La caccia, ma quella di una volta di Giovanni Arpino

La caccia, ma quella di una volta ERA AVVENTURA, SMANIA, INSEGUIMENTO SOLITARIO La caccia, ma quella di una volta Si sfoga un vecchio amico: "I cacciatori? Non esistono più quei personaggi stravaganti o severi, che obbedivano ad una certa ossessione segreta, che uscivano di casa all'alba, con due cartucce, due sole, dirigendosi verso quella zona di bosco per quella bestia e solo quella" - Adesso ci sono due milioni di doppiette ma "è fiera, tirassegno e baraonda da luna park" In molte ragioni d'Italia la caccia è aperta, In altre (come Il Piemonte) la stagione venatoria comincerà a metà settembre. C'è chi si prepara addestrando 1 cani, ehi sogna certe avventure del passato. Giovanni Arpino ha raccolto queste impressioni. L'amico accende una. sigaretta di tabacco nero, che come al solito si spreca in scintille prima di crear. la brace giusta. Poi l'uomo dà una grattatimi aUa barba ingrigiti. Veste, secondo suo costume, una giacca , alla «cacciatora», verdognola per l'uso. La depone solo quando deve seguire un funerale. Ma in quelle profonde tasche, così vissute, da tempo non viene incamerata una lepre, una beccaccia. Sogghigna e mi fa: «I cacciatori? Quali? Non esistorio più i personaggi stravaganti o severi, che obbedivano aduna certa ossessione segreta, che uscivano di casa all'alba, senza aver detto, niente a nessuno, con due cartucce, due sole, dirigendosi verso quella zona di bosco per quella bestia e solo quella. Adesso è fiera, tirassegno, adesso è baraonda da luna park. Oggi i fissati della caccia sono dei. poveretti,- come i giocatori di flipper, non sono contenti se non sparano centocinquanta cartucce dietro un fagiano d'allevamento o persino duemila se vanno ad allodole e tordi. Ma sai che la Winchester è venuta a impiantare una fabbrica di cartucce in Italia perché un popolo di quasi due milioni di cacciatori fornisce rendite incredibili? Non solo: ma. il dieci per cento di questi cacciatori fa sterminio qui, poi all'Est, e infine si isorive anche ai tiri a volo. E' la tribù dei Pum Puim, credimi. Non parliamo di caccia, che è meglio». Ma come non parlarne? Anche la caccia, le sue stagioni, le sue smanìe, le sue epidemìe, t suoi riti appartengono ad un rozzo «tempo perduto» nostrano. I circa due milioni di «doppiette» d'oggi non sanno, non ricordano, non gustano, ven- ?ono_ persino plauditi politamente perché, certi.acculai risentimenti di clan, possono influire sul voto. «Lascia perdere»;' mi "fa l'amico dalla «cacciatóra» premeditatamente vuota nelle saccocce: «Vuoi sempre ficcarti nello "sporco", tu. Come uno spinone che sniffa tra i cespugli di ortiche. Lasciali andare, i cacciatori, si sparino o no tra di lóro. E del resto, cos'è un fucile, oggi? E' come-un elettrodomestico, un frullino, o un aspirapol vere, ^potrebbero venderli' ai grandi magazzini. L'artigianato è quasi scomparso; non esìste il maniaco che perfeziona la propria arma, che sceglie quel "sovrapposto" in base ad una sua precisa idea di caccia. Non esistiamo neppur più noi armatoli. Specie estinta, ecco quel che siamo, come gli aironi di risaia». Già. Ho passato lunghe sere estive, mille anni fa, assistendo quest'amico che confezionava, cartucce .nel suo botteghino d'armatolo. Con strumenti di misura microscopici, con abilissimi giri del polso, riempiva duecento cartucce, per il veterinario che sarebbe partito verso la montagna, cinquanta per il notaio che pensava solo alla botta grassa e sicura alle lepri, cento per l'operaio che andava in ferie aUa vigilia della stagione dì caccia e. sognava^ beccaccini, dì notte, anche a Natale, svegliando la moglie nel sorino con un guaito da setter soddisfatto. «Maniaci lo siamo stati in tanti, soprattutto qui nel Cuneese», si lascia poi andare l'amico scrutando la sigaretta che si consuma da sola: «Ricordi Andrea R., che teneva nel portabagagli dell'auto fino a duecento chili di "colpi* per andare a quaglie? Ma eravamo individui diversi: per un fagiano nero a millecinquecento metri d'altitudine si camminava una notte, si dormiva nel fieno di una baita. La lepre? E chi la guardava? Solo il contadino spara verso terra, e almeno lui ha una ragione: la lepre gli mangia la roba nell'orto. Noi cercavamo il difficile. E' stata 1' auto ad alterare il cacciatore. Oggi tutti arrivano dovunque, nessuno conosce un bosco, lo si raggiunge freschi e pimpanti e giù a sparare alle foglie. Si sparino anche nei sederi, credendoli cinghiali. Ma dammi retta: parla mai dei cacciatori, sono una genia a parte, Decaduta, ma sempre genia». Io sto zitto. Non ho mai sparato a una bestia: ho ammazzato polli e conigli con una mano,, questo sì, ma non ho mài sparato 'a un animale, anche se in quel botteghino stitico dell'amico armaìolo ho visto gente afferrare, sollevare, puntare fucili con il godimento insalivato di chi affronta una sposa. Mani che si avvicinano al calcio di un «calibro 16» e se ne impossessa¬ no secondo uno schema di movimenti tra pólso, braccio, spalla e guancia che si corica sul legno. Ho visto quelli che partivano per la caccia, irsuti e diffidenti, con pane e ; salame nelle tasche, il cane trafelato, e ho visto quelli che tornavano, lasciando- pendere le orecchie gloriose della lepre dalla fessura della «cacciatora», tirando poi fuori la stessa lepre, règgendola per le piote posterióri e lisciandola davanti agli amici invidiosi al caffè come se fosse la ragazza più bella del mondo. Era una gloria, un momento goduto, senza parole e solo con mugola. Lo gustavo anche se non mi apparteneva. Per me la caccia è da soli, come Tartan testa a testa col coccodrillo. «Capisci un- amato zero.ì tu», mi rimprovera l'amicó:\ «Non sai cos'è l'odore ' tìèHai polvere-appena si è sparato.) E'' profumo 'unico. E non sai. cos'è un cane, pointer, setter spinone bracco, che se non spari, se non colpi-! sci, ti guarda con occhi accusatori, ti piglia per un Giuda. La mìa cagna d'adesso, che io allevo e porto in giro, ce l'ha su con me per¬ ché non mi vede sparare. Finirà per dimettersi e farsi bastardo da pagliaio». Però poi precipita anche lui nel silenzio a recuperare ricordi inesprimibili. Dall'interno del caffè ci raggiungono gli schiocchi dell'avorio sul biliardo, remoti. Ripiglia con fatica: «E' che la selvaggina non è più lei. Gli stessi germani reali non hanno più carattere. Come diciamo. noi, sono "privi", sono "affagiolati". Per sparare a lepri e fagiani potrebbero mettere delle piazzole negli autogrill dell'autostrada e voilà». Io penso alla rabbia dei cacciatori piemontesi e soprattuto cuneesi quando — mica un secolo fa, ma solò trent'anni or sono — parlavano delle invasioni ad opera dei-«liguri», gente che saliva dà Savona,'- da Genova, accompagnata da frotte di segugi che aravano ì. bòschi. Geiile'che sp'drcfoa a pàsseri e merli: e magari facevano felice un oste. Perché ad esempio a Bra, dov'era là Scuola Allievi Ufficiali, durante la stagione di caccia in un'osteria — una sola, defunta, ma sono defunte anche quelle buone — si cu¬ cinavano spezzatini che sapevano di merlo, di gufo, di porcellini d'India, di upupa, mischiali insieme, all'indomani di una «strage» ligure. Erano gli indefinibili «ragoutini per i signori Allievi» che il furbo oste propinava fidando nella mezza bottiglia di Dolcetto come balsamo e negli stomaci tritatutto di quei ragazzi in divisa. «Prendi ì fucili, gli automatici Breda ' o Franchi o Beretta o Benelli, sono tutti buoni, vanno tutti bene, ma la gente che li usa non se ne intende più che tanto. Li tiene come una donna conserva il macinino elettrico per il caffè. Non c'è più la mania religiosa di un tempo, quando l'uomo della caccia passava ore a curare il fucile anche durante le stagioni morte, lo chiudeva nell'armadio e quell'armadio ' èia sacro, la camera di Barbablù, ma davvéro. Il fucile era viva reliquia,' le mógli 16 odiavano. Del resto le donne hanno sempre odiato la caccia, dai tempi dei tempi, è anche giusto. Ti leva ogni altro proposito dalla testa, la caccia, ti distrae, è un linguaggio di uomini. Ma allora la caccia era un valore, un modo di vivere, un'idea dell'esistenza, era un vivere contrapposto al più semplice e stupido lavorare, era anche una maniera di restare eterni adolescenti in sfida davanti al Pianeta. Tutta roba che la tribù dei Pum Pum d'oggi neanche si sogna». Certo. Ricòrdo infatti i miei parenti, soprattutto mio cugino Vigiu, che fino a ottantanni aspettava l'itapertura». Da quel giorno fatale, non c'era più verso di fargli intender ragione: il cane, la frittata da mettersi in tasca, i discorsi al caffè e nel botteghino dell'armaiolo, nient'altro esisteva. E, alla fine, il getto con cui depositava pernici o beccacce sui tavolo di cucina, la moglie in agguato, sospettosa. E mi viene in mente una pagina preziosissima di Italo Cremona, che uscì — ed è introvabile — sull'almanacco «L'Antipatico» edito- da Vallecchi nel 1959. Si intitolava, ineffabilmente, «Addio alle armi, ovvero memorie di un cacciatore». E diceva, tra l'altro: «La selvaggina si vendica accorciando la vita di chi ne mastica troppa. Reumatismi, gotta, uricemia, calcoli... Intendersi di armi, anche d'un solo periodo d'una sola nazione, è difficile: come per i tappeti, le monete, le miniature... Alcuni credono d'essere collezionisti d'armi mentre non sono altro che raccoglitori di ferrivecchi. Lo stesso accade per i mobili, i quadri: i palati si fanno sempre più spessi e indifferenti a forza di mangiare scatolame. C'è chi vede la caccia con gli occhi di Turgheriev e chi vi va con lo scooter. La democrazia ha distrutto il fascinò della caccia, le strade i motóri i concimi chimici hanno fatto sparire la selvaggina...' Crebbi in famiglie dove la caccia era tutto, dove i discorsi erano solo per essa, poi le giacche di velluto, i grassi per gli stivali, ventrière, panciotti, fischietti, funicelle speciali e richiami... Fors'anche per aver conosciuto cacciatori eccellenti e veri buongustai oggi la caccia .mi ripugna e cosi sto a letto mentre gli altri vanno di fretta a scaricare ..tonnellate di energia su un'passerotto...». . L'antico,armatolo, a cui ricordo quésta pagina, sbuffa tristemente: «Tutto vero. Adesso se trovi un fagiano, costui ti dà del tu, ha fatto la media unica, quasi ti dice: scusa, posso riprovare il volo per lasciarmi' colpir meglio? Ròba da ridere: La caccia fa la caricatura a se stes¬ sa, come gli autoscooter che ricopiano il circuito di Indianapolis. Tanto vale mettersi in fila a un tirassegno, tre cartucce un soldo e va là che vai bene. E' sparita anche l'idea». Ma naturalmente rimangono gli ultimi esemplari umani che in certa qual misura ripetono le gesta antiche. C'è il medico dì Cuneo che fa crepare i cani a furia di spingerli e dì misurarli sulla propria disumana resistenza: luì batte dieci volte in su e in giù una stoppia e alla fine ti pointer tira prima la, lingua e poi le cuoia. C'è ancora chi gode nel giocarsi l'alba sul limite del bracconaggio, perché sa che da quel dato angolo dì «riserva» a Pollenzo sfugge, ad una cert'ora di un certo giorno, il fagiano giusto. Così come c'è sempre quel tipo che durante la stagione va al bar e in banca e a spasso travestito da cacciatore: non spara più un colpo, ma il fascino del vecchio fustagno un po' immerluzzito è irresistibile. «E poi: tu prova a portare a casa una bestia. Le donne non sanno più'spennare un pulcino, figurati un'anitra», ha una smorfia l'amico: «Dovrebbero sputarsi sulle dita per ore, penna dopo penna, piuma dopo piuma. Sputeranno in un occhio' a te, e l'anitra finisce nell'immondezza. Il ciclo della caccia era anche questo: con una -moglie o almeno una nonna che in cucina sapevano cosa tirar fuori dal bottino, malmostose per via dell'uomo che è stato fuori ma contente di risparmiar sulla spesa. Oggi ti comperi un camoscio in scatola e festeggi- cosi, bevendo poi la magnesia per digerire». Ci salutiamo. Nell'aria v'è odore d'autunno, ì profili dei muri paiono sagome perse nel grigio. Lo schiocco dell'avorio continua, nel'caffè, ovattandosi tra le voci che commentano la partita ài biliardo. «Domani mattina mi alzo di brutto. Un giro nei boschi. Per la cagna. Mi basta vederla come "punta". Certo non basta a lei:. tornando a casa non mi rivolgerà.neanche la parola», sogghigna l'amico. E se ne va, l&icacciatora» smilza che gli 'fa una piega dietro la schiena. Ma in quelle profondità di tasche l'odore di una pernice impallinata e-più lontano dei ricordi d'asilo, è più stinto di un ex^voto. Giovanni Arpino

Persone citate: Allievi, Andrea R., Benelli, Beretta, Giovanni Arpino, Italo Cremona, Smania

Luoghi citati: Bra, Cuneo, Genova, India, Indianapolis, Italia, Piemonte, Savona