Il Piemonte "restaura"

Il Piemonte "restaura" Una mostra alla Promotrice del Valentino Il Piemonte "restaura" Cinque anni di lavoro per la tutela del patrimonio artistico della regione offrono un quadro della cultura figurativa subalpina dai reperti archeologici all'Ottocento Favorita nell'allestimento dai razionali ambienti della palazzina della Promotrice, al Valentino, la mostra che sotto il titolo «Musei del Piemonte: opere d'arte restaurate» vi riunirà sino al 15 ottobre una quarantina di dipinti ad olio, affreschi, statue ed altri oggetti d'arte, appare senza dubbio una manifestazione esemplare ed emblematica. Nasce, intanto, da un quinquennio di stretta, profìcua collaborazione tra la Regione, cui si deve l'impegno finanziario, e le Sovrintendenze statali del Piemonte che hanno provveduto ad opere di tutela e di restauro in favore d'un patrimonio artistico distribuito nelle diverse province, per buona parte ignoto al pubblico e talora trascurato dagli stessi studiosi. Anche di più si sarebbe potuto fare, avverte l'assessore regionale all'Istruzione e Cultura, Fausto Fiorini, se «somme ingenti» non si fossero dovute spendere per l'installazione di costose apparecchiature antifurto, ferma restando la convinzione che «l'unico modo di affrontare correttamente questa piaga sia il progressivo coinvolgimene della popolazione, con una tenace opera di educazione etica ed estetica dei cittadini e con l'utilizzazione pubblica dei beni culturali che si vogliono tutelare». La mostra presenta una quarantina di opere isolate o in gruppi, di cui il catalogo stesso rievoca le vicende, riferendo anche le tecniche degli interventi cui sono state sottoposte, ma per ricollocarle poi nell'ambito della cultura e dei musei di appartenenza ciascuno delineato nei propri caratteri istitutivi in un vivo intreccio di scelte individuali e di storie di lasciti, con un continuo rimando a quella mappa del patrimonio artistico d'una regione che, nota il Romano, «gode l'ingiusta fama di essere sguarnita di opere d'arte», mentre di giorno in giorno se ne scopre la ricchezza. Basti dire come si possa spaziare, nel tempo, dai re- perti archeologici d'età romana (con una scelta di umili oggetti d'uso quotidiano in terracotta) provenienti dal Museo Leone di Vercelli, ad alcuni ritratti tuttora conservati nello studio di Giuseppe Pellizza, a Volpedo, con i volti dei suoi cari, il papà, la mamma e la sorella Antonietta, attraverso i quali l'artista, da sempre tormentato, tendeva alla soluzione dei suoi problemi pittorici. Tra questi estremi, per nodi essenziali, si colloca quasi l'intera cultura artistica piemontese. Con la romanica Testa di santo (affresco staccato da Revello ed ora in Casa Cavassa a Saluzzo) d'una stupenda stilizzazione in grado di gareggiare con la forza di certe immagini catalane (ma riconducibile a cer¬ te novaresi ascendenze ottoniane), si possono ricordare le trecentesche sculture della Fondazione Galletti di Domodossola, legate alla cultura svizzero-tedesca per il loro significato, fortemente emotivo, al quale viene naturale confrontare la drammatica suggestione del Compianto sul Cristo morto di Novara, opera d'un maestro valsesiano che nell'elementare vigore espressivo, imprimeva alla materia quelle forme che anche in seguito avrebbero continuato a caratterizzare ogni opera originaria della nostra regione, proprio con un'aura fatta di cultura e di sensi popolari (si pensi all'arte dei Sacri Monti) destinata ad emergere anche attraverso i più diversi richiami stilistici. Più avanti Le stimmate di San Francesco del veneziano Carlo Saraceni, dipinto nel 1614 per i Cappuccini di Lanzo che documenta molto bene l'atteggiamento dell'autore verso il paesaggio all'inizio del secondo decennio del secolo, ma soprattutto la «fortuna» toccata a questo capolavoro caravaggesco che non ha mai abbandonato il luogo di originaria destinazione. Nell'ambito del più gustoso caravaggismo si collocano le due tele astigiane di Valerio Castello; non immemore, forse, la Lucrezia romana, di certe suggestioni che potè accogliere attraverso le opere di Francesco del Cairo, ma pur sempre intimamente legato come in Tarpea uccisa dai Sabini al guizzante luminismo di G.C. Procaccini. Al confronto ecco il «piemontesismo» dell'Autoritratto del casalese Niccolò Musso, ritrovato nel '66 da Noemi Gabrielli; non solo capolavoro di espressive qualità psicologiche, ma documento «rivoluzionario» in un contesto culturale allora dominato dalle reminescenze guadenziane del Moncalvo e dell'Alberini, cui offriva l'alternativa caravaggesca. Col Sette ed Ottocento, com'è noto, l'interesse della pittura si sposta sensibilmente sul paesaggio; ma accanto a qualche esempio che se ne trae dal settecentesco Paesaggio laziale del romano Locatelli e dall'ariosa Veduta con pescatori del Vernet la mostra non manca di far apprezzare la rigorosa grafia delle mappe settecentesche conservate nell'Archivio storico di Revello. Il nervoso plasticismo «impressionistico» dei gessi di Paul Troubetskoy (da Pallanza) e gli ottocenteschi paesaggi, del vigezzino Giovan Battista Ciolina, e della Bonacina Londonio, con una figura del Lionne e soprattutto con le già ricordate immagini di Pellizza da Volpedo chiudono questa carrellata resa anche più suggestiva dalla lettura del catalogo. Questo si fa particolarmente apprezzare per la ricchezza di esplorazioni critiche che la esposizione coinvolge, e per l'interesse di certi rilanci di vecchie ipotesi, che suggerisce, documentando un lavoro condotto ormai da intere generazioni di studiosi, e con una continuità di intenti che tuttora lega i più giovani, attualmente operanti intorno a Giovanni Romano, all'impegno di quelli che dal Mazzini alla Gabrielli l'hanno preceduto, lasciando loro un validissimo retaggio. Angelo Dragone Maestro Piemontese (sec. XI?), « Testa di santo »: il distacco del cemento che imprigionava l'affresco e l'opera a pulimento compiuto (rest. Laboratorio Nicola, Aramengo)