Le piccole imprese sono la forza dell'industria tessile del Biellese
Le piccole imprese sono la forza dell'industria tessile del Biellese Bilancio di un viaggio attraverso le aziende del settore Le piccole imprese sono la forza dell'industria tessile del Biellese Hanno però difficoltà ad ottenere il credito - Verso produzioni specializzate BIELLA — Oltre il 66% dei biellesi che lavorano ha un posto nell'industria (il 4,8% nell'agricoltura, il 12,1% nel commercio e il 17% in altre attività). Se si tiene conto che il ramo tessile occupa (dati del '77) 32 mila persone, il metalmeccanico (a Verrone, poco distante da Biella, c'è lo stabilimento Lancia) 5800, l'edilizia 2800 e altri settori circa tremila, si fa presto a capire che l'industria qui è tessile per eccellenza. Dal '74 al '77 c'è stato un calo di occupati pari a circa 2800 unità. Dietro le cifre nude e crude si nasconde una realtà multiforme: molti si allontanano dall'industria di medie o grandi dimensioni e si mettono in proprio, magari con una macchina data al posto della liquidazione, altri trovano un'occupazione seguendo la legge dell'arrangiarsi. In presenza di questi dati e in genere della buona tenuta dell'industria biellese anche in anni di crisi, la zona che sta attorno alla città che contende il primato di provincia a Vercelli è stata definità, dalla Regione Piemonte, «forte». Questa etichetta non piace, nemmeno ai sindacati che in linea puramente teorica dovrebbero esser lieti delle decisioni di una giunta rossa, quale è quella piemontese. Essere forti significa fare a meno di quegli aiuti che potrebbero invece rafforzare un'ossatura industriale che, essendo tessile, è «strutturalmente fragile». Certo, il settore tessile, come dice Pietro Lombardi segretario della Cisl di Biella, non vedrà aumentare l'occupazione, ma è pur vero il rischio che la Regione lo escluda dal processo di «armonizzazione industriale». I sindacati non lo dicono, ma si capisce da mille sfumature: la Regione finalmente si occupa del territorio cercando di dare ad esso un assetto più stabile e garantire un futuro più ordinato, operando una sorta di sintesi tra il «sociale» e l'«economico». Questa operazione tuttavia rischia di essere fatta troppo in laboratorio e certi motivi di fonda possono essere dimenticati o sottovalutati. Sandri, il direttore dell'Unione industriale, è del parere che la definizione del Biellese come «zona forte» risponda più ad «una foto statica» che non ad una realtà in movimento la quale, appunto perché in movimento, evidenzia alcuni aspetti negativi. Quali? La forza è nell'industria, nella tenuta occupazionale, non però nel territorio. Se industriali e operai supe- rano le crisi congiunturali ma poi si scontrano con certi disservizi (telefoni, strade, ferrovia, dogane), allora il tentativo di recuperare produttività viene ad essere compromesso da servizi scadenti. •Lasciano che le parti sociali si sbranino per conquistare un aumento di produttività dell'uno per cento- spiega Sandri, «quando lo Stato ne spreca di più con i servisi che funzionano male». Per capire meglio questo concetto vai»; la pena di soffermarsi un po' sul carattere territoriale dell'economia biellese. Per esempio, l'accordo con i sindacati è territoriale e non aziendale, la stessa impalcatura produttiva biellese, come abbiamo accennato nel precedente articolo, vive in quanto è in questo territorio. Un esempio: se un'azienda di quindici persone nel Napoletano ha una macchina ferma, rischia di rimanere paralizzata per oltre una settimana perché non c'è subito il tecnico che ripara e perché la produzione non può essere temporaneamente affidata ad altri impianti. Ciò non accade nel Biellese, appunto perché c'è la cosiddetta frammentazione. Si è giunti alla frammentazione produttiva — tanti centri, alcuni molto piccoli, al posto di pochi molto grandi con assetto «verticale» — per due ragioni principali. La prima: il tessuto biellese è diventato semilavorato, ossia passa non più ai sarti (poco ne va a questi artigiani dell'abbigliamento) ma ai confezionisti. Di qui la crescente ricerca di specializzazione. La seconda: la grande industria, grosso modo dal '69 in poi, ha sofferto e soffre di molte rigidità. Spinti anche da certe pressioni sindacali, gli imprenditori, quelli che una volta erano capi reparto, preferiscono essere «piccoli». Se per certi versi la frammentazione ha arricchito il Biellese, rendendolo più elastico, nello stesso tempo ha reso più difficile il reperimento del credito. I grossi complessi, dicono in coro a Biella, trovano denaro anche se in forte perdita, le piccole e medie aziende sono strangolate dall'eccessivo costo del denaro. Le accuse dei piccoli e medi imprenditori italiani qui si sentono amplificate. Pier Mario Fasanotti (2 - continua)
Persone citate: Pier Mario Fasanotti, Pietro Lombardi, Sandri
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