Scioperi e servizi pubblici di Mario Salvatorelli

Scioperi e servizi pubblici Scioperi e servizi pubblici I nostri soldi df. Mario Salvatorelli « Così non si può andare avanti», ha detto Lucio Libertini, presidente della commissione Trasporti della Camera, parlando lunedì sera all'Unione industriale dì Torino. Il deputato comunista, uno dei partecipanti alla « tavola rotonda» organizzata dal Gruppo dirigenti Fiat sul tema: ■« Modalità di esercizio del diritto di sciopero nei seri vizi essenziali », se l'è presa con certi tipi di scioperi, in particolare quelli proclamati dagli autonomi, che snaturano il conflitto tra i lavoratori e la controparte, trasformandosi tn pratica in una guerriglia contro gli utenti, nascondono inquietanti retroscena e provocano lacerazioni all'interno del movimento dei lavoratori. Giuste preoccupazioni, non c'è dubbio, quelle di Libertini, condivise da tutti ali utenti dei servizi pubblici, in assenza completa di una qualsiasi forma dì disciplina delle astensioni dal lavoro, che si aggiungono continuamente alle carenze già gravi dei servizi stessi. Il deputato comunista ha addirittura parlato di « trasporti in coma », ciò che lascia poche speranze, almeno nell'immediato futuro, per la realizzazione di quel «nuovo modello di sviluppo.» che qualche anno fa, puntando sui mezzi collettivi e accantonando quelli privati, sembrava dovesse prendere il posto della «civiltà dei consumi», tanto denigrata allora ed oggi forse rivalutata. In attesa che il sistema dei servizi pubblici superi il collasso e si avvìi alla guarigione, si può e si deve agire subito per limitare, almeno, i disagi, gli sprechi di tempo e di denaro, e le altre gravi conseguenze che gli scioperi hanno per gli utenti. Tutti d'accordo, su questa esigenza, anche gli altri partecipanti alla « tavola rotonda»: il deputato democristiano ed ex-sindacalista Vito Scalia, il professor Giovanni Ilaria Amoroso che insegna diritto sindacale all'Università di Roma, il segretario confederale della UH Ruggero Ravenna ed io. Disaccordo, invece, sul come superare questa situazione « di e- mergenza »,, per giungle a una regolamentazione degli scioperi che, partendo dai servizi pubblici, possa eventualmente « ispirare » un modello di comportamenti per i conflitti di lavoro anche negli altri settori di attività. L'articolo 40 è forse il più breve di tutta la Costituzione della Repubblica italiana: « Il diritto di sciopero si esercita nell'ambito delle leggi che lo regolano ». Tredici parole che sono rimaste senza seguito. Sene è dedotto che lo sciopero è «un diritto», ma non si è ritenuto che per esercitarlo fosse necessario il relativo regolamento. Libertini e Ravenna hanno espresso urta totale sfiducia nelle leggi,'e una fiducia, altrettanto totale, invece, nell'autoregolamentazione dello sciopero da parte della triplice sindacale, Cgil, Osi, UH, che sta lavorando a un « codice di comportamento », da definire e presentare al giudizio della base tra- poclie settimane. Gli altri tre partecipanti alla «tavola rotonda», riconosciuta l'opportunità di una auto-regolamentazione da parte dei sindacati, si sono dichiarati favorevoli a vederla poi trasformata in legge, da parte del Parlamento. Confortano questa tesi, che è fatta propria dalla stessa Costituzione, la frequenza e la gravità degli scioperi selvaggi, della micro-conflittualità, di tutte quelle forme di astensione dal lavoro che provocano danni enormi e sono certo non l'ultima tra le cause del nostro allontanamento dall'Europa. Sì parla molto d'Europa in questi tempi. Sì sottolinea l'esigenza di ridurre il nostro tasso d'inflazione, il disavanzo della nostra pubblica amministrazione a livelli europei. Ma è altrettanto necessario allineare a questi livelli anche i conflitti di lavoro, perché è impossìbile essere competitivi sui mercati intenti e internazionali quando, come è avvenuto nel 1977, in Italia si perdono per scioperi 702 giornate ogni mille lavoratori, contro 388 in Gran Bretagna, 168 in Francia « appena 1 nella Germania Federale. ★ * « L'at,gancio dei contributi sociali e relative pensioni ai redditi da lavoro denunciati è una proposta che accolgo con entusiasmo, anche perché è stata già mia anni or sono », mi scrive da Mondovì il signor G. Mongardi, che si dichiara artigiano. Il lettore aggiunge di avere esposto questa idea al senatore Giuseppe Pella, allora ministro delle Finanze, che la trovò interessante, « non solo come atto di giustizia verso gli artigiani, ma anche come un eccellente modo di Invogliarli a pagare le imposte». Sulla proposta è d'accordo anche l'ingegner Giorgio Torre, di Genova, il quale m'informa che qualcosa di simile è già in atto per alcune categorie dì lavoratori autonomi. « Nel 1977 — precisa l'ingegner Torre — sono state approvate modifiche alle norme sulla previdenza dei Geometri, in base alle quali viene versato un contributo annuale, mi sembra del 10 per cento, del reddito imponibile dichiarato ai fini dell'Irpef, mentre la pensione di anzianità sarà commisurata alia media degli ultimi anni di contributi, moltiplicata per un coefficiente rapportato all'anzianità di iscrizione alla cassa». Mi sembra, quello dei geometri, un esempio da imitare.

Persone citate: Giorgio Torre, Giovanni Ilaria Amoroso, Giuseppe Pella, Lucio Libertini, Mongardi, Ruggero Ravenna, Sene, Vito Scalia

Luoghi citati: Europa, Francia, Genova, Germania Federale, Gran Bretagna, Italia, Mondovì, Ravenna, Torino