. del resto, non era sentita come tale dai Prampolini e dai Turati. Perché, allora, il socialismo riformista fu travolto dalla reazione fascista? Perché, dopo la sconfitta, cadde in tale discredito da diventare quasi emblematico d'ur socialismo imbelle? Certo, per i limiti culturali dello stesso Prampolini. che erano quelli della sua epoca (relazione di L. Mascilli Migliorini, su «Prampolini e la cultura positiva»); più in generale, per la mancanza d'una concezione dialettica della lotta politica (Basso, G. Manacorda). E quando la lotta divenne la lotta armata delle squadre nere, dilagare dell'illegalità, la concezione non violenta, pacifica, legalitaria di Prampolini e dei riformisti non poteva che uscirne perdente. Un bilancio complessivo del «riformismo», anche nella proiezione politico-culturale odierna, è stato infine, a conclusione del convegno, oggetto di dibattito, intenso e «civile», fra alcuni dei maggiori storici dell'Italia contemporanea: Spadolini, Arfè. Vigezzi, Manacorda e Scoppola. Ferdinando Vegas

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