Che pace vogliono i palestinesi di Igor Man

Che pace vogliono i palestinesi MINACCE A ISRAELE MA FOE'' Che pace vogliono i palestinesi Le reazioni in Cisgiordania all'accordo di Camp David: dal rabbioso rifiuto totale alle ipotesi di condizioni per un nuovo negoziato - Il rischio di azioni terroristiche per sollecitare la presenza dell'Olp alle trattative - «Contiamo solo su noi stessi: i Paesi arabi hanno sempre strumentalizzato la nostra causa» DAL NOSTRO INVIATO SPECIALE RAMALLAH — .Tavola rotonda» a Ramallah, nella Cisgiordania occupata, per registrare le reazioni dei palestinesi dopo Camp David. Le opinioni dei .radicali», dei «moderati» e dei 'possibilisti» (quest'ultima categoria comprende i palestinesi che vivono all'estero, e che, di tanto in tanto, vengono a tastare il polso dei loro compatrioti). E' una tavola rotonda ideale. perché abbiamo ascoltato personaggi diversi, in luoghi diversi. Codesta .tavola rotonda» è come un tuffo nell 'occhio del ciclone. Ascoltiamo per prima Raymonda Tawill, giornalista, scrittrice, da poco uscita di carcere (un mese e mezzo di segregazione cellulare, percosse, umiliazioni): «Nessun accordo poteva essere peggiore di questo per noi pale- j stinesi. E' una catastrofe di cui gli israeliani saranno le prime vittime. Poiché i palestinesi non avranno altra alternativa se non quella di intensificare gli attentati in Israele e nei territori occupati: non si può chiedere ad un popolo disperato di rassegnarsi. Può darsi che dopo queste dichiarazioni io finisca di nuovo dentro, ma sento il dovere di parlare a nome dei miei fratelli». Ma il Gush Emunim ha pubblicato un avviso su di un giornale: .A Basilea si è fondato lo Stato israeliano; a Camp David lo Stato palestinese». «Si fa dell'ironia sapendo di mentire. Lo Stato palestinese potrà sorgere solo se, a negoziare, saranno gli eletti del popolo palestinese. Libere elezioni, quindi, e subito, con il diritto per quelli della diaspora di venire qui, in patria, a votare. In caso contrario resisteremo contro la pretesa di imporci la truffaldina "autonomia amministrativa" ». Karim Kalaf, l'ex magistrato sindaco di Ramallah, è rientrato ieri da un giro di conferenze negli Stati Uniti, per ordine del governatore militare israeliano. «Ho avuto appena il tempo di denunciare all'opinione pubblica americana, male informata, gli arbitrii commessi da Israele in Cisgiordania. Israele ha violato la Conven¬ zione di Ginevra, la Carta dei diritti umani: deportazioni, torture (ho citato nomi e cognomi), espropri di terreni, 16.212 abitazioni demolite dal luglio del '67 all'agosto del 1971 eccetera eccetera». Ed ora che è tornato? «Posso dire, anzitutto, che, passata l'ondata di sensazionalismo e di euforia, Sadat, Begin, Carter, e tutti nel mondo si renderanno conto come la pace sia ancora molto lontana. Gli accordi di Camp David hanno, infatti, lasciato insoluto il problema dei problemi: quello palestinese. Perciò, noi palestinesi, vessati dall'occupazione militare, condanniamo i documenti firmati da Sadat e Begin e benedetti da Carter. E' penoso il comportamento di Sadat: mai una pace separata, tuonava, ed ecco che ha fretta di firmare l'accordo con il suo amico Begin. Insultante il comportamento di Sadat: pretende di "negoziare", di parlare per noi, dopo aver barattato la Cisgiordania con la sabbia del Sinai. Soltanto l'Olp, riconosciuto da centoventi Paesi nel mondo, ha il diritto di parlare nel nome del popolo palestinese Si asciuga la fronte sudata, I tracanna l'ennesimo caffé, > poi scandisce: «Pretendono | n a e a a l n o , i e ri e a a r e m i e i o e a i o e a a o a a d a a o o o e o e r e. e ti i e a e a e o o che noi, semplici amministratori, si diventi gli interloattori dei sionisti esaltati dal I successo di Camp David. No, rispondiamo. Potranno soltanto negoziare i rappresentanti dell'Olp, designati dai palestinesi — quelli della Cisgiordania e quelli disseminati altrove — mediante libere elezioni. Noi non tratteremo. Costi quel che costi. C'è di più». E qui Kalaf elenca quattro pre-requisiti per la pace: 1) riconoscimento degli Usa e delle grandi potenze dell'Olp come unico rappresentante del popolo palestinese: 2) ritiro incondizionato di Israele dai territori occupati; 3) creazione di uno Stato indipendente palestinese. («Ebrei, musulmani, cristiani debbono poter vivere, da eguali, in pace, nella Palestina, senza interferenze»),- 4) garanzia dei diritti dei palestinesi profughi in armonia con le risoluzioni dell'Assemblea dell'Onu. E se tutto ciò non venisse, se vi obbligheranno a trattare con la partecipazione di Sadat? «Nessuno ci può obbligare a trattare, tanto meno Sadat, un uomo che non ha sangue nelle vene. Se ci imporranno l'autonomia, non avremo altra scelta che combattere. Innanzitutto contro gli insediamenti israeliani. Non abbiamo armi, ma siamo pronti a sacrificare le nostre povere persone. Il mondo ci deve aiutare, voi, giornalisti liberi, dovete aiutarci. All'accordo-quadro di Camp David rispondiamo: no, no, no! ». Aziz Shadate, avvocato principe (ha difeso, tra l'altro, monsignor Capucci), è uno dei leaders dei .moderati». Ironico, sorridente, parla senza agitarsi: «Io considero l'autonomia amministrativa che ci viene "offerta" come un periodo transitorio. Ma occorre chiarire alcuni punti. Il congelamento degli insediamenti durerà tre mesi, come pretende Begin, o cinque anni, come assume Sadat? Tutto, è stato detto a Camp David, si svolgerà in consonanza con la risoluzione 242, che prevede il ritiro da territori occupati. Ma Begin dice che Gerusalemme non si tocca... eppure, anche Gerusalemme è occupata. Non possiamo accettare la pretesa di Begin: nessuna autonomia, nessuno Stato è possibile senza Gerusalemme». Che cosa intende per .periodo transitorio»? «Intendo che la parentesi dell'autonomia dovrà esser chiusa con la costituzione di uno Stato palestinese. I suoi rappresentanti decideranno, poi, se rimanere indipendenti o federarsi con la Giordania». Anche voi moderati dunque, volete lo Stato? «Certo, ma senza precipitazione, senza traumi. Vogliamo una ragionevole, giusta soluzione globale. Quando ogni palestinese avrà il diritto di diventare cittadino di uno Stato non ci sarà più il bisogno di campi profughi, ogni palestinese avrà il diritto di tornare in patria, cosi come gli israeliani hanno il diritto di tornare in Israele. Vogliamo dare uno status giuridico ai palestinesi della diaspora. Ma il documento di Camp David non dà una briciola di speranza che questo possa realizzarsi. Si dice che. oltre ai rappresentanti della West Bank, "altri" potranno negoziare. Per Sadat, "altri" sono 1 quelli dell'Olp (in verità, l'u; nico organismo coagulante e ; rappresentativo), ma noi dui bitiamo che la sua sia un'inj terpretazione ottimistica». E allora? «C'è il rischio che ! fra cinque anni oi si ritrovi ! punto e da capo, impantanati ! nelle pastoie procedurali. ! Comunque sia, io sono con| vinto che i moderati possono far più per la pace che non i ! radicali. Noi sappiamo di do- ver contare solo su noi stessi, perché non possiamo fidare nei Paesi arabi, che hanno sempre strumentalizzato la nostra causa, e tuttora pretendono di fungere da nostri avvocati. Macon tanti, troppi avvocati, la causa è perduta in partenza. Dovremo agire da soli, con moderazione e con saggezza, altrimenti finiremo dimenticati, sommersi dagli insediamenti del Gush Emunim». E re Hussein? «Sua Maestà si sta comportando da saggio. Sta a vedere». Nazef Nazzal è un giovane professore dell'Università di Bir Zeit, vicino a Nablus, ma risiede in America ed è in Cisgiordania con un visto turistico. «Certo, la delusione è stata grande: non una parola sullo Stato palestinese.a Camp David. Tuttavia, penso che l'accordo-quadro ci offre quel che non abbiamo mai avuto: la possibilità di responsabilizzarci e lavorare per qualcosa che conduca ad uno Stato indipendente. L'uscio si è socchiuso, abbiamo la possibilità di metterci un piede dentro. Però, ci sono molte zone d'ombra, per esempio la questione degli insediamenti. Non basta che i ■ : I! ! 1 j i ■ • ! | | i siano congelati, occorre che non vengano ingranditi. Altrimenti, fra cinque anni, gli israeliani in Cisgiordania saranno centocinquantamila, a petto degli attuali 6500. Se questo accadesse, sarebbe impossibile esercitare anche la sola autonomia amministrativa. Comunque, io dico: Wait and see. Se la Keneseth accetterà di eliminare gli insediamenti nel Sinai, questo potrebbe costituire un buon precedente per noi (non mancheranno certo le pressioni americane). Bisogna anche comprendere come la pace comporti per Israele problemi interni, crei divisioni. Ciò rende tutto molto più difficile». E Gerusalemme unificata? «Perché no? Ma con due municipalità, con due capitali: una israeliana, una palestinese. Insomma, non possiamo dire: no, no, no. Rischiamo di rimanere soli e disperati. Nessuii Paese arabo è disposto a far la guerra per noi; e poi, la guerra non risolverebbe nulla. Cosa dicono oggi gli egiziani: "Vogliamo pane e burro e ce lo pigliamo". Non hanno torto. Cosa possiamo fare noi? Rivendicare i nostri diritti, questo si, ma senza sbattere l'uscio in faccia ad alcuno. Non commettiamo l'errore di Sadat, che non si è peritato di fare una telefonata ad Assad, ad Arafat. Se è vero che l'Egitto è la porta della pace in Medio Oriente, è anche vero che è Assad a tenerne le chiavi; e Hussein, ancorché sollecitato da Sadat e da Vance, non può lasciarsi ■ coinvolgere nel gioco: fra : l'incerto, la restituzione della I West Bank, e il certo, l'ap! poggio della Siria, in questo ! momento non può che prefe1 rire il secondo», j In conclusione? «E' difficile i accettare gli accordi di Camp ■ David, non è facile respin• gerii. In attesa che si chiari! scano le zone d'ombra, io penso che sarebbe responsa| bile, anziché lanciare sterili | proclami di guerra, prender coscienza dei nostri diritti e riaffermarli a livello mondiale, con fermezza senza isterismi. La storia cammina, Roma non fu fondata in un solo giorno». Igor Man j