Il modulo che uccide di Franco Maria Malfatti

Il modulo che uccide Taccuino di Vittorio Gorresio Il modulo che uccide Il giorno che l'onorevole Franco Maria Malfatti lasciò il ministero della Pubblica Istruzione per quello delle Finanze, molti si domandarono in base a quale criterio fosse avvenuto il suo trasferimento. Le materie di competenza rispettiva dei due dicasteri appaiono difatti così diverse e lontane fra loro che non è facile supporre — e sia pure in un uomo considerato ricco di talenti come Malfatti — la capacità di occuparsene con uguale successo. Ma una ragione c'è, misteriosamente emblematica. Il ministro responsabile del cattivo funzionamento dì una scuola che promuove e licenzia anno per anno centinaia di migliaia di ignoranti immettendoli ancora illetterati sul mercato del lavoro e della vita sociale, era stato destinato a rincorrerli e a punirli per il loro peccato di scarso apprendimento. E' una storia che può apparire diabolica, ci si può vedere del sadismo, ma è rigorosamente documentabile come vera. Sabato scorso, una persona di assoluta attendibilità come il professor Gianfranco Gallo-Orsi ha riferito su La Stampa che oltre il quaranta per cento degli italiani sbaglia nel compilare la dichiarazione dei redditi sul modulo 740 predisposto dal ministero delle Finanze. Qui non si parla, intendiamoci, di evasioni o di false dichiarazioni, ma esclusivamente di errori formali contenuti nella denuncia, di omissioni ovviamente preterintenzionali, di gratuite confusioni del tutto esenti da dolo. Una grande quantità di italiani, che pure è lecito presumere volenterosi e onesti, non sono in grado di segnare le crocette al posto giusto nel fascicolo dei quiz proposti sulle venti facciale del mod. 740. Sbagliano e pagano. Ci sono pene che variano da cinquanta a centomila lire nel minimo, ma che possono arrivare a cinquecentomila e fino ad un milione nel massimo. Questo dimostra che la scuola non prepara alle oscure difficoltà della vita, le quali sono ai nostri tempi molto maggiori di quanto pensino gli spensierati ragazzi che pretendono di ottenere il sei politico nelle scuole medie e il ventisette garantito nelle facoltà universitarie. Il ministro della Pubblica Istruzione glielo concede con perfida demagogia ma poi si veste da ministro delle Finanze e lì atterra. Il vero senso della stangata fiscale è infatti tutto qui: non è nell'aumento delle aliquote o in altri classici espedienti della politica tributaria, ma sta nel rendere sempre più complicata fino al limite dell'affatto incomprensibile la compilazione delle tabelle per la denuncia dei redditi. Il gettito fiscale viene così incrementato mercé un vertiginoso aumento delle multe, di tanto facile percezione che addirittura si è tentati di esimersi dall'intraprender e la lotta contro gli evasori. In questo modo si puniscono gli ignoranti onesti, che non fanno problema, e si evita di perseguire e scontentare i ricchi potenti e infedeli che uno Stato come il nostro, amante del quieto vivere, preferisce non avere a trovarsi contro. E' un procedimento che potrebbe sembrare immorale, ma io sono sicuro che i nostri governanti si sono invece risolti ad adottarlo con ben altra intenzione, cioè allo scopo di incoraggiare ai buoni studi, ed è questo un proposito rivoluzionario. Lenin diceva che in virtù del progresso socialista ogni cuoca sarebbe diventata capace di gestire lo Stato, e da noi con la stessa ispirazione si vorrebbe che ogni cittadino fosse talmente addottrinato in scienza delle finanze e in contabilità dello Stato da riuscire a compilare senza errori tutte e venti le facciate del 740. Il metodo prescelto è quello del rischio calcolato. Visto che i giovani non vogliono studiare, il ministro della P.I. fìnge di assecondarli concedendo loro licenza di ignoranza; poi si tramuta in ministro delle Finanze, aspetta al varco gli ignoranti e lì fa cadere sull'ostacolo del fisco, dove più 0 meno tutti sono un giorno o l'altro destinati ad arrivare. E ghigna, ghigna il perfido, nel vedere chi sbaglia: « Tu l'as voulu, Georges Dandin », te lo sei voluto con il tuo non studiare, ecco che cosa hai guadagnato e ti sta bene, sembra che dica beffardamente questo Malfatti bifronte come Giano. E' una favola tragica, che fa pensare alle metamorfosi di Jeckill e Hyde, ed anche alle lezioni che toccarono al povero burattino Pinocchio. A non studiare a scuola, a non aver voluto imparare, poi nella vita si paga. Nell'ultimo numero dell'Espresso è stato dibattuto da Rita Tripoli, Luigi Rosiello, Roland Barthes e Umberto Eco il problema circa l'esistenza, o meno, di un diritto a non apprendere le prime regole convenzionali dell'espressione e della comunicazione. Da parte degli intervenuti mi sembra che non manchi qualche concessione a favore di una totale trascuratezza delle norme, la quale riuscirebbe più creativa. Credo che invece sia un grosso rischio perché alla fine c'è sempre Malfatti che interviene a punire, e in ogni modo per uscire dal paradosso a questo punto ci vuole una conclusione, come per ogni apologo, ed è questa che mi pare la giusta: proviamo a rovesciare 1 termini del problema quale oggi si pone, rendendo la scuola più difficile e più istruttiva, ma più facile e semplice la compilazione del modulo 740 per la denuncia dei redditi.

Persone citate: Georges Dandin, Hyde, Lenin, Luigi Rosiello, Malfatti, Rita Tripoli, Roland Barthes, Umberto Eco, Vittorio Gorresio